L\'Espresso - 20.10.2019

(Steven Felgate) #1

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CAMBIARE GOVERNANDO IL CAMBIAMENTO È UNA FATICA

IMMANE. MA ESISTONO GLI STRUMENTI PER FARLO

singoli interventi pubblici, sui processi economici e so-
ciali. Un’azione che sola può rimettere in squadra le cose.
Senza la funzione riequilibrante dell’azione pubblica,
lo scontro tra il vecchio mondo del lavoro e la nuova gene-
razione energetica può sconquassare intere nazioni. Ma
quest’azione deve evitare di creare protezioni eimere,
che valgano soltanto per gli esclusi di oggi senza ridise-
gnare uno sviluppo sostenibile perché includente: uno
sviluppo che non debba sempre tornare sui propri errori,
smarrendo in questo modo slancio e fantasia.
Ci si può liberare dei combustibili fossili senza afama-
re centinaia di migliaia di lavoratori, soltanto proteggen-
do le debolezze sociali presenti e progettando un futuro
che limiti il più possibile la creazione di nuove debolezze.
Siccome, nonostante ciò che predicano i demagoghi, non
accadrà domattina che le auto elettriche soppianteranno
all’improvviso tutte le altre, c’è il tempo per governare il
cambiamento, rallentarlo o accelerarlo quando serve,
correggerlo o caricarlo se occorre. C’è il tempo per risol-
vere questa e le altre contraddizioni.
L’azione pubblica degli stati non può evidentemente

avere conini sovrani, se s’incarica di governare trasfor-
mazioni transnazionali. Per quanto ci riguarda, il desti-
no europeo diventa necessario e l’Europa potrebbe recu-
perare quell’utilità pragmatica donde il progetto comu-
nitario è generato. Può essere, dopo tutto, un caso che il
primo nome dell’Unione sia stato Comunità Europea del
Carbone e dell’Acciaio? Non lo è. Come non lo è stato per
i padri fondatori europei associare l’idealità fondatrice
del processo d’integrazione all’utilità dell’interazione
economica e commerciale.
La dieta alimentare di Sisifo va composta e integrata
mixando sapientemente alimenti ed energie diformi. La
salita sarà anche più dura, ma la sinistra potrebbe gio-
varsi di una dieta così variamente concepita, ino ad ave-
re più forze per spingere la pietra del progresso. E la sali-
ta, forse, non le sembrerà più erta che in passato. È indi-
spensabile che le culture politiche, che s’incaricano di
nutrire lo sforzo di Sisifo della sinistra, accettino però di
reiventarsi. E accolgano l’entusiasmo di ripensarsi per-
dendo qualcosa della propria scrittura iniziale, allo sco-
po di rendersi utili alla comune pratica del governo del
tempo delle contraddizioni.
Non si tratta di sommare istanze diferenti, sotto for-
ma di ricette di governo che si giustappongono e preten-
dono di ofrirsi come visione comune. In politica non val-
gono le leggi della scienza e l’addizione di elementi diver-
si non ha mai prodotto una somma accrescente gli ad-
dendi. È stato questo l’errore più recente del riformismo:
pensare di ricavare un’idea del mondo da una serie di
policy concepite in vitreo e testate come formule di labo-
ratorio. È stata questa la iattura del governismo.
I macigni pesano, soprattutto quando si è chiamati a
spingerli lungo la salita di una montagna. Ma la sinistra
che entrerà lentamente, nel prossimo anno, nella terza de-
cade del secolo nuovo può riuscire a fare la sua parte: con
soddisfazione per i bisogni e per gli interessi che intende
rappresentare, ma anche contribuendo alla perfettibilità
di una democrazia liberale così bisognosa di buone idee e
migliori partiche. E magari, per dirla con Camus, potrem-
mo ancora continuare a immaginarci Sisifo felice. Q

Manifesto sindacale
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