Come
facciamo a
cambiare un
sistema che
è concepito
in modo da
offrire alle
donne solo
qualche
briciola in
termini di
sicurezza
personale,
rispetto,
guadagni,
prestigio o
approvazione?
La lettera, pubblicata sulla rivista Time, recitava, fra l’altro: “Vorremmo poter
dire che siamo sconvolte nell’apprendere che questo è un problema pervasivo
nel vostro settore. Purtroppo non siamo affatto sorprese perché è una realtà che
conosciamo fin troppo bene”. Letta ad alta voce a un ritrovo di Time’s Up a Beverly
Hills dall’attrice America Ferrera, la lettera ha provocato una cascata di lacrime,
come racconta Michelle Kydd Lee, una delle prime organizzatrici di Time’s Up e
responsabile dell’innovazione per Creative Artists Agency.
«Possiamo sollevarci come sorelle di tutte le classi e le razze e creare insieme
un nuovo linguaggio che ci permetta di celebrare le nostre differenze e celebrare
in vera fratellanza quello che ci lega?», si domanda Lee. «Siamo tutte coinvolte in
questa lotta».
Nel giro di un anno, il gruppo aveva raccolto 22 milioni di dollari per un
fondo di difesa legale destinato ad aiutare dipendenti di alberghi, operatrici
sanitarie, operaie in fabbrica, guardie di sicurezza, avvocate, accademiche e
artiste a cercare parità di stipendio, condizioni sicure di lavoro e protezione
dalle molestie sessuali.
Rhimes è riuscita a creare il genere di ambiente lavorativo che aveva sempre
desiderato, ma sa che la maggioranza delle donne non può godere di questo
lusso. Nei mesi in cui le star di Hollywood si incontravano almeno una volta al
giorno, Rhimes era quella che spingeva il gruppo a pensare in grande: non solo a
immaginare di poter riparare il sistema, ma a immaginare come il sistema avrebbe
dovuto funzionare fin dall’inizio, libero dalle dinamiche di potere che conferivano
istintivamente una condizione subalterna alle donne.
Anche nel momento in cui le donne stavano assumendo il controllo e cercando
di promuovere un movimento davvero globale, anche mentre univano in un rug-
gito collettivo, gli stereotipi di genere potevano ancora avere un effetto pernicioso,
creando una specie di istintiva reticenza.
«Continuo a trovare molto triste che le persone abbiano paura di pretendere
l’uguaglianza», spiega Rhimes. E le donne «sembrano davvero averne paura», os-
serva, aggiungendo di averlo constatato più volte «dal modo in cui chiedono scusa
e cercano di negoziare i loro contratti, dal modo in cui cercano di farsi valere».
A volte le donne che vogliono cambiare il mondo, o almeno andare dove le
portano i loro talenti e i loro interessi, devono contrastare o rifiutare quella vocina
nella loro testa che alimenta le insicurezze e ci suggerisce come dovremmo o non
dovremmo comportarci. È come un segnale lampeggiante che dice “muovetevi
con prudenza”: se fate pressione, dite la vostra o fate valere i vostri diritti, prepa-
ratevi a essere viste come la nera arrabbiata, la latina esuberante, la megera, la
petulante, l’agitatrice, la piantagrane e appellativi ancora più insultanti.
Secondo Rhimes, molte donne faticavano ad accettare l’idea di chiedere
l’uguaglianza. «Era più una questione di: “Come possiamo fare in modo che
gli uomini si sentano a loro agio con il piccolo pezzo di torta che stiamo re-
clamando?”», continua. «È un punto di partenza abbastanza assurdo, dover
implorare le persone perché ti concedano un minuscolo frammento di quello
che dovrebbe già essere tuo».
Come facciamo quindi a cambiare un sistema che è concepito in modo da
offrire alle donne solo qualche briciola in termini di sicurezza personale, ri-
spetto, guadagni, prestigio o approvazione? Come possiamo rifiutare di dare
il nostro consenso quando il sistema ci relega in una posizione secondaria e a
tutti gli effetti “inferiore”?
Ricordate la citazione attribuita a Eleanor Roosevelt? È venuto fuori che pro-
babilmente lei non ha mai pronunciato quelle parole precise. In risposta a una
domanda su un presunto affronto, però, aveva questo da dire: “Un affronto è lo
sforzo di una persona che si sente superiore di far sentire qualcun altro inferiore.
Per farlo, deve trovare qualcuno che possa essere indotto a sentirsi inferiore”.
Le persone avvantaggiate dallo status quo sono sempre in cerca di persone
da far sentire inferiori. È questo il terreno traballante su cui si reggono. Ma in
questo momento, quando ci sono tante promesse e una così grande posta in
gioco, dobbiamo fare in modo che non sia più così facile trovare donne e ragazze
disposte a sentirsi inferiori. Dobbiamo far sì che conoscano il loro potere e il
loro posto, da uguali. j
Michele Norris ha presentato
per un decennio il programma
della NPR (la radio pubblica
statunitense) All Things Con-
sidered. È direttrice e fonda-
trice del Race Card Project, un
archivio di storie che indaga
su razza e identità culturale.
NATIONAL GEOGRAPHIC ITALIA