Coelum Astronomia - #225 - 2018

(Joyce) #1

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presenza di acqua liquida, ma anche che l'acqua
fosse a temperature molto inferiori a 0 gradi
centigradi. Questo è possibile solo se essa
contiene una quantità di sali molto superiore a
quella degli oceani terrestri, la cui concentrazione
e composizione chimica non può però essere
determinata in maniera accurata a partire dai dati
radar.

Questa scoperta si distingue dai passati
ritrovamenti di acqua liquida sulla superficie di
Marte, nelle quali essa costituisce una presenza
temporanea dovuta allo scioglimento del
permafrost marziano. In questo caso si tratta
invece di acqua che è isolata dalle variazioni
stagionali di temperatura e dalle radiazioni
cosmiche che bombardano e sterilizzano la
superficie di Marte, un ambiente stabile che
probabilmente persiste per tempi di centinaia di
migliaia o addirittura milioni di anni.

L'acqua è uno dei requisiti fondamentali per la
vita come noi la conosciamo, e la sua scoperta

identifica un potenziale habitat per la vita. Ci sono
segni incontrovertibili della presenza di acqua
liquida sulla superficie di Marte nel suo lontano
passato, ma la sua minore gravità ha causato la
progressiva perdita dell'atmosfera che contribuiva
a mantenere un clima relativamente mite grazie
all'effetto serra. Marte è così diventato l'arido
deserto gelato di oggi, ma si ritiene che abbia
mantenuto condizioni simili a quelle della Terra
dei primordi per un tempo simile a quello entro il
quale la vita si è sviluppata sul nostro pianeta.

La domanda fondamentale è quindi questa: la vita
si è sviluppata anche su Marte, dato che a quanto
sappiamo ve ne erano le condizioni? Al momento
nessuno è in grado di creare la vita in laboratorio a
partire dalle sostanze chimiche presenti sulla
Terra quattro miliardi di anni fa, e resta ancora
molto da scoprire sui processi che hanno portato
all'emergere della vita sul nostro pianeta. Non
sappiamo quindi se essa si manifesti
spontaneamente non appena ve ne siano le
condizioni, o se, al contrario, sia un processo raro

Sopra. Roberto Orosei, INAF Bologna, co-responsabile scientifico di Marsis e primo autore dello studio
pubblicato su Science. Crediti: INAF.

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