National Geographic Italy - 11.2019

(Tina Meador) #1
IL MUSEO DEL GENOCIDIO DEL RUANDA è un posto inquietante, uno dei
monumenti della capitale Kigali che ricordano i 100 giorni dell’atroce
conflitto tribale del 1994. L’orrore si scatenò quando gli estremisti Hutu
accusarono i ribelli Tutsi di aver abbattuto un aereo con a bordo il pre-
sidente del Ruanda, Juvenal Habyarimana, e il presidente del Burundi,
Cyprien Ntaryamira. Habyarimana, come l’85 per cento circa della po-
polazione ruandese, era Hutu. Le tensioni seguite a quell’incidente mor-
tale esplosero in una follia omicida che provocò la morte di un milione
di Tutsi. Anche migliaia di Hutu restarono uccisi. Fu denunciato lo stu-
pro di un quarto di milione di donne, e più di 95 mila bambini rimasero
orfani. Quando il conflitto finì, la popolazione superstite, circa sei milioni
di persone, era in stragrande maggioranza femminile.
I visitatori del museo Campaign Against Genocide attraversano sette
gallerie in penombra, tra immagini e video strazianti e mappe alle pareti,
prima di emergere nella luce al neon della liberazione nelle ultime due
stanze. Il museo sorge nel cuore amministrativo della capitale, vicino al
Parlamento e di fronte alla Corte suprema, istituzioni che sono state
trasformate per sempre dalle atrocità.
Alice Urusaro Karekezi ricorda quei giorni bui e i dubbi su come il Ruanda
avrebbe potuto andare avanti. Avvocata per i diritti umani, nel 1977 ha gui-
dato la campagna per perseguire gli stupri come crimine di guerra, e nel
1999 ha contribuito a fondare il Center for Conflict Management.
«La maggioranza dei morti erano uomini», dice. «La maggioranza dei
profughi, uomini. La maggioranza dei carcerati, uomini. Chi poteva
mandare avanti il paese?».
Spinte dalla tragedia, dalla necessità, dal pragmatismo, le donne - fino
all’80 per cento della popolazione superstite del Ruanda - si sono fatte
avanti per riempire il vuoto di potere. Aiutati dai gruppi femminili della

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