Internazionale - 01.11.2019

(Ron) #1

Sommario


internazionale.it/sommario

1/7 novembre 2019 • Numero 1331 • Anno 27


“È cominciata la vendetta dei marziani”
Daniel MataMala a pagina 21

aMeriche
20 Una piazza
unita
per cambiare
il Cile
La Tercera
22 L’Argentina
sceglie Alberto
Fernández
The New York Times

africa
e MeDio oriente
26 Iraq e Libano
contestano
l’influenza
dell’Iran
L’Orient-Le Jour
28 L’uccisione di
Al Baghdadi non
cambierà nulla
Haaretz
30 I guineani
si oppongono
al terzo mandato
di Condé
Le Point
Afrique

asia e pacifico
32 Perché i giovani
lasciano
il Vietnam
per l’Europa
Agence France-Presse

e u r o pa
34 Le speranze tradite
dei Balcani
Novosti

visti Dagli altri
38 Il parere sospetto
di Giuseppe Conte
Financial Times
40 Matteo Salvini
è tornato e vuole
vendicarsi
Bloomberg

aMerica latina
54 Nel mirino
di Trump
The New Yorker

australia
6 0 Una terra ostile
The New York
Review of Books

portfolio
68 Non cancellare
Jessica Wynne

ritratti
74 Hatice Cengiz.
Amore spezzato
Der Spiegel

viaggi
78 Nomadi
in Mongolia
Coyote

graphic
journalisM
80 Cartoline dal lago
di Garda
Marco Galli

architettura
82 Sempre
più in alto
The Guardian

pop
98 Est, ovest
e l’Europa
senza miti
Jarosław Kuisz

scienza
104 Il deficit
di attenzione
riguarda tutti
Aeon

econoMia
e l av o r o
108 Il bilancio
di Mario Draghi
Die Zeit

cultura
84 Cinema, libri,
musica, schermi, arte

le opinioni
16 Domenico
Starnone
42 Amira Hass
44 Evgeny Morozov
86 Goffredo Fofi
88 Giuliano Milani
92 Pier Andrea Canei
94 Giorgio Cappozzo

le rubriche
16 Posta
19 Editoriali
111 Strisce
113 L’oroscopo
114 L’ultima

Articoli in formato
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in copertina
Tutta un’altra carne
Le preoccupazioni per il clima e per la sofferenza degli animali stanno
accelerando la transizione verso le alternative alla carne. Le
multinazionali dell’alimentazione sono pronte ad approfittarne
(p. 46). Foto di Dudarev Mikhail (Shutterstock)

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esclusiva per l’Italia gli articoli
dell’Economist.

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conflitto


la settimana


“Il Cile somiglia a un’oasi perché abbiamo
una democrazia stabile e l’economia in
crescita”. Dopo tremila arresti, mille feriti,
diciannove morti e la più grande
manifestazione della storia del paese
che ha portato in piazza un milione di
persone, le parole di Sebastián Piñera,
presidente del Cile e miliardario,
pronunciate appena quindici giorni fa in
un’intervista al Financial Times, suonano
surreali. Come è possibile che di colpo il
Cile si sia trasformato da oasi di stabilità in
terreno di un conflitto sociale e politico di
rara asprezza? “No son 30 pesos, son 30
años”, ripetono i manifestanti: il problema
non è l’aumento di 30 pesos del biglietto
della metropolitana di Santiago, che ha
scatenato le proteste, ma trent’anni di tagli
alla sanità, all’istruzione, alle pensioni. In
questo paese di 18 milioni di abitanti, gli
indicatori della disuguaglianza sono chiari.
Da una parte il Cile ha il pil pro capite più
alto del Sudamerica. Dall’altra il 30,5 per
cento della ricchezza finisce all’1 per cento
della popolazione. Nel 2012, il totale del
reddito dei cinque cileni più ricchi (tra cui
Piñera) era uguale al totale del reddito dei
cinque milioni di cileni più poveri. L’acqua
è in mano ad aziende private, metà dei
lavoratori non guadagna più di 488 euro al
mese, la pensione media delle donne è di
239 euro e la costituzione in vigore è ancora
in gran parte quella imposta nel 1980 dalla
giunta militare, la stessa giunta che nel
1973 fermò con la violenza l’esperimento
socialista e democratico di Salvador
Allende. Le proteste riusciranno a
trasformarsi in programmi di governo e di
cambiamento? Come nota Marcelo Mella,
politologo cileno, in un paese in cui alle
ultime elezioni ha votato solo il 49 per
cento degli elettori l’enorme mobilitazione
di questi giorni sembra un’inversione
di tendenza dopo “trent’anni segnati da
una crescente depoliticizzazione”.
La cosa sorprendente non è che il Cile si
rivolti proprio ora, ma che non l’abbia fatto
fino a oggi. u


Giovanni De Mauro

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