Coelum Astronomia - #228 - 2018

(Rick Simeone) #1
rapidamente tramite ossidazione in CO 2 e H 2 O
(anidride carbonica e acqua). Tale processo
implica che, se trovo comunque abbondanze di
CH 4 e O 2 , debba esserci una fonte alternativa a
quella abiogenica, dovuta cioè solo a gas originati
da materiali inorganici. Dallo studio dei gas
biogenici, e di questo disequilibrio, è allora
possibile fare delle ipotesi sulla quantità di
biomassa in grado di produrre o utilizzare tali gas.

Infine l'aumento della tecnologia e della potenza
di calcolo ha permesso di implementare tecniche
di reti neurali, utilizzando le reazioni chimiche in
atmosfera come collegamenti e i generatori/
utilizzatori di queste molecole come nodi. Questo
ha permesso di creare un sistema dinamico
virtuale autoconsistente che evolve e fa previsioni
sulle abbondanze chimiche che si potrebbero
rintracciare.

Conclusioni


Avendo a che fare con pianeti differenti da quello
terrestre, potrebbe essere possibile che la vita si
sia sviluppata su di esso secondo processi
differenti da quello globale cui siamo abituati. Per
esempio, potrebbe essere che su un pianeta
orbitante attorno a una stella M, la forma biologica
predominante si avvalga della chemiosintesi
invece che della fotosintesi, per produrre energia.
O che alcuni suoi organismi o interi ecosistemi
siano sotto la superficie, sfruttando il fenomeno
del cripto-endolitismo (vita fra le rocce). Senza
andare tanto lontano, Europa o Titano potrebbero
ospitare forme di vita di questo tipo, nascoste fra i
minerali o sotto il ghiaccio e osservabili solo
attraverso carotaggi o prelievi di materiale sul
luogo.


Come si è visto, la ricerca della vita al di fuori del
nostro pianeta non è una cosa semplice. Occorre
individuare gli osservabili che potrebbero
indicarne la presenza, essere nella finestra
temporale giusta (potremmo cercare ossigeno
laddove, specie nelle prime fasi della comparsa
della vita, esso non sia la firma predominante della
sua presenza), ipotizzare la presenza di forme di
vita come la conosciamo noi o come potrebbe
essersi evoluta date le condizioni fisiche al
contorno. Come se ciò non bastasse, per fare tutto
questo siamo vincolati dall'ancora acerba
sensibilità dei telescopi e coronografi, dal tipo di
stella, dalle variazioni dei parametri esoplanetari
come le dimensioni, albedo, composizione chimica
e dal range spettrale osservabile.

I Grandi Telescopi del Futuro e la Ricerca della Vita
Molti sono gli strumenti presenti e le missioni
programmate per cercar di dar risposta alla
domanda: "siamo soli nell'universo?". La missione
TESS, lanciata il 18 aprile 2018, scandaglierà oltre
200.000 pianeti in transito alla ricerca di possibili
candidati a ospitare la vita. PLATO 2.0, prevista
per il 2026, avrà fra i vari compiti quello di
caratterizzare fotometricamente i pianeti. La
missione del telescopio spaziale JWST prevista
per il 2021 analizzerà soltanto pianeti selezionati
per la ricerca di firme della vita. Restando a Terra, i
grandi telescopi di cui disporremo (ELT nel 2024)
o missioni future come LUVOIR/HDST o HabEx
previste per il 2030 avranno la capacità di

identificare i pianeti potenzialmente abitabili e
farne un profilo astrobiologico, analizzando le
firme della vita. Inoltre la combinazione di questi
ultimi due strumenti permetterà di coprire un
range spettrale compreso fra 0.2 μm e oltre 2 μm,
fino al vicino infrarosso. Tale copertura è
necessaria per la rilevazione di molte delle
molecole che possono essere derivati diretti o
indiretti della presenza di vita. Wide Field InfraRed
Survey Telescope (WFIRST), un telescopio ad
ampio campo di vista in grado di rilevare oltre
2.000 pianeti grazie a una camera infrarossa e a
una batteria di sensori accoppiati per raggiungere
l'incredibile traguardo dei 288 megapixel.

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