L\'Espresso - 20.10.2019

(Steven Felgate) #1
Politica / Laboratorio regionali

di MARCO FOLLINI

La Dc è stata sì l’autobiograia di un-
tratto della storia italiana, quasi la
sua rivelazione.
Ma la sua ine ha coinciso con un diver-
so racconto, altrettanto vero e profon-
do, che andava prendendo piede nel pa-
ese e che per qualche verso costituiva
un rovesciamento del primo. Dunque,
siamo stati il partito di un pezzo della
storia e dell’identità politica italiana. Ma solo di un pezzo.
L’altro pezzo, quello che è aiorato poco a poco e inine
ha preso il sopravvento, parlava un altro linguaggio, cerca-
va altri interpreti, si raccontava in tutt’altro modo. Aidan-
dosi a mani politiche che non potevano più essere le nostre.
Forse - forse - avremmo potuto guidare il paese lungo
quella transizione. Rompere l’immobilismo della Repub-
blica dei partiti che negli ultimi anni era diventata una
remora lungo la via dello sviluppo economico e civile. E
aprire un percorso di modernizzazione che salvasse la no-
stra identità senza illudersi di poterla pietriicare. Invece,
siamo rimasti fermi. Pensando che il paese fosse, in fondo,
sempre uguale a se stesso; e dunque che anche noi non do-
vessimo fare altro che trovare un modo non troppo datato
per restare noi stessi.
Avevamo addomesticato con tanta sapienza i demoni
del conlitto e avevamo inito per convincerci che l’Italia
fosse sempre quella che si era aidata, magari senza
troppo entusiasmo, alle nostre cure. E non ci rendevamo
conto - o almeno, non ino in fondo - che c’era un’altra
Italia che ribolliva sotto la crosta dei suoi partiti e delle
sue istituzioni, ansiosa di far valere le sue ragioni e i suoi
stati d’animo. Ne avevamo una vaga intuizione, questo sì.
Troppo vaga, però.
Cominciammo a perdere quando prese forma un’altra
Italia, insoferente, impaziente, impolitica, che avevamo
ospitato, minimizzato e tenuto a bada. Un’Italia che ci
assediò da destra e da sinistra, ma soprattutto da dentro.
E che cominciò a svuotarci capovolgendo la lettura della
vicenda politica e della storia nazionale che avevamo
sempre dato.
Naturalmente, la successione alla repubblica democri-

remoto). Potenzialmente un antagonista
insidioso per la leghista Donatella Tesei, lan-
ciata sulla regione da un Salvini che in queste
settimane presidia ogni borgo, al grido l’Um-
bria sarà mia: non fosse per l’handicap di
partenza, un abisso di minor consenso dii-
cile da recuperare in poche settimane. Del
resto è la mission impossible la cifra di tutto,
soprattutto dopo il tracollo inale del Pd, già
partito-Stato dell’Umbria, in evidente afan-
no da anni con la perdita dei feudi di Perugia,
Terni, Foligno e altri 37 comuni, nessun seg-
gio uninominale conquistato alle politiche, e
in caduta libera dopo l’inchiesta «Sanitopo-
li» che in primavera ha malamente messo i-
ne all’epopea della governatrice Catiuscia
Marini, amica di Zingaretti dai tempi della
Fgci. Non che tra i dem se ne faccia mistero,
degli errori: anzi è una lagellazione continua
che forse spera così nell’indulgenza inale.
«Forse è troppo tardi per essere, noi, i succes-
sori di noi stessi? Comunque ora l’atmosfera
è diversa, l’accordo coi grillini ha portato a
un’apertura salutare», dice il deputato dem
Walter Verini, già braccio destro di Veltroni,
arrivato a commissariare la regione dopo l’ar-
resto dell’ex segretario umbro.
Nessuno si fa illusioni, comunque. Si tratta
di convincere gli indecisi, iguriamoci: è co-
me raccogliere il mare col cucchiaino. «Sia-
mo nel momento del bisogno», predica infat-
ti Bianconi, che batte l’intera regione palmo
a palmo, dieci incontri pubblici al giorno,
senza mai perdersi d’animo, senza nem-


S’AVANZA UN NEOFITA

RIVESTITO DI DC

Il premier Giuseppe Conte ad Assisi
per San Francesco, il 4 ottobre scorso

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