I
l Pil globale ha subito un brusco
rallentamento, passando da qua-
si il 4% alla fine del 2017 alla me-
tà di tale tasso su base annua ne-
gli ultimi trimestri. La flessione
dei capitali negli ultimi due anni
è stata una grande sorpresa. La rapida
espansione del 2016/2017 aveva basi
solide ma è finita presto. In preceden-
za avevamo sofferto sette lunghi anni
di crescita rallentata in seguito alla cri-
si finanziaria globale.
Perché un rallentamento così mar-
cato e costante si è verificato in un con-
testo di politica monetaria espansiva,
politica finanziaria favorevole, bassa
inflazione e assenza di evidenti squili-
bri? Come sostenuto nel rapporto sul-
le prospettive economiche mondiali
del Fmi pubblicato la scorsa settima-
na, tutto sembra indicare tra le cause
principali l’incertezza per le tensioni
commerciali.
Il rallentamento globale si è verifica-
to in un contesto di misure protezioni-
stiche avviate da Washington e adotta-
te per ritorsione da altri. Queste misu-
re includevano, tra molte altre cose, il
primo appello alla sicurezza naziona-
le per tassare l’alluminio e l’acciaio e
successivamente per minacciare il
mercato automobilistico e l’uso della
sezione 301 (commercio sleale), sen-
za precedenti dalla creazione dell’Or-
ganizzazione mondiale del commer-
cio (Wto), per giustificare dazi genera-
lizzati contro la Cina. Le tensioni com-
merciali non hanno solo rallentato la
crescita, ma hanno anche impedito la
normalizzazione della politica mone-
taria. Inizialmente molti erano indiffe-
renti agli effetti dei dazi perché riguar-
davano solo una piccola parte del com-
mercio mondiale ed è noto che influi-
scono sul Pil solo in minima misura.
Ma questo calcolo era sbagliato. In set-
tori specifici i dazi incidono su larga
scala e le controversie commerciali
possono trasformarsi in guerre, quin-
di gli investitori fanno fatica a prevede-
re dove potrebbe calare la mannaia.
La causa del rallentamento non sono
di per sè i dazi, ma la paura del cambio
di regime. In questo caso, il cambio di
regime è il passaggio dal sistema com-
merciale basato sulle regole alla lotta
di potere. Quando i politici parlano se-
riamente di svincolarsi dalla Cina, di
imporre dazi del 25% sulle automobi-
li, del crollo della funzione giudiziaria
dell’Omc a causa del rifiuto degli Stati
Uniti di sostituire i suoi giudici, questo
è l'inizio del cambio di regime. E gli
economisti ne sanno qualcosa degli ef-
fetti del cambio di regime sul commer-
cio internazionale. Molti fanno riferi-
mento al Smoot-Hawley Tariff Act e al-
la Grande Depressione. Precisiamo,
un cambio di regime come quello pro-
spettato non implica necessariamente
una totale interruzione degli scambi,
ma significa che le imprese non po-
tranno più essere sicure di poter fare
affidamento sul commercio interna-
zionale per clienti e fornitori. Il fatto
che avvenga o meno un cambio di regi-
me dipende fondamentalmente dagli
Stati Uniti, dalla Cina e dagli europei.
Tutti vogliono un accordo, ma sareb-
be ingenuo credere che, anche dopo
Trump, gli americani non avranno più
paura della crescita della Cina. La Ci-
na è pronta a liberalizzare di più e a
proteggere meglio la proprietà intel-
lettuale, ma sarebbe ingenuo pensare
che sia disposta ad abbandonare il suo
modello di grande successo controlla-
to dal partito comunista e a guida sta-
tale. E intanto gli europei, che spesso
affermano di essere l’eccezione virtuo-
sa, sono invece tra i più restii al cambia-
mento. È in gioco così tanto che credo
che si possano trovare compromessi,
permettendo al sistema di scambi ba-
sato sulle regole di sopravvivere. Ma
molto dovrà cambiare perché ciò acca-
da, ed è tutt’altro che certo che esista
la volontà politica. La crescita ha ral-
lentato perché gli investitori lo hanno
capito.
Traduzione di Carla Reschia —
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TRA ROMA E BRUXELLES
SCONTRO “SALVO INTESE”
I DAZI COMPORTANO IL RISCHIO
DI UN CAMBIO DI REGIME NEL COMMERCIO GLOBALE
“EVALI”, LA NUOVA MALATTIA CHE PUÒ COLPIRE
I FUMATORI DELLE SIGARETTE ELETTRONICHE
Quasi la totalità dei pazienti italiani con pso-
riasi, anche in forma lieve, si dichiara insoddi-
sfatto delle aspettative di cura, spesso moti-
vo di abbandono delle terapie, con indiscus-
se implicazioni sulla progressione di malat-
tia. È questo il percepito emerso da un’ampia
indagine, condotta fra il 2016 e il 2018, su 8
mila pazienti con una storia di malattie inizia-
ta mediamente in età giovanile, tra 21 e 30
anni (38%) e fra 31 e 40 anni (41%). Di que-
sti, oltre 6.700 (pari all'84%) si dice «disillu-
so» riguardo le aspettative di cura, spesso di-
sattese, con il risultato che quasi 6.000 di es-
si - l'88% - rinuncia a sottoporsi a successi-
ve/nuove terapie o a recarsi da uno speciali-
sta per il monitoraggio della psoriasi. Un da-
to allarmante che denuncia da un lato la sot-
tostima della malattia da parte dei pazienti e
dall'altro la necessità, prioritaria, del medico
di meglio educare gli psoriasici sugli sviluppi
della malattia.
Le lettere sulla manovra e le fibrillazioni nel governo
Fino a venerdì a dialogare con i lettori sarà
Francesco Bei, capo della redazione romana. Il tema:
la manovra e le fibrillazioni nel governo. Sabato sarà
il direttore Maurizio Molinari a rispondere
alle lettere. Domenica, come di consueto, spazio
alla «RisPosta del cuore» di Maria Corbi.
Gentile Bei,
il governo, tanto per cambiare, vuole colpire il
popolo delle partite Iva, non rendendosi con-
to che il mondo ormai è cambiato, e che di soli-
to si tratta di false partite Iva, di professionisti
a cui si nega il rapporto di dipendenza, di arti-
giani che si devono pagare i contributi pensio-
nistici, le assicurazioni, perché non sono tute-
lati in caso di malattia o infortunio, il commer-
cialista per districarsi fra fatture elettroniche,
bancomat e fra poco doppio conto corrente.
Possibile essere così avulsi dalla realtà?
NICOLETTA RUFFINENGO —
Del Documento di economia e finanza quello
che è chiaro è che non c’è nulla di definitivo,
come dichiarato da due paroline: «Salvo inte-
se». Tutto può essere ancora oggetto di modi-
fica, di limatura, di aggiustamento. Riunioni
fiume negli ultimi giorni, poi gli aggiustamen-
ti: slitta l’abbassamento a 2000 euro per l’uso
dei contanti, slittano le sanzioni per chi non
ha il Pos, approvato e slittato l’aumento della
pena carceraria per i grandi evasori. La prova
dell’indeterminatezza della manovra è forni-
ta dalla lettera di chiarimenti in arrivo
dall’Europa: nemmeno lei si raccapezza nel
ballo della taranta del Def italiano. Ho capito
che i pilastri della manovra sono due: la quo-
ta 100, cavallo di battaglia della Lega e il regi-
me forfettario delle partite Iva, intestato al
M5S assieme al carcere per gli evasori fiscali.
Ho l’impressione che si vogliano accontenta-
re troppe fasce di elettori.
CONCETTA LA NAIA , MESTRE (VE) —
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SECONDO ME
Le quattro forze di maggioranza
e la controversa ricerca
di un obiettivo condiviso
URI DADUSH
U
n giudizio «sal-
vo intese», co-
me la manovra
che deve valuta-
re. Uno scam-
bio insolito nel-
la storia dei carteggi fra Bru-
xelles e le capitali dell’Unio-
ne. Certo il sangue è virtuale
e la disputa epistolare finirà
probabilmente bene, eppure
non si vede spesso un grande
Paese che invia alla Commis-
sione Ue un progetto di bilan-
cio incompleto che una setti-
mana più tardi non ha ancora
una forma definita quanto a
entrate e spese. E raramente
l’esecutivo comunitario è co-
stretto a rispondere con ulti-
matum del tipo «chiarite tut-
to entro 24 ore». È successo
ieri. Con l’Italia del governo
Conte-bis, quello che voleva
rifarsi una faccia in Europa.
Non c’è disfunzione tecni-
ca. Al Tesoro hanno costrui-
to una manovra fin troppo
prudente che viola sciente-
mente le regole sperando nel-
la usuale clemenza dei giudi-
ci di Bruxelles. La maionese
è impazzita sui fornelli della
politica e questo non sor-
prende. Quando la maggio-
ranza in cui il rosso e il giallo
mostrano evidenti sfumatu-
re di blu e verde si è trovata
davanti al muro della deadli-
ne europea, invece che paga-
re il conto ha ordinato un al-
tro litro. Ha preso tempo. Sal-
vo che ci sono regole e sca-
denze che la Commissione
deve rispettare, in quanto ga-
rante degli stati membri e de-
gli impegni da essi presi. Co-
sì, dopo il solito fitto scam-
bio di mail mitiganti, è arri-
vato l’invito a fare chiarezza
in fretta. Inevitabile.
Lo è perché il piano italia-
no «non rispetta l’obiettivo
di riduzione di debito per il
2020». Il saldo strutturale,
cioè il risultato contabile al
netto di congiuntura e una
tantum, peggiora invece che
migliorare, cosa che si sape-
va in partenza. Bruxelles lo
evidenzia, ma precisa anche
di essere pronta a valutare la
«flessibilità» chiesta dall’Ita-
lia, i miliardi che possono es-
sere concessi in caso di diffi-
coltà o di fronte a interventi
strutturali credibili. Per dare
l’assenso, la Commissione
avrebbe bisogno di essere
convinta. Dovrebbe avere
sul tavolo cifre certe. Invece
no. Non solo i numeri non so-
no precisati, ma il confronto
fra le varie anime di Palazzo
Chigi ha innescato il concre-
to timore di minori entrate e
maggiori uscite.
Ne è originato uno sconta-
to minuetto. La Commissio-
ne non è un monarca assolu-
to che delibera d’arbitrio: è
un esecutivo che applica leg-
gi precise. L’espressione di
dubbi sull’Italia è un atto do-
vuto e giustificato, serve a tu-
telare i Trattati, a mantenere
la giusta pressione, ed a evi-
tare che qualcuno trovi scu-
se per mettere in pericolo il
castello della moneta unica.
È davvero difficile - con la
Brexit aperta, la tempesta ca-
talana, Strasburgo che pun-
ta i piedi, il team Ursula anco-
ra da chiudere, l’alito pesan-
te dei populisti e le dissinto-
nie del motore franco-tede-
sco - che la Commissione
uscente abbia voglia di ingag-
giare un braccio di ferro con
Roma. Per questo sarebbe
più che lieta di essere rassicu-
rata, di sapere che la lotta
all’evasione funziona e che
la coalizione ha una speran-
za di vita accettabile. Vorreb-
be dialogare con tutto il go-
verno come col Tesoro, esse-
re persuasa che le cose si fa-
ranno e vedere un’Italia più
matura, che paghi il conto po-
litico del «Papeete» insieme
con quello economico della
produttività latente a causa
dei malefici delle infrastrut-
ture reali e amministrative.
Bruxelles sogna un’Italia che
sia quel che giustamente
vuol sembrare. Chiede un se-
gnale che sarebbe bene dare.
Nel nostro interesse come in
quello dell’Europa in cui i
più giurano di credere. —
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LI
LETTERE
& IDEE
M
alattie in cerca di no-
mi. Non ne aveva an-
cora uno la misterio-
sa patologia polmo-
nare, battezzata que-
sti giorni col nome di
Evali, un acronimo della malattia in
inglese , traducibile con “danni pol-
monare associati all’uso di sigarette
elettroniche o vaping”. Si tratta
dell’ultima arrivata nell’elenco delle
malattie dell’ Oms presenti nella
“Classificazione statistica Internazio-
nale delle malattie e dei problemi sa-
nitari correlati” che di recente ha fat-
to posto al gaming disorder, ovvero
la dipendenza da videogiochi. E così
siamo a 55000 malattie e sindromi,
parte delle quali, c’è da dire, legate al
processo di medicalizzazione della
nostra vita e alla tendenza, in conti-
nua espansione, a costruire realtà pa-
tologiche. Come, per fare un solo
esempio, la sindrome da deficit di at-
tenzione e iperattività (Adhd), dive-
nuta, a partire dagli anni Ottanta,
una patologia che sembrava dilagare
- come mai prima - tra bambini “con
l’argento vivo addosso”, si sarebbe
detto un tempo. Irrequietezza, iperat-
tività e/o l’impulsività, ridotta capaci-
tà di concentrazione a scuola, diven-
tavano i sintomi di una malattia da cu-
rare con un farmaco.
Ma Evali, che ha fatto notizia sui
media, non è un’entità astratta a cui,
per i più vari motivi, viene dato un no-
me. Comparsa alla ribalta in aprile,
ha finora manifestato la sua minac-
ciosa presenza solo negli Stati Uniti,
dove si contano 1299 casi presunti e
26 decessi in 49 Stati. Un mistero,
che fa il paio con quello che riguarda
l’insieme di sostanze implicate nello
scatenarsi della misteriosa malattia
polmonare. Segnalata con distratta
intermittenza qui da noi, nel Vecchio
Continente, la malattia, una volta
identificata in un gruppo di pazienti,
doveva necessariamente ricevere un
nome, in modo che possa essere de-
scritta, studiata e trattata. Ora, bat-
tezzare una condizione patologica è
una faccenda maledettamente seria.
Intanto il nome deve essere appro-
priato, scientificamente valido, so-
cialmente accettabile. Una volta en-
trato nell’uso comune attraverso In-
ternet e social diventa virale, ed è dif-
ficilissimo cambiarlo, come ci ricor-
dano i casi dell’influenza suina e di
quella aviaria.
Una scelta impegnativa, dunque,
che deve aver richiesto un surplus di
riflessione da parte degli esperti e dei
ricercatori del Cdc e della Food and
Drug Administration. Escluso che si
possa dare a una malattia, il nome del
luogo in cui si sono verificati i primi ca-
si (l’incolpevole Spagna è associata
da sempre alla pandemia influenzale
del 1918, la più terrificante di tutti i
tempi), occorre rifarsi alle linee guida
dell’Oms che, qualche anno fa, di fron-
te all’incalzare di malattie sempre
nuove, ha deciso di fornire anche le
coordinate sociologiche e antropolo-
giche. Sono da evitare oltre ai riferi-
menti ai luoghi, quelli a comunità et-
niche e religiose, che implicherebbe-
ro rischi di stigmatizzazione. E, anco-
ra, nomi che colpevolizzino le vitti-
me, come avvenne negli anni Ottan-
ta, quando la scoperta dei primi foco-
lai epidemici a Chicago, tra gruppi di
omosessuali, suggerì il nome di “gay
cancer” e poi Grid, acronimo di “Gay
Related Immune Deficiency”, sostitui-
ti poi da Hiv/Aids. Tramontato l’uso
di dare alle malattie il nome di perso-
ne, scopritori di una determinata con-
dizione morbosa (malattia di Alzhei-
mer, di Parkinson, di Creutzfeldt-Ja-
kob, Chagas), le malattie presenti e fu-
ture dovranno evitare termini lugu-
bri, come sconosciuta o fatale, e conte-
nere termini descrittivi e generici, le-
gati ai sintomi e alle manifestazioni. Il
nome della nuova malattia – “danno
polmonare associato all’uso di sigaret-
te elettroniche o vaping” non ha con-
vinto tutti : e il British Medica Journal
ha dato voce alle critiche che arrivano
dall’Europa. Dopotutto, a differenza
dell’Hiv o della Sars, che non conosce-
vano confini, Evali è finora confinato
agli Stati Uniti, per ragioni non chiari-
te. Nel Regno Unito è stata identifica-
ta una sola vittima dopo quasi 10 anni
di utilizzo di sigarette elettroniche e
non ci sono cartellini gialli ufficiali
che annuncino pericoli. Mentre l’allar-
me per una malattia che rimanda al
“danno polmonare associato all’uso
di sigarette elettroniche o vaping”, ri-
schia di dissuadere i fumatori britan-
nici dall’uso dei migliori aiuti di cui at-
tualmente si dispone per smettere di
fumare. —
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Il numero del giorno
88 per cento
I pazienti italiani di psoriasi che rinunciano a curarsi
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Anna Masera
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I
l fotoreporter di guerra Dar Yasin è stato
premiato ad Atene con lo «Yannis Behra-
kis International Photojournalism
Award» per il suo lavoro in Kashmir, stato
indiano a maggioranza musulmana rivendica-
to dal Pakistan e teatro di un’antica disputa ter-
ritoriale. I suoi scatti hanno immortalato il ter-
rore degli abitanti del villaggio di Kundalan in
fuga dai colpi dei soldati indiani. Il corpo avvol-
to in un sudario del ribelle Sajad Ahmed Gil-
kar e quello steso su una stuoia della tredicen-
ne Andleeb, trasportati dalla folla in un vicolo
di Srinagar. E gli uomini arrampicati sugli al-
beri per seguire la processione funebre di uno
dei combattenti dell’organizzazione militare
pakistana Hizbul Mujahideen. «Ho vinto il pre-
mio per aver raccontato che cosa succede in
Kashmir. Non nelle ultime settimane o mesi,
ma negli ultimi anni. Anni di sangue, violenza
e conflitti - ha detto il fotografo di Associated
Press, che vive a Srinagar con la famiglia -.
Non in un posto lontano. Ma nella mia patria,
nella mia città. Nel mio quartiere».
Istantanee è su Instagram, @la_stampa
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NADIA FERRIGO
KASHMIR, LA TRAGEDIA
DEGLI ABITANTI IN FUGA
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sportelli del Salone
Nel criticare (giustamente) questa o quella misura della manovra di bilancio non si dovreb-
be mai dimenticare la premessa: questo governo è nato in corsa e il ministro dell’Economia
Gualtieri, persona rispettabile e ascoltata a Bruxelles, si è trovato a scrivere una Finanziaria
in tre settimane, avendo ereditato dal passato 23 miliardi di clausole di salvaguardia. Un la-
scito dell’ultimo governo Berlusconi, anno 2011, a cui peraltro partecipava la Lega. Poi, cer-
to, l’impressione generale è che si sia voluto dare un po’ qua e un po’ là, senza concentrare le
poche risorse su un obiettivo condiviso. Il problema semmai è proprio questo: Pd, M5S, Iv e
Leu, ce l’hanno un obiettivo condiviso?
Indosso la maglia della Stampa dal 2016.
Quarantotto anni, due figli, ho sempre se-
guito la politica dagli esordi nel 1990 a Ra-
dio radicale fino a Repubblica. Ho l’onore di
guidare la redazione romana del giornale