Coelum Astronomia - #227 - 2018

(Martin Jones) #1
Si dice che il modo migliore per nascondere
qualcosa sia lasciarlo in bella vista. Con questo
importantissimo documento storico ha
funzionato: Ricciardo, infatti, ne ha scoperto
l’esistenza sfogliando il catalogo dei documenti
conservati nella biblioteca londinese della Royal
Society, probabilmente sfuggito finora agli storici
perché erroneamente catalogato con la data del
21 ottobre. Intuita l’importanza della scoperta,
Ricciardo ha immediatamente avvisato Franco
Giudice, docente dell’Università di Bergamo e
supervisore della ricerca che stava compiendo, il
quale a sua volta ha coinvolto Michele Camerota,
ordinario di Storia della Scienza all’Università di
Cagliari e, con lo stesso Giudice e con Massimo
Bucciantini, direttore della rivista Galilaeana.

Le prime analisi dei tre ricercatori, confermate da
Paolo Galluzzi, direttore del Museo Galileo di
Firenze, e da Patrizia Ruffo, curatrice della
Bibliografia Internazionale Galileiana, hanno
portato a concludere che si trattava di un
autografo galileiano. In un’intervista rilasciata a
Media INAF, Camerota chiarisce il lavoro svolto
per giungere a tale conclusione:
«Naturalmente abbiamo fatto delle collazioni su
autografi galileiani coevi, ossia dello stesso torno
di tempo. I campioni che noi abbiamo utilizzato
sono del periodo 1612-1615 perché la grafia delle
persone cambia e quindi la mano può essere
leggermente differente in spazi temporali molto
distanti. La coincidenza è assolutamente
sorprendente, nel senso che si tratta di un
autografo galileiano, almeno per come l’abbiamo
considerato noi e per come è stato considerato
anche da autorevoli altri studiosi ai quali ci siamo
rivolti per avere conferma della scoperta».
Gli storici sanno che, su richiesta di Galileo,
Castelli restituì al mittente la lettera del 1613 e
per qualche tempo del documento se ne perse
ogni traccia. Prima di sparire definitivamente,
tornò nuovamente a circolare dopo che, nel
febbraio 1615, Galileo ne allegò una copia alla

lettera indirizzata a Pietro Dini, nella quale
chiedeva che fosse fatta pervenire ai teologi che
si stavano occupando del suo caso.
Il ritrovamento dell’originale ci racconta che non
fu Lorini a modificare la lettera prima di inoltrarla
all’Inquisizione, bensì Galileo stesso, scegliendo
di addolcire alcune espressioni giudicate troppo
compromettenti. Molto chiara l’analisi che
Camerota suggerisce nella già citata intervista: «
Quello che l’autografo della Royal Society mette
in chiaro è che Galileo aveva scritto una prima
versione della lettera identica a quella che Lorini
mandò a Roma. Poi aveva, di sua stessa mano,
corretto le espressioni che erano più controverse,
più pericolose, più attaccabili da un punto di vista
teologico. La scoperta dell’autografo dimostra che
fu Galileo stesso a correggere il testo e a farlo
circolare in una versione in qualche modo
emendata, mitigata, laddove il senso poteva
comportare più rischi di quelli che lui volesse
correre».

(^66) COELUM ASTRONOMIA
Il ripensamento di Galileo
Sopra. Michele Camerota, Professore Ordinario
di Storia della Scienza all’Università di Cagliari,
Dipartimento di Pedagogia, Psicologia e
Filosofia. È autore di numerosi articoli e di
diversi volumi sulla cultura scientifica della
prima età moderna. Insieme a Massimo
Bucciantini e Franco Giudice dirige la rivista
“Galilaeana. Studies in Renaissance and Early
Modern Science”.

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