la Repubblica - 12.11.2019

(Ron) #1
dal nostro inviato
Massimo Calandri

PORTO VENERE — «Stai zitto». La rego-
la numero uno è la discrezione: me-
no persone sanno quel che fai, me-
glio è per tutti. Non parlarne nem-
meno in famiglia. Niente foto in pub-
blico, guai a dare il numero del tuo
cellulare. Facebook, instagram? Per
carità. Gli uomini dei reparti specia-
li non devono avere un volto, neppu-
re una storia personale. Se ce l’han-
no, è importante appaia più “norma-
le” di quella di un impiegato del ca-
tasto. Fantasmi, camaleonti. Comsu-
bin sta per Comando Subacquei e In-
cursori: si addestrano e vivono a Por-
to Venere, La Spezia: nella baia del
Varignano, di fronte al Golfo dei Poe-
ti dove si tuffava Shelley. Molti han-
no messo su famiglia alle Grazie, ac-
canto al Comando “Teseo Tesei”.
La storia va avanti da un secolo, è
cominciata con la prima scuola di
palombari del 1910. E nel suggestivo
borgo marinaro, un migliaio di abi-
tanti, 4 famiglie su 5 hanno almeno
un parente militare. Se chiedete no-
tizie dei 3 incursori feriti nell’atten-
tato iracheno, faranno finta di nien-
te. Perché sanno poco o nulla. Davve-
ro. Il trentenne Andrea Quarto, feri-
to più gravemente a un piede, è l’ul-
timo arrivato dopo l’Accademia di
Livorno: era già stato in Iraq. Ha un
alloggio di servizio in caserma, ma —
visto che l’ultima missione durava 4

mesi — la moglie è tornata in Campa-
nia col piccolo. Michele Tedesco ed
Emanuele Valenza abitano nello
Spezzino: il primo è torinese, il se-
condo di Milano. In passato sono sta-
ti in Afghanistan. Di solito quando
rientrano dagli incarichi, passano al-
tri 4-5 mesi ad addestrarsi. Escono
solo nel tardo pomeriggio di vener-
dì. Dopo il Comando c’è un pub, O
Goto, e poi il bar Povea cà. «Ma non
parlano mai di quel che fanno. Non

siamo sicuri di sapere chi siano. An-
che perché qui nessuno ha voglia di
fare domande».
A Porto Venere, tra Gruppo Opera-
tivo Incursori e Gruppo Operativo
Subacquei, i militari sono circa 400.
Solo per entrare nella scuola del
Comsubin, hanno superato una sele-
zione comune a tutti i reparti specia-
li: 4 settimane di preparazione fisica
e test che prevedono durissime pro-
ve tra corsa e nuoto, piegamenti e

marce; 2 settimane di selezioni psi-
co-attitudinali, le più difficili. «Non
cerchiamo Rambo, ma persone equi-
librate», spiega uno degli istruttori
spezzini. Poi 3 mesi tra paracaduti-
smo e operazioni speciali, quindi la
fase di specializzazione (55 settima-
ne) con corsi di combattimento e di
sopravvivenza in qualsiasi ambien-
te, l’uso di esplosivo e delle radio, la
capacità di resistere agli interrogato-
ri. Negli ultimi anni, su 40 candidati
i promossi si contavano sulle dita di
una mano. Lo stesso succede negli
altri 3 reparti speciali militari: il 9º
Reggimento Paracadutisti d’Assalto
Col Moschin (Esercito), di cui fanno
parte gli altri due feriti dell’attenta-
to iracheno; il 17º Stormo incursori
(Aeronautica) e il Gruppo Interven-
to Speciale dei carabinieri. Quattro
corpi integrati dal 4º Reggimento Al-
pini Paracadutisti e 185º Reggimen-
to Ricognizione e Acquisizione
Obiettivi Folgore. Quattromila uomi-
ni, persone “normali” lontano dalle
missioni. Che parlano poco.

«Pensare che l’Isis sia finito è
un’illusione. Dopo la sconfitta
territoriale, si stima che ci siano
ancora 15.000 unità combattenti in
Siria e in Iraq. Rimangono nascoste,
ma hanno mantenuto le reti di
connessione. Che cosa facciamo
noi laggiù? Da un anno e mezzo
aiutiamo l’esercito iracheno e i
peshmerga curdi che sono
impegnati direttamente nella
caccia ai terroristi». Parla a
Repubblica il generale
dell’Aeronautica Nicola Lanza de
Cristoforis, 59 anni, capo del
Comando interforze per le
operazioni delle forze speciali.
Quelle coinvolte, insieme ad altri
reparti delle nostre forze armate (in
tutto 868 militari italiani), nella
missione “Prima Parthica” iniziata
il 14 ottobre del 2014 e che ha, tra gli
obiettivi, la ricognizione e la
sorveglianza con velivoli e aerei a
pilotaggio remoto, l’attività Air-to
Air refueling a favore degli assetti
della Coalizione, il contributo con
personale qualificato allo staff della
Coalizione, l’addestramento delle
forze di sicurezza curde e irachene.
Le nostre forze non sono dispiegate

solo in Iraq, nell’ambito di tale
missione, ma anche in Kuwait. Sul
terreno ci sono anche gli incursori
del Col Moschin e Comsubin, feriti
nell’attentato bombarolo
rivendicato dallo Stato Islamico.
Qual è esattamente il ruolo
degli incursori?
«A Bagdad e a Kirkuk addestrano i
soldati iracheni del Counter
Terrorism Service e i curdi delle
forze di sicurezza. Addestramento
basico, cioè l’uso dei fucili e tattica,
e di livello avanzato: come si
organizza una missione, come si
fanno perlustrazioni, la gestione
dei rischi. Svolgono un ruolo molto
importante».
Anche quella di domenica può
essere definita come operazione
di addestramento?
«Sì. Il nostro personale stava
aiutando il comandante
peshmerga che dirigeva i curdi
nella perlustrazione di alcuni siti di
interesse per la missione. Non
eravamo direttamente coinvolti.
Non lo possiamo essere, a meno
che non veniamo attaccati: in quel
caso, seguendo le regole di
ingaggio, possiamo rispondere al

fuoco. Al termine di
quell’operazione c’è stata
l’esplosione. L’indagine è in corso,
non posso aggiungere altro.
Come vengono selezionati gli
incursori?
«Devono essere fisicamente
preparati, ovviamente: servono
ragazzi che abbiano forza esplosiva
e altissime capacità di resistenza in
ambienti ostili. Durante
l’addestramento, che può durare
anche due anni, i parà del Col
Moschin sono sottoposti a lunghe
marce con l’equipaggiamento in
montagna sotto la pioggia, o nel
deserto. Gli incursori del
Comsubin devono essere capaci di
nuotare per lunghissime distanze e
poi avere ancora la forza di
arrampicarsi su un bastione o su
una nave. Sono simulazioni di ciò
che potrebbero trovarsi ad
affrontare nelle loro missioni
all’estero».
Il fisico è la caratteristica più
importante?
«No, in realtà è più importante
quella che noi definiamo
“resilienza mentale”».
Cioè?

«In pratica è la capacità di un
soldato di governare il proprio
corpo in situazioni di forte stress, di
resistere alle privazioni, di
rimanere concentrati sull’obiettivo
qualunque cosa stia accadendo
intorno. Soltanto così si sviluppano
doti di creatività, altra qualità
cruciale per superare difficoltà
inaspettate. In addestramento
cerchiamo di prevedere ogni
possibile scenario, ma la realtà
delle missioni ti mette di fronte a
imprevisti che gli incursori devono
essere in grado di risolvere».
Quant’è importante
l’anonimato?
«Per un incursore è tutto. Poche
decine di uomini sono
immediatamente utilizzabili.
Conoscerne l’identità li rende
tracciabili, si può scoprire se sono
inviati in missioni speciali segrete.
Quindi l’anonimato è una
questione di sicurezza. Con i big
data e il riconoscimento facciale,
inoltre, possono diventare obiettivi
di un attentato terroristico. Alcuni
dei ragazzi feriti non avevano
neanche detto ai loro genitori di
trovarsi in Iraq».

MASSIMO SESTINI/MARINA MILITARE

Da un anno e mezzo


collaboriamo con


esercito di Bagdad


e peshmerga curdi


Pensare che l’Isis


sia stato sconfitto


è un’illusione


L’intervista al generale Lanza de Cristoforis


“Noi italiani e le operazioni in Iraq


li aiutiamo nella caccia ai jihadisti”


Nella base del Comsubin


Anonimato e prove durissime


la vita segreta degli incursori


“Ma non chiamateli Rambo”


MASSIMO SESTINI/MARINA MILITARE

Il Comsubin
Il Comando
subacquei
e incursori
è di base a Porto
Venere. Conta
400 uomini
Nella zona, in 4
famiglie su 5
c’è un militare

Il generale
nicola lanza
de cristoforis
59 anni

di Fabio Tonacci

La scheda
I corpi
speciali

Quattro reparti
Sono 4 i reparti
speciali tra
Esercito, Gruppo
Intervento
Speciale
dei Carabinieri
Esercito e Marina
In totale: 4mila
uomini

Primo piano La trappola mediorientale


Pochi
i promossi
su quaranta
candidati
“Cerchiamo
soltanto
persone
equilibrate”

jIl Comando
Nella foto
accanto, gli
incursori in
tenuta d’assalto
compiono
esercitazioni a
bordo dell’unità
Nave Piave. A
sinistra, la base
del Comando
Subacquei ed
Incursori “Teseo
Tesei” della
Marina Militare
a Porto Venere
vista dall’alto
Le foto sono
tratte dal libro
“Uomini oltre”
del fotografo
Massimo Sestini
56 anni
vincitore
del World Press
Photo Award

La selezione
Prevede 4
settimane di
preparazione
fisica, 2 di test
psicoattitudinali
Poi 3 mesi
di operazioni
Infine la fase di
specializzazione

f


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pagina. 8 Martedì, 12 novembre 2019

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