di Cosimo Cito
La possibilità per gli allenatori di
chiamare la moviola è il principio
cardine del Video-Check, il Var del
volley, introdotto nel 2013 nel cam-
pionato italiano. Andrea Zorzi, uno
dei fenomeni della Generazione az-
zurra che dominò la pallavolo negli
anni Novanta, poi commentatore di
calcio in tv e attore teatrale, è favore-
vole. «Ho letto la proposta di Gianni
Mura su Repubblica, mi trova
d’accordo. È un’idea con una logica
che prende avvio da un principio: il
calcio aveva grandi aspettative dal
Var e fin qui è rimasto deluso dalla
sua applicazione».
La differenza tra calcio e volley è
nel numero di situazioni in cui la
tecnologia può essere utilizzata.
«Indubbiamente: la pallavolo ha solo
nove casi in cui può essere dirimente
la moviola. Il calcio ne ha decine.
Quelle della pallavolo sono situazioni
“geometriche”, palla dentro o fuori,
tocco o non tocco, riga pestata o no.
Nel calcio c’è molta più varietà di
azioni».
Il Video-Check nel volley è ora
anche un’arma tattica, usata come
un time-out.
«Sì, spesso viene utilizzato per
interrompere una serie positiva degli
avversari, per intervenire nel
momento in cui la partita sta
sfuggendo di mano. E infatti le
chiamate si concentrano soprattutto
sui punti finali. Capire come gestire
al meglio i “challenge” è anche una
delle caratteristiche di un buon
allenatore. E ci vuole una grande
intesa con i propri giocatori, perché
si hanno solo 7” dalla fine dell’azione,
per capire cos’è successo e chiedere
la moviola».
Quali vantaggi potrebbe avere
l’introduzione della doppia
chiamata per tempo del Var da parte
della panchina, nel calcio?
«Più che di vantaggi parlerei di una
mutazione genetica della
“responsabilità”: non sarebbe più
dell’arbitro, ma dell’allenatore. Oggi
la domanda più ricorrente è: perché
l’arbitro non è andato a rivedere
l’episodio? Alla parola arbitro si
sostituirebbe la parola “allenatore”,
cambierebbe tutto. Anche se ho un
timore».
Quale?
«Che un modo per fare polemica lo
troveremmo lo stesso. All’inizio,
quando venne introdotto il Var, non
avevamo capito come attaccarlo,
come “colpevolizzarlo”. Poi ci siamo
arrivati. Ma la tecnologia è solo un
aiuto, non è né buona né cattiva,
dipende dall’uso che se ne fa».
Uno degli obiettivi del Var era
quello di eliminare dal gioco la
furbizia: ha funzionato?
«Nella pallavolo sì. Ma anche nel
calcio le simulazioni sono diminuite.
Quello che non si è riusciti a fare è
portare allo 0 la percentuale di errore
nei casi dubbi, e da questo deriva la
delusione: molte situazioni nel calcio
sono interpretabili. Nella pallavolo
esiste solo il fallo in doppio palleggio
su cui non può intervenire il
Video-Check. È vero, parliamo di
mondi distanti. Ma introdurre la
chiamata dalla panchina anche nel
calcio ridarebbe centralità e serenità
all’arbitro e al tempo stesso
confermerebbe il valore e
l’importanza della tecnologia».
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L’intervista
Zorzi “Nel volley funziona
e l’arbitro è più sereno”
di Matteo Pinci
Nel tennis si chiama challenge e ha
messo d’accordo quasi tutti. Come
nella pallavolo e negli altri sport in
cui l’intervento della moviola può es-
sere chiesto direttamente dai prota-
gonisti in campo. Nel calcio no, non
ancora almeno. Ma dopo il turno in-
frasettimanale da incubo il Var, così
com’è, è tornato in discussione.
Gianni Mura, su Repubblica, ha
lanciato la proposta: dare ai capita-
ni, o agli allenatori, il diritto di chie-
dere la revisione delle azioni dub-
bie. Su questo punto l’Italia è in pri-
ma linea con una proposta analoga
presentata in via informale tempo
fa alla Fifa, e all’Ifab (il board che cu-
stodisce il regolamento del calcio).
Il Var “su richiesta” è un’ipotesi tut-
ta italiana, ma nessuno si espone
apertamente: se gli arbitri non ne so-
no entusiasti, la Federcalcio in futu-
ro potrebbe attuare meccanismi per
vagliarne pro e contro. I maggiori so-
stenitori sono i presidenti della Se-
rie A, attratti dall’idea di avere un
ruolo nell’utilizzo della tecnologia.
Così nasce lo sfogo mercoledì se-
ra del numero uno del Napoli, Aure-
lio De Laurentiis, dopo che l’arbitro
Giacomelli ha ignorato un placcag-
gio in area dell’atalantino Kjaer ai
danni del napoletano Llorente, da
cui è scaturito il pareggio dell’Ata-
lanta al San Paolo. Episodio vivise-
zionato da tutte le tv ma che il diret-
tore di gara ha rivisto solo nello spo-
gliatoio sul proprio telefonino, non
in campo. In realtà l’unico errore
certificato della giornata di campio-
nato è stata l’espulsione del romani-
sta Fazio a Udine, visto che sull’epi-
sodio di Napoli pesa un fallo in attac-
co. Ma negli occhi di tutti resta un
mercoledì nero. E se il rivedere gli
episodi non avrebbe cambiato l’o-
rientamento dei fischietti, magari
avrebbe rasserenato Ancelotti (fer-
mato per un turno dopo essere en-
trato in campo per calmare i suoi).
Anche questo aveva spinto tempo
fa l’Italia (tra i pionieri del Var che ot-
tenne di sperimentare già nel
2016/17) a promuovere una discus-
sione intorno al challenge nel calcio.
La proposta era di concedere una o
due chiamate per tempo agli allena-
tori che “obbligassero” l’arbitro a ri-
vedere l’episodio incriminato. La
proposta fu argomento di valutazio-
ni internazionali, ma non accolta.
Perché il calcio ha scelto di non se-
guire quella strada? Perchè conce-
dere il challenge vorrebbe dire certi-
ficare una sfiducia verso il Var. Che,
a differenza di quanto avviene nel
tennis o nel volley, già oggi vede e
controlla silenziosamente tutto: im-
porre all’arbitro di rivedere i casi
vorrebbe dire sfiduciare chi è al mo-
nitor. Per introdurre il challenge bi-
sognerebbe quindi cambiare il rego-
lamento, togliendo la visione conti-
nua che garantisce uno zoom su
ogni singolo episodio, per far posto
a una moviola più “soft”. Chi avanza
le richieste avrebbe poi un’aspettati-
va che, se insoddisfatta dalla decisio-
ne finale potrebbe far scaturire la-
mentele anche più accese. Per non
parlare della possibilità che un alle-
natore affidi il monitoraggio degli
episodi a un suo consulente esterno
seduto al video. Col rischio di scredi-
tare il parere dell’arbitro che doves-
se decidere in senso opposto o di ali-
mentare polemiche maggiori: in fon-
do nel calcio le interpretazioni han-
no spesso margine di discrezionali-
tà. Non come nel tennis o nel volley,
dove si valutano situazioni di gioco
oggettive. L’idea del challenge ha un
vantaggio evidente, però: rendere
più trasparente la procedura di vi-
sione degli episodi chiave, in attesa
della sala unica del Var a Covercia-
no: la stanza in cui dal 2020 verran-
no rivisti tutti gli episodi, e che per-
metterà di assistere alle decisioni de-
gli arbitri in diretta. Il Var del Var,
cui però nessuno potrà dire cosa an-
dare a rivedere. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
La moviola su
chiamata sposta
la responsabilità
sull’allenatore:
ha solo 7 secondi
dalla fine dell’azione
per chiederla
Sport
54 anni
Andrea zorzi, ex
schiacciatore
azzurro
ANSA/CIRO FUSCO
il caso
Il Var a gentile richiesta
Al calcio italiano piace l’idea
f
g
pagina. 44 Venerdì,1 novembre 2019