Le Scienze - 11.2019

(Tina Sui) #1

44 Le Scienze 6 15 novembre 2019


Prendiamo l’esperienza del colore, per esempio il rosso vi-
vace della tazzina di caffè sulla mia scrivania. La tazzina appare
realmente rossa: la sua rossezza sembra reale come la sua roton-
dità e la sua solidità. Questi aspetti della mia esperienza sembra-
no davvero proprietà esistenti del mondo, rilevate dai nostri sensi
e rivelate alla nostra mente tramite i meccanismi complessi del-
la percezione.
Eppure, dai tempi di Isaac Newton sappiamo che i colori non
esistono, là fuori nel mondo; sono invece inventati dal cervello a
partire da mescolanze di lunghezze d’onda differenti di una radia-
zione elettromagnetica che è senza colore. I colori sono un truc-
co ingegnoso escogitato dall’evoluzione per aiutare il cervello
a tenere traccia delle superfici al mutare delle condizioni di illu-
minazione. E noi esseri umani possiamo percepire solo una fetta
sottile dell’intero spettro elettromagnetico, annidato tra il mini-
mo dell’infrarosso e il massimo dell’ultravioletto. Ogni colore che
percepiamo, ogni parte della totalità di ciascuno dei nostri mondi
visivi, proviene da questa sottile fetta di realtà.
Questa semplice conoscenza è sufficiente per dirci che l’espe-
rienza percettiva non può essere una rappresentazione esauriente
di un mondo esterno oggettivo; che è, insieme, più e meno di tutto
questo. La realtà che noi sperimentiamo – come le cose appaiono



  • non è un riflesso diretto delle cose che sono realmente là fuori. È
    una costruzione ingegnosa del cervello per il cervello. E se il mio
    cervello è differente dal vostro, anche la mia realtà potrebbe esse-
    re differente dalla vostra.


Il cervello predittivo


Nell’allegoria della caverna di Plato-
ne, alcuni prigionieri sono incatenati
fin dalla nascita nella profondità di una
caverna, appunto, e così vedono solo
un gioco di ombre proiettate da oggetti
che passano davanti a un fuoco posto al-
le loro spalle; attribuiscono poi alle om-
bre dei nomi perché, per loro, le ombre sono la realtà. Mille anni
dopo, ma pur sempre ancora mille anni fa, lo studioso arabo Ha-
san Ibn al-Haytham (conosciuto anche come Alhazen) scrisse che
la percezione, nel qui e ora, dipende da processi di «giudizio e in-
ferenza», e che non implica l’accesso diretto a una realtà oggetti-
va. Qualche centinaio di anni dopo Immanuel Kant realizzò che il
caos dei dati sensoriali illimitati rimarrebbe per sempre privo di
senso se non ricevesse una struttura da concezioni preesistenti, o
«credenze», che comprendevano, per lui, schemi a priori come lo
spazio e il tempo. Il termine di Kant «noumeno» si riferisce alla co-
sa in sé – Ding an sich – una realtà oggettiva che sarà per sempre
inaccessibile alla percezione umana.
Oggi queste idee hanno ricevuto un nuovo impulso da un insie-
me influente di teorie centrate sull’idea che il cervello sia una sor-
ta di macchina delle previsioni, e che la percezione del mondo – e
dell’io al suo interno – sia un processo di previsione basato sul cer-
vello circa le cause dei segnali sensoriali.
Queste nuove teorie si fanno risalire in genere al fisico e fisiolo-


go tedesco Hermann von Helmholtz, il quale sul finire dell’Otto-
cento propose la teoria secondo cui la percezione sarebbe un pro-
cesso di inferenza inconscia. Verso la fine del secolo scorso l’idea
di von Helmholtz è stata ripresa dagli scienziati cognitivi e dagli
studiosi di intelligenza artificiale, che l’hanno riformulata nei ter-
mini di quella che oggi è generalmente conosciuta come codifica,
o elaborazione, predittiva.
L’idea centrale della percezione predittiva è che in ogni mo-
mento il cervello cerca di capire che cosa c’è là fuori nel mondo (o
qui dentro nel corpo) facendo e aggiornando di continuo le ipote-
si migliori sulle cause dei suoi input sensoriali. Il cervello forma
le ipotesi combinando aspettative a priori sul mondo, o «creden-
ze», con i segnali sensoriali in entrata in modo da tenere conto del
grado di attendibilità dei segnali stessi. Gli scienziati concepiscono
questo processo come una forma di inferenza bayesiana, un qua-
dro che specifica come aggiornare credenze o ipotesi migliori con
i nuovi dati quando entrambe sono cariche di indeterminazione.
Nelle teorie della percezione predittiva, il cervello approssima
questo tipo di inferenza bayesiana generando di continuo previ-
sioni sui segnali sensoriali e confrontando queste previsioni con i

segnali sensoriali che raggiungono occhi e orecchie (e naso e pun-
ta delle dita, e ogni altra superficie sensoriale, esterna e interna al
corpo). Le differenze tra i segnali sensoriali previsti e i segnali rea-
li generano i cosiddetti errori di previsione, che il cervello usa per
aggiornare le sue previsioni, predisponendolo alla tornata succes-
siva di input sensoriali. Cercando di rendere minimi gli errori di
previsione sensoriale ovunque e in ogni istante, il cervello adotta
un’inferenza bayesiana approssimativa, e l’ipotesi bayesiana mi-
gliore risultante è quello che noi percepiamo.
Per capire quanto radicalmente questa prospettiva cambia le
nostre intuizioni sulle basi neurologiche della percezione, è uti-
le pensare in termini di direzione dal basso verso l’alto (bottom-up)
e dall’alto verso il basso (top-down) del flusso dei segnali nel cer-
vello. Se supponiamo che la percezione sia una finestra diretta su
una realtà esterna, allora è naturale pensare che il contenuto del-
la percezione sia trasmesso da segnali bottom-up, quelli che scor-
rono dalle superfici sensoriali verso l’interno. I segnali top-down
potrebbero contestualizzare o perfezionare quello che è percepi-

Anil K. Seth è professore di neuroscienze cognitive
e computazionali all’Università del Sussex, nel
Regno Unito, e condirettore del Sackler Center for
Consciousness Science nella stessa università. Le sue
ricerche riguardano le basi biologiche della coscienza.

La realtà che percepiamo non è un riflesso diretto
del mondo oggettivo esterno.
Essa è invece il prodotto delle previsioni del

cervello sulle cause dei segnali sensoriali in
entrata.
La proprietà della realtà che accompagna le

nostre percezioni potrebbe servire per guidare il
nostro comportamento, in modo da rispondere
appropriatamente alle fonti dei segnali sensoriali.

IN BREVE

Quella che chiamiamo allucinazione è una forma di

percezione incontrollata, proprio come la percezione

normale è una forma controllata di allucinazione
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