L\'Espresso - 20.10.2019

(Steven Felgate) #1
Interpreti del presente

criverà che sono fascista?
Scriverà che ha trovato un
discepolo di Matteo Salvi-
ni in Francia?». Mi conge-
da così, scherzando, Alain
Finkielkraut, uno degli
intellettuali europei più
noti e controversi. Accu-
sato di essere razzista per
le sue posizioni sull’Islam,
sui neri nella Nazionale
francese, o anti-progresso per le sue posizio-
ni sul calcio femminile e altri temi sociali, ha
appena pubblicato “À la première personne”
(Gallimard), in prima persona, un libro attra-
verso il quale vuole liberarsi dell’immagine di
reazionario che molti gli attribuiscono.
Da più di 30 anni conduttore radiofonico su
France Culture, autore di diversi saggi, lo scrit-
tore ripercorre le igure chiave della sua vita
e del suo percorso intellettuale. Si scoprono
i dettagli del suo periodo sessantottino, l’in-
teresse per la questione ebraica, il suo amore
per Kundera, Péguy, Heidegger, Levinas, e più
in generale per la lingua, ma anche l’incontro
decisivo con Michel Foucault. Emerge l’imma-
gine di un uomo nostalgico, preoccupato, tra
le altre cose, dalla crescita dell’islamismo e
dalla minaccia dell’identità francese. Scettico
rispetto all’intraprendenza dei giovani, sospet-
toso riguardo alla globalizzazione, si lascia an-
dare a una confessione: Finkielkraut racconta
di aver goduto della dolce euforia dell’acido,
dell’LSD, nelle serate con gli amici. «L’ho fatto,
e mi è piaciuto molto. Con l’acido ridevamo, ci
sentivamo tutti uguali, avevamo delle piacevo-
li allucinazioni. Ma non ho mai ceduto al ro-
manticismo della tossicomania. Voi giornalisti
lo ricordate sempre, forse per rendermi meno
polveroso».
Con il nuovo libro “In prima persona” dice
di volersi liberare dall’etichetta di “reazio-
nario” che le è spesso attribuita. Che cosa
signiica essere reazionari? E perché que-
sto termine le dà così fastidio?
«Questo termine mi disturba perché non

«I giovani ignorano l’ambiguità e la

complessità, perché la loro esperienza del

mondo è povera. È un’età conformista.

E Greta è vittima degli adulti »

mira a qualiicare, ma a squaliicare ciò che
indica. È un termine ofensivo, utilizzato per
rimandare a una serie di pensieri devianti. Og-
gi trattare qualcuno da reazionario signiica
pretendere che la storia segua il progresso e
che il mondo si divida in due: i vivi di diritto e i
sopravvissuti di un ordine passato. Purtroppo
alcuni vedono la democrazia come un movi-
mento verso sempre più uguaglianza e libertà.
Per loro la democrazia non rappresenta il regi-
me della deliberazione, il luogo della comune
produzione di signiicato, ma la marcia trion-
fante della storia. Allora la democrazia diven-
ta un dogma che riiuta qualsiasi obiezione
deinendola eretica. Un paradosso! Quelli co-
me me vengono identiicati come reazionari
e inseriti nelle liste nere della “democrazia in
marcia”. Ma le liste nere venivano utilizzate
quando dominava l’ideologia comunista. Og-
gi un’ideologia pseudo-democratica è riuscita
ad imporsi e ha ripreso dal comunismo questa
detestabile abitudine».
Negli anni ’70 ha partecipato ai movimen-
ti di protesta della sinistra contestataria
e condiviso le idee di Mao Zedong. Come
valuta oggi questo periodo della sua vita?
«Vede, ero a favore di Mao perché all’epoca
bisognava essere qualcosa. Mi sono imbattu-
to in questa scelta per motivi che oggi mi so-
no oscuri, avrei potuto benissimo aderire al
trotskismo. Sì, nel ’68 con mio grande stupore
sono diventato di sinistra... questi eventi pren-
dono alla sprovvista i loro stessi protagonisti.
Mi ricordo che in quel periodo ero in campa-
gna, stavo preparando un concorso e ho sen-
tito che c’erano delle manifestazioni a Parigi.
Mi sono precipitato in città e mi sono buttato

S


Primo maggio del 1975, maoisti
silano per le strade di Parigi.
A destra: una manifestazione
di Fridays For Future a Torino,
lo scorso settembre
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