LA MOSTRA PER I 200 ANNI DELL'AZIENDA PIONIERA NELLA STORIA DEL MOBILE
Thonet, la passione per le curve
Il designer di interni amato dagli artisti
Pierre Yovanovitch
“Faccio scale sexy e virili
e camere che paiono nidi”
LEONARDO MARTINELLI
PARIGI
L
e stradine del Sen-
tier scendono e sal-
gono tra quello che
resta dei vecchi fab-
bricanti tessili (per-
lopiù ebrei) e i nuo-
vi startupper, sbarcati in que-
sto quartiere tradizionale nel
cuore di Parigi. Dietro a un
anonimo portone di legno c’è
anche l’atelier di Pierre Yova-
novitch, 54 anni, archistar
d’interni (e ormai anche archi-
tetto tout-court e designer),
con 45 dipendenti, una filiale
a New York e progetti in mez-
zo mondo. Da poco Rizzoli ha
pubblicato una monografia
dedicata al suo stile raffinato,
eclettico, colorato, rarefatto.
Molto francese.
Lei in realtà è di Nizza.
«Adoro il sole e sto sempre al
sole. Le tonalità grigie e le at-
mosfere lattee non fanno per
me. Il ricordo di Nizza m’ispi-
ra: voglio sempre far entrare la
luce e giocare sui volumi».
Dopo la maturità, ha studiato
in una business school.
Com’è diventato architetto
d’interni?
«Quando ero giovane in Fran-
cia, dopo la laurea, si poteva fa-
re il militare come servizio vo-
lontario nelle imprese all’este-
ro. Per caso mi presero alla filia-
le di Pierre Cardin per il Bene-
lux, a Bruxelles. Mi dovevo oc-
cupare delle sue licenze. Ma a
un certo momento dissi a Mon-
sieur Cardin (oggi lo chiamo
Pierre) che m’interessava di
più la parte creativa. Lui rima-
se interdetto ma poi accettò».
È rimasto nell’azienda fino al
- Cosa le ha insegnato
Cardin?
«Alla fine Pierre è un architet-
to, ha il senso del volume, che
credo di aver imparato da lui».
E della laurea in business co-
sa le è rimasto?
«Mi ha aiutato come imprendi-
tore, dopo che, dal 2001, mi so-
no messo in proprio. Mi ha an-
che strutturato. Ma nel fondo
mi sento un artista, nevrosi
comprese».
Del suo stile dicono che sia
eclettico. Ci si ritrova?
«Completamente. Mi piace me-
scolare. Rifiuto il total look, do-
ve tutto è liscio, neutro e non
esiste parzialità. Negli interni
metto mobili miei, vintage e
pezzi di altri designer contem-
poranei».
È vero che non è un fan di quel-
li italiani?
«Invece mi piace molto Carlo
Mollino. Poi Nina Yashar, gal-
lerista a Milano, mi ha fatto
scoprire designer attuali come
Massimiliano Locatelli. Il pro-
blema è che certi nomi come
Giò Ponti sono icone: non pos-
so usare le loro creazioni, si so-
no visti troppo».
Una delle sue caratteristiche
è il ricorso agli artisti.
«Sì, l’anno scorso ho curato la
dimora di un grande collezio-
nista qui a Parigi. Per la sua ca-
mera da letto, che guarda agli
Invalides, ho pensato a un ni-
do. Ho chiesto all’artista giap-
ponese Tadashi Kawamata di
realizzare una struttura in le-
gno grezzo, in tensione rispet-
to a quel luogo superlussuo-
so».
Anche la scalinata interna è ri-
corrente nei suoi progetti.
«A Bruxelles ne ho fatte davve-
ro di belle, come alla Patinoire
Royale. Le mie scalinate han-
no forme rotonde, sensuali.
Hanno un lato virile, che è la
forza della scala, e uno femmi-
nile, perché sono sexy».
Pure i suoi mobili hanno for-
me organiche, è vero?
«Sì e possono essere anche
buffi. Presenterò la mia nuo-
va collezione alla galleria R
& Company di New York tra
poche settimane. S’intitola
Love, una narrazione mia per-
sonale sull’amore. C’è pure
un trono con due sedili accan-
to che rappresenta il triango-
lo amoroso».
Qual è la sua ispirazione prin-
cipale per il mobilio?
«Lo Swedish Grace, un movi-
mento di architetti e designer,
che si sviluppò in Svezia negli
anni Venti. Avevano uno stile
pulito e usavano il legno al na-
turale. Adoro in particolare
Axel-Einar Hjorth».
Lei viaggia in tutto il mondo.
Dove le piacerebbe andare la
prossima volta?
«Vorrei tornare a Torino. Ci so-
no stato tanto tempo fa. Ho il ri-
cordo di una città magnifica,
con le vecchie insegne lumino-
se, un po’old style, non globa-
lizzata. Spero sia rimasta così:
a Parigi o Milano da tempo
non si ritrova più tutto questo.
In un mondo così limato e omo-
geneo, Torino è a parte».
Per riposarsi, invece, va nel
suo castello in Provenza, che
ha ristrutturato da anni.
«A un’artista, Claire Tabouret,
ho chiesto di affrescare la cap-
pella. Io e lei ci siamo ritrovati
sulle difficoltà vissute durante
l’infanzia, per me l’assenza del
padre. Claire vi ha dipinto 85
bambini». —
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ELENA DEL SANTO
L
e abbiamo viste nei
film (da «L’apparta-
mento» di Billy Wil-
der del 1960, al più
recente «Steve
Jobs» del 2015, pro-
tagonista una catasta di se-
die modello n. 4), nei più ri-
nomati caffè storici sparsi in
tutto il mondo (a cominciare
da quelli viennesi), negli ate-
lier d’artista: il testimonial
più celebre è stato Picasso fo-
tografato nel suo studio di
Cannes sul dondolo modello
n. 22. Battezzato «Pablo».
Al marchio Thonet - stori-
ca azienda tedesca fondata
nel 1819 dalle innovative se-
dute in legno curvato e tubo-
lare d’acciaio - il Die Neue
Sammlung, museo del desi-
gn di Monaco dedica, fino al
2 febbraio del prossimo an-
no, la mostra «Thonet & De-
sign», che ne ripercorre le
tappe a 200 anni dalla sua
fondazione.
L’esposizione - 70 gli esem-
plari in mostra - mette in evi-
denza il lavoro pionieristico
del brand nel campo della ri-
cerca e dello sviluppo, assie-
me ad alcuni modelli dise-
gnati e prodotti a partire dal-
la seconda metà del XX seco-
lo: una storia di successo che
ha inizio con l’invenzione di
una tecnica del tutto nuova
all’epoca, ovvero la curvatu-
ra del legno massello che Mi-
chael Thonet perfeziona in-
torno alla metà del 1800 al
punto da renderne possibile
la fabbricazione in serie. E’ la
n° 14, nota come l’ormai leg-
gendaria «sedia in paglia di
Vienna», a segnare l’avvio
della produzione industria-
le, mentre i mobili in tubola-
re d’acciaio degli Anni Tren-
ta, ideati da celebri esponen-
ti del Bauhaus, come Mart
Stam, Mies van der Rohe e
Marcel Breuer, rappresenta-
no la seconda pietra miliare
nella storia del design.
Dai tanti modelli oggi in
produzione c’è chi ne ap-
prezza il valore storico e la
patina del tempo che li avvol-
ge, chi li considera icone del
design da collezione e chi,
come i più giovani, vede
nell’originale Thonet l’e-
spressione di uno stile e di
un’intera cultura.
Non manca un’ampia sele-
zione delle proposte più re-
centi del marchio, interpreta-
zioni in chiave contempora-
nea - anche in tubolare metal-
lico - della tradizione del le-
gno curvato, firmate tra gli al-
tri da Michele De Lucchi, Vi-
co Magistretti, Martino Gam-
per o dalle svedesi Front. —
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PIERRE YOVANOVITCH
DESIGNER D’INTERNI
- «Nido» di legno grezzo, concepito per Yovanovitch dall'artista
giapponese Tadashi Kawamata per l'appartamento di un grande
collezionista a Parigi, davanti agli Invalides; 2-3. La Patinoire Roya-
le di Bruxelles con il dettaglio della scala interna
“Mi piace mescolare.
Rifiuto il total look,
dove tutto è liscio,
neutro e non esiste
parzialità”
- La mostraThonet&Design; 2. La poltroncina blu «Armchair S
401» disegnata nel 1963 da Verner Panton e l’«Armchair 270
F» arancio del 1965
1
VINCENT DESAILLY
2
JEAN-FRANÇOIS JAUSSAUD
3
Settanta i modelli esposti
al Die Neue Sammlung –
The Design Museum
di Monaco di Baviera fino
al 2 febbraio 2020