Coelum Astronomia - #227 - 2018

(Martin Jones) #1

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esaminando i dati dello spettrometro gamma che
si trova a bordo del satellite Mars Odyssey,
mappando l’abbondanza dei due elementi
radioattivi torio e potassio nella crosta marziana.
Basandosi su queste abbondanze, i ricercatori
sono riusciti a dedurre l’abbondanza di un terzo
elemento radioattivo: l’uranio. Il decadimento di
questi tre elementi fornisce la radiazione in grado
di portare alla decomposizione radiolitica
dell’acqua. E poiché gli elementi decadono a
velocità costante, i ricercatori hanno usato le
attuali abbondanze per calcolare le quantità
presenti 4 miliardi di anni fa. In questo modo si
sono fatti un’idea del flusso di radiazioni che
potrebbe essere stato presente all’epoca, per
guidare la radiolisi.


Il passo successivo è stato quello di stabilire
quanta acqua era disponibile per la radiolisi. Le
prove geologiche suggeriscono che nelle rocce
porose dell’antica crosta marziana sarebbero
potute essere presenti molte bolle d’acqua
sotterranee. I ricercatori hanno utilizzato
misurazioni della densità della crosta marziana
per stimare lo spazio disponibile che si sarebbe
potuto riempire di acqua. Infine, hanno utilizzato
modelli geotermici e climatici per definire il luogo
ideale per lo sviluppo di una potenziale vita: non
troppo freddo da congelare tutta l’acqua, ma
neanche eccessivamente riscaldato dal nucleo del
pianeta.


Combinando queste analisi, hanno concluso che
Marte probabilmente aveva una zona abitabile, al
di sotto della sua superficie, di parecchi chilometri
di spessore. In quella zona, la produzione di
idrogeno attraverso la radiolisi avrebbe generato
energia chimica più che sufficiente per supportare
la vita microbica. E quella zona sarebbe rimasta
presumibilmente abitabile per centinaia di milioni
di anni.


I ricercatori hanno inoltre riscontrato che la
quantità di idrogeno, al di sotto della superficie,
risulta essere superiore quando in superficie fa
più freddo, perché uno strato di ghiaccio più


spesso sopra la zona abitabile funge da coperchio
ed è in grado di mantenere l’idrogeno nel
sottosuolo. «Comunemente si potrebbe pensare che
un clima primordiale freddo, su Marte, si sia rivelato
dannoso per la vita, ma quello che abbiamo
dimostrato è che in realtà un clima freddo permette
di avere più energia chimica a disposizione per la
vita sottoterra», ha concluso Tarnas.

La scoperta non significa che in passato sia
esistita la vita su Marte, ma suggerisce che se la
vita fosse davvero iniziata, il sottosuolo marziano
aveva le carte in regola per sostenerla per
centinaia di milioni di anni. Il lavoro presentato ha
notevoli implicazioni per la futura esplorazione di
Marte, suggerendo che le aree in cui il sottosuolo
più antico si trova più esposto, potrebbero essere
buoni posti per cercare evidenze della vita
passata.

Tarnas e Mustard sostengono che i loro risultati
potrebbero essere molto utili nello stabilire dove
inviare i veicoli spaziali alla ricerca dei primi segni
di vita marziana, del passato. «Una delle opzioni
più interessanti per l’esplorazione marziana è
soffermarsi su depositi di megabreccia, ossia
blocchi di roccia emersi dal sottosuolo in seguito ad
impatti di meteoriti», ha detto Tarnas. «Molti di
questi blocchi potrebbero provenire dalle
profondità caratteristiche di questa zona abitabile,
e si trovano ora, spesso relativamente inalterati,
sulla superficie».

Mustard, che ha partecipato attivamente alla
selezione di un sito di atterraggio per il rover Mars
2020 della NASA, afferma che questi tipi di
depositi sono presenti in almeno due dei siti che
l’agenzia spaziale degli Stati Uniti sta prendendo
in considerazione: il Northeast Syrtis Major e
Midway. «La missione del rover 2020 è quella di
cercare i segni della vita passata», ha detto
Mustard. «Le aree nelle quali potrebbe essere
possibile trovare resti di questa zona abitabile
sotterranea – che potrebbe essere stata la più
grande zona abitabile del pianeta – sembrano un
buon posto da prendere di mira».
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