Coelum Astronomia - #228 - 2018

(Rick Simeone) #1

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qualche decina di tasselli trapezoidali, posto nella
sala della torretta in cima alla Specola di Bologna.


«Il lettore si domanderà perché vogliamo comporre
lo specchio a pezzi, quando si può averlo integro:
rispondo che oltre un certo diametro (due metri e
cinquanta è la misura massima finora raggiunta da
specchi collaudati dall’esperienza) la fusione e la
levigazione di così grandi blocchi di vetro
trascendono le forze umane, laddove, la confezione
dei tasselli dello spessore di un centimetro e
dell’area di circa un decimetro quadrato è impresa
facilissima per un’officina bene attrezzata; e mentre
intorno alla superficie integra del diametro di un
metro e dieci travagliano in molti per più di un
anno, in poche settimane si preparerebbero gli
ottanta tasselli che valgono a comporre uno
specchio della stessa apertura; senza parlare della
spesa che sta nel rapporto di uno a mille. [...] Ma
non ultimo il vantaggio dell’area frazionata che si
avrà nello scomparire del nocivo effetto della
deformazione, che i grandi blocchi di vetro
subiscono col variare della temperatura.»
(Telescopi dell’avvenire e specchi a tasselli,
Coelvm, 6, 1932, 121-125).


Horn per il suo telescopio fece anche domanda di
brevetto nel 1932 al Ministero delle Corporazioni
a Roma, tuttavia senza mai ottenerlo. Nelle


rivendicazioni per l’ottenimento del brevetto,
scrisse: «La novità dell’invenzione consiste
nell’impiegare per gli usi astronomici, e col rigore
voluto dalle immagini stellari, superficie speculari
costituite di tanti pezzi, in luogo della superficie
integra finora usata, e nell’aggiustamento dei
singoli pezzi, o tasselli, mediante appositi piuoli a
vite, spostabili secondo tre direzioni ortogonali».
Tra ditte di ottica che si rifiutarono di attuare il
progetto per intero e l’arresto del progetto dato
dal momento storico di quegli anni così difficili,
l’opera fu terminata circa quindici anni dopo. Negli
anni immediatamente successivi alla Seconda
guerra mondiale si giunse infatti allo strumento
definitivo: un telescopio da 1,8 metri, con
specchio primario basato su 61 tasselli esagonali,
ognuno dei quali regolabile per fornire la
curvatura prevista, con cui effettuò le prime
osservazioni del cielo di Bologna ad alta
sensibilità.

Guido Horn d’Arturo non riuscì mai a brevettare la
sua idea dello specchio a tasselli, ma il suo
telescopio diventò il progenitore di una lunga
serie di strumenti realizzati anni dopo, rendendo
l’astronomo italiano autore di una vera e propria
rivoluzione nello sviluppo della moderna
astronomia osservativa.
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