National Geographic Italy - 11.2019

(Tina Meador) #1
Questo poster di una
donna che flette i muscoli
apparve nelle fabbriche
della Westinghouse per
due settimane nel 1943.
Si ritiene che sia basato
sulla foto di un’operaia
nell’officina meccanica
della Naval Air Station
ad Alameda, California,
una delle oltre 300.000
donne che lavorarono
nell’industria dell’aviazione
durante la Seconda guerra
mondiale. Solo a partire
dagli anni Ottanta diventò
popolare come icona
dell’emancipazione femminile.

giardinaggio. Ma la storica e attivista Lisa Unger Baskin ha indagato sul lavoro
femminile fino a sette secoli fa, scoprendo che le donne hanno tenuto in piedi


il mondo sputando sangue in molte mansioni considerate “maschili”. «È così
importante per le nostre ragazze, e anche per le donne, capire ciò che possono


fare e che possono essere, affinché non resti solo nella loro immaginazione», mi
ha detto di recente Baskin. «Ed è così importante per gli uomini, in realtà per


noi tutti, assistere alle conquiste femminili, perché nel corso dei secoli gli esseri
umani sono stati condizionati a vedere le donne come il sesso più debole e meno


capace, mentre tutto attorno a noi ci sono prove che dimostrano il contrario».


Unger Baskin ha passato una vita raccogliendo prove a sostegno della sua tesi,
accumulando una straordinaria collezione che documenta il lavoro delle donne


con fotografie, libri, cartoline, manufatti, lettere e oggetti di uso comune. Ritiene
che la sua collezione, ospitata alla Duke University, sia il più grande archivio al


mondo sul lavoro e sull’imprenditoria femminile.
Le donne si sono occupate con successo di lavori a lungo considerati esclusiva


degli uomini. Hanno fatto le operaie, le scienziate, le stampatrici, le navigatrici e
le meccaniche, magari mantenendo un profilo basso per evitare critiche, oppure


risultando invisibili semplicemente a causa del loro genere. «L’idea che le donne


non abbiano mai fatto cose che sono da sempre dominio maschile è falsa,
punto», aggiunge Baskin.


La raccolta di Unger Baskin nasce dalla curiosità e dall’indignazione. La ricer-
catrice ha visitato fiere del libro e aste di libri rari alla ricerca delle prove del fatto


che le donne abbiano sempre letto, studiato e lavorato. Ha scoperto per esempio
che le donne avevano il permesso di ereditare e gestire una tipografia se restavano


vedove perché quel lavoro era importante e le competenze per portarlo avanti erano
rare; ci sono state diverse donne tipografe degne di nota nell’America coloniale.


Ha scoperto che Sara Clarson lavorava come muratore in Inghilterra nel 1831, o
che Margaret Bryan inserì matematica e astronomia nel programma di studi della


sua scuola per ragazze a Londra nel 1799. Ha scoperto che Maria Gaetana Agnesi


scrisse un manuale di matematica tradotto in diverse lingue a Milano a metà del
Settecento e che la naturalista e illustratrice Maria Sibylla Merian eseguì le prime


osservazioni e disegni della metamorfosi degli insetti in contesti naturali.
In quanto collezionista, spesso Unger Baskin non veniva presa molto sul serio.


Questo è stato un vantaggio per lei, perché le ha consentito di ottenere documenti,
libri, lettere personali, ricami, incisioni - cose che nessuno voleva o capiva - spesso


per un paio di dollari in librerie, fiere e mercatini delle pulci.
Quando parla delle sue scoperte, si ha l’impressione che le donne che ha sot-


tratto all’anonimato fossero sue vecchie amiche. Una storia che spezza il cuore è


quella di una schiava chiamata Alsy, che viveva in Virginia. Baskin l’ha trovata
sul frammento di un certificato medico del 1831 in cui un medico descriveva un


dispositivo per tenere su l’“utero prolassato” di Alsy, in modo che potesse ancora
“rendersi utile”. L’umanità del soggetto era di scarso interesse, ma la sua manodo-


pera era così importante che le era stato ordinato di rimettersi in piedi. Secondo
Unger Baskin, questa storia particolarmente straziante mostra come le donne nel


tempo siano state considerate inferiori, e tuttavia essenziali.
La collezione comprende documenti di donne ridotte in schiavitù e vincolate


per contratto, nonché oggetti legati a Harriet Beecher Stowe, Emma Goldman,


Elizabeth Cady Stanton, le sorelle Brontë, Virginia Woolf e Sojourner Truth.
Baskin vede la sua raccolta come uno specchietto retrovisore capace di guidare


le donne mentre procedono in avanti, immaginando un futuro possibile ma
evitando gli errori del passato.


Una delle lezioni da imparare è quella dell’inclusione. I movimenti per l’emanci-
pazione delle donne del passato - che risalgono anche al Settecento - erano guidati da


e ruotavano attorno a donne bianche, istruite, di classe alta. Persino le abolizioniste
che lottavano per i diritti delle schiave spesso tenevano socialmente a distanza quelle


donne. Sojourner Truth è celebre per aver scosso la coscienza nazionale americana,
ma tra lei e le abolizioniste come Stowe c’erano tensioni. Truth era indipendente,


parlava bene, vestiva bene e agiva troppo da pari a pari. Questo schema si sarebbe


ripetuto nel movimento delle suffragette e nel movimento per i pari diritti, fino
alla seconda ondata di femminismo negli anni Settanta.


NOVEMBRE 2019
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