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«C
he l’Italia non sia un Paese
per giovani è risaputo.
Questa lettera non vuole essere
una collezione di dati sul
drammatico invecchiamento della
popolazione ma un tentativo di
spiegare come ci si sente a
trent’anni in un’Italia che sembra
non amarci più. Non sono una
delle 160.000 persone che nel 2019
ha lasciato il Paese ma potrei
esserlo nel 2020. Perché? Perché
io, come molti altri miei coetanei,
oltre a non potermi permettere un
appartamento nella città che amo,
sento che sto vivendo in un
contesto sempre meno umano che
non mi fa sentire a casa.
Non si tratta solo di quali politiche
di Welfare promuovete e di
quanto abbassate le tasse, ma
anche di quale umanità e fiducia
trasmettete alle nuove
generazioni: vi sembra giusto che
dopo la laurea si passi da uno stage
non pagato all’altro sperando
nell’arrivo di un contratto? Vi
sembra giusto venire mortificati
da persone che limitano le nostre
ambizioni perché si sentono
personalmente tradite? Vi sembra
giusto licenziare “quello più
giovane” perché “tanto è
giovane”?
Ma come vi permettete di
chiamarci bamboccioni se
ottenere un indeterminato è
questione di fortuna e metter su
famiglia un privilegio? Come vi
permettete di esigere giovani con
valori più saldi che scendano in
piazza come dite “facevamo noi
alla vostra età” se ogni giorno ci
insegnate che è meglio tacere per
non sollevare questioni e se ci
mortificate con compiti da
stagista per non renderci
autonomi?
Quando discutete tra di voi
chiedetevi non solo come
migliorare le politiche di Welfare
ma anche come sradicare
un’impostazione culturale tutta
italiana in cui tirocinio equivale a
sfruttamento e ambizione è
sinonimo di arroganza. Chiedetevi
come vorreste che venissero
trattati i vostri figli quando
entrano nel mondo del lavoro e
riflettete su come voi trattate noi
giovani che vostri figli non siamo.
Lo sforzo di elevarsi di una società
passa dall’impegno quotidiano di
ogni individuo. Noi abbiamo
ancora tanto da apprendere ma ci
proviamo davvero a laurearci con
il massimo dei voti e a imparare
l’inglese, a dimostrarvi che non
siamo solo giovani ma anche
giovani e volenterosi. E voi quale
umanità e quali valori ci
insegnate? Di quale Italia sperate
di farci innamorare?».
Certificato ADS n. 8564
del 18-12-2018
La tiratura de “la Repubblica”
di lunedì 11 novembre 2019
è stata di 180.475 copie
Codice ISSN online 2499-0817
CONSIGLIERI:
Agar Brugiavini,
Giacaranda Maria
Caracciolo di Melito Falck,
Elena Ciallie, Alberto Clò,
Rodolfo De Benedetti,
Francesco Dini,
Silvia Merlo,
Luca Paravicini Crespi,
Carlo Perrone,
Michael Zaoui
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Divisione Stampa
Nazionale
VIA CRISTOFORO
COLOMBO, 90 -
00147 ROMA
Caro Augias, il sindaco di Predappio, Roberto
Canali, ha negato i soldi a un paio di studenti
per un viaggio ad Auschwitz giudicando la gita
non bilanciata dalla memoria di altri crimini:
le foibe e il comunismo. Condivido la pari
dignità delle vittime, ma non le motivazioni che
le hanno provocate. Lo sterminio pianificato di
un intero popolo è di una gravità assoluta.
Eppure, nazismo e fascismo — al contrario del
comunismo — stanno tornando a
contaminarci. Vediamo squadristi ostentare
simboli e pose aggressive, pronunciare parole
d’odio per chi non è della loro religione e
carnagione, usare una tale violenza da
costringere alla scorta una persona come
Liliana Segre. Che continua a testimoniare
l’orrore, che molti chiamano onore. Se il
sindaco Canali da giovane fosse andato ad
Auschwitz, non avrebbe negato questa
profonda esperienza agli studenti. Potrebbe
cogliere l’occasione per andarci con loro.
Massimo Marnetto — Roma
I
l sindaco di Predappio non andrà ad
Auschwitz. Un uomo maturo rimasto
incapace di distinguere l’orrore non si farà
certo spingere a cambiare opinione da
qualche protesta. È anzi possibile che veda in
quelle reazioni — tutto sommato composte,
sommesse — una ragione in più per
confermarsi nelle sue idee. Poche cose sono
più stimolanti del vedere i propri avversari
(nemici?) affannarsi nel tentativo di smentire,
reagire, opporsi, sapendo che nulla più di
quello potranno mai fare. D’altronde ci
opponiamo a che? Alla manifestazione di una
certa concezione dei rapporti umani e
politici? Il sindaco ha diritto di averla, deve
affrontare solo il disagio di squalificarsi agli
occhi di una parte dell’opinione pubblica.
Non è nemmeno più sicuro che quella parte
rappresenti la maggioranza. E dunque! Certo,
a parti rovesciate, se avessero vinto coloro
che il sindaco apprezza, si potrebbe fare
molto di più. Per esempio, mandare qualcuno
a bussare alla porta di casa alle quattro del
mattino: si vesta in fretta, ci segua. Dove?
Nessuna domanda, si sbrighi. Questo rischio
il sindaco non lo corre, da settant’anni in qua
nessuno di noi lo corre, in Italia, in Europa.
Potrebbe essere un pensiero stimolante se si
affacciasse alla mente del sindaco; però ci
vorrebbe uno sforzo della volontà per
suscitarlo, una tensione morale che il sindaco
probabilmente non ha voglia di lasciar
affiorare. Gli posso consigliare la lettura del
libro di Elie Wiesel La notte. Se le pagine
fossero troppe, almeno la lettura di poche
righe, se questo giornale gli capiterà sotto gli
occhi: «Mai dimenticherò quella notte, la
prima notte nel campo, che ha fatto della mia
vita una lunga notte e per sette volte
sprangata. Mai dimenticherò quel fumo. Mai
dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui
avevo visto i corpi trasformarsi in volute di
fumo sotto un cielo muto. Mai dimenticherò
quelle fiamme che bruciarono per sempre la
mia Fede. Mai dimenticherò quel silenzio
notturno che mi ha tolto per l’eternità il
desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli
istanti che assassinarono il mio Dio e la mia
anima, e i miei sogni, che presero il volto del
deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se
fossi condannato a vivere quanto Dio stesso.
Mai». Non servirà a niente ma almeno il
sindaco non potrà più dire di non sapere,
anche se ad Auschwitz non metterà mai
piede.
g
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Le lettere di Corrado Augias
Auschwitz e il sindaco
che non vuole sapere
f
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I dubbi di
una trentenne
davanti
alle difficoltà
e alle resistenze
che affrontano
i giovani
Questione
di centesimi
Simonetta Montecchi
Ho trovato una multa sul
cruscotto della macchina
da pagare entro cinque
giorni con un importo
che ho pagato
puntualmente. Era il 13
novembre 2015. Il 20
gennaio 2016 mi arriva il
verbale come se non
avessi pagato. Invio
tutto. A ottobre 2019 mi
arriva un nuovo verbale
con 106,85 euro da
pagare. Sapete perché?
Perché quando ho pagato
subito ho sbagliato a
leggere i centesimi! Era
incomprensibile, ho letto
e pagato 40 centesimi
invece di 70. A chi serve
perdere tutto questo
tempo per 30 centesimi?
A me no, ma nemmeno
allo Stato. Non so se
ridere o piangere. No.
Voglio protestare.
In pensione
senza pensione
Gelsia Farignoli
Mio marito è andato in
pensione il 1° agosto e
ancora l’Inps non gli
paga la pensione. È
andato per vecchiaia
dunque, oltre ad avere 67
anni, è nel suo pieno
diritto di riceverla. Ma
l’Inps, per inefficienza
oppure per pagare prima
i Quota 100, si arroga il
diritto di lasciarci senza
sostentamento, pur
dovendo noi pagare
bollette e tasse.
Un posto vuoto
in Parlamento
Vera M.
Finita l’Umbria adesso c’è
l’Emilia Romagna. E
Salvini continua a girare
per tutte le città. Ma in
Parlamento lui non ci va
mai? Lo paghiamo per
niente? È da quando ha
vinto le elezioni che fa
campagna elettorale.
Rinascere
come la Ruhr
Mauro Chiostri
La vertenza in corso per
l’acciaieria di Taranto si
inasprisce. L’ambiguo
comportamento di
ArcelorMittal dovrebbe
far capire ai politici che
la questione siderurgica è
da affrontare guardando
al futuro. Il diffondersi di
altri materiali fa
diminuire la richiesta di
acciaio e ghisa, la
concorrenza dei Paesi
emergenti è insostenibile.
L’unica cosa sensata
sarebbe riqualificare il
territorio. Buttare
miliardi pubblici per far
sopravvivere la struttura
esistente comporterebbe
solo una lenta agonia.
L’esempio da seguire è
quello del Bacino della
Ruhr in Germania.
Se il tagliaunghie
non viaggia più
Franco Milletti
Carpi (Modena)
Dopo 20 anni di controlli
di sicurezza “superati” in
decine di aeroporti nel
mondo, ad Amburgo mi
hanno sequestrato il
tagliaunghie. Ci può
stare... ma nello stesso
bagaglio c’erano una
bottiglia “celebrativa”
(vuota) di birra e un
modellino in metallo.
Nulla rispetto a ciò che si
compra dopo i controlli.
Insomma, ti tolgono una
pagliuzza che porti da
casa ma ti consentono di
comprare poi una trave.
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