Il trittico di deboli stelle viene chiuso da σ Dra,
“vicina” di ε Dra. La stella, che splende di
magnitudine +4,68, possiede il nome proprio
Alsafi, derivato dall'arabo Athafi, erroneamente
trascritto dal plurale arabo Athāfiyy, con il quale i
nomadi del deserto designavano i supporti delle
loro cucine portatili, nome che però era anche
attribuito alle già visitate τ ed υ Dra. Si tratta di
una nana di sequenza principale di tipo G9 V
(5.200 K). Il raggio, misurato direttamente con
l'interferometro CHARA, è pari al 77,6% del
raggio solare. Parimenti, massa e luminosità sono
l'85% e il 41% dei corrispettivi solari. Alsafi è
quindi una stella non dissimile dal Sole:
temperatura, luminosità e attività alla superficie
sembrano variare leggermente, in un modo molto
simile al ciclo delle macchie solari sebbene
l'intera lunghezza del ciclo non sia ancora nota.
Misure della velocità radiale della stella, eseguite
allo spettrometro del telescopio Keck,
sembrerebbero provare la presenza, non ancora
confermata, di un pianeta non dissimile da Urano,
dalla massa 12 volte quella terrestre e dal periodo
orbitale di circa 300 giorni.
Restiamo all'interno di questo grande poligono
delimitato dalle sei stelle: puntando anche un
piccolo binocolo del tipo 8x30 l'area delimitata
dalle quattro stelle τ, χ, φ e υ Dra, si potrà notare
la presenza di due piccoli asterismi la cui forma
ricorda davvero molto due costellazioni: quello
compreso tra υ e τ Dra la Croce del Sud mentre
quello tra χ ed υ Dra, composto da stelle colorate
di settima-ottava grandezza, assomiglia
incredibilmente alla nota Cassiopea. L'ammasso è
anche noto come Kemble 2 o, per l'appunto
“piccola Cassiopea”. Venne osservato da Padre L.
Kemble, gesuita ed attento osservatore
binoculare che descrisse alcuni interessanti
asterismi nella volta celeste.
Alsafi e la Piccola Cassiopea
diametro una ventina di volte il Sole, una sospetta
“stella al bario” che indurrebbe, quindi, la
compagna a essere una nana bianca. Vecchia di
circa 1,37 miliardi di anni, possiede una massa il
doppio di quella del Sole, irradiando poco più del
doppio della sua luminosità intrinseca.