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l capitalismo non è
morto, solo che
non si sta
evolvendo. Anzi.
Ha bisogno
urgente di
elementi di
socialismo, a partire dalla
consapevolezza che deve garantire
una maggior protezione sociale. Sennò
si rischia davvero una rivoluzione».
Jean-Paul Fitoussi, classe 1942, guru di
SciencesPo e da qualche anno docente
anche alla Luiss di Roma, a lungo
presidente dell’agenzia del Conseil
d’analyse économique di Palais
Matignon, studia da una vita le
interrelazioni fra la dottrina
economica dominante e l’effettivo
miglioramento del benessere dei
cittadini. Ha appena pubblicato
La neolingua dell’economia (uscito il 3
ottobre in Italia da Einaudi) dedicato
agli aspetti deteriori del capitalismo.
E il 19 novembre è previsto
l’aggiornamento dello studio “La
misura sbagliata delle nostre vite”
frutto del lavoro della commissione
“Beyond Gnp” che Fitoussi co-presiede
presso l’Ocse con Joseph Stiglitz (ne
fanno parte tra gli altri Thomas Piketty,
Enrico Giovannini e Chiara Saraceno).
Professore, qual è il delitto storico
del capitalismo che deve farci sentire
tutti seduti su una polveriera?
«Le faccio un esempio. Sono decenni
che la disoccupazione è fra di noi,
a volte minore nelle poche isole di
benessere ma quasi sempre endemica.
Ed è come se la società capitalista
l’avesse assunta come un aspetto
normale. Inevitabile pensare che
la disoccupazione sia funzionale
al mantenimento della struttura
capitalistica, anzi sia il motore stesso
di essa: perché rende i lavoratori meno
forti e in possesso di minor potere
contrattuale rispetto agli imprenditori,
perché tenendo bassa la quota dei
salari aumenta quella dei profitti
e delle rendite finanziarie nel prodotto
nazionale, perché penalizza
la competitività e quindi rende
vulnerabili i Paesi».
Quali pericoli si corrono?
«Banalmente gli attacchi
concorrenziali dall’estero, ma poi
l’aumento delle diseguaglianze, la
diffusione della povertà, il
decadimento della struttura sociale e
quindi della democrazia. A questo
punto, come le dicevo, c’è il rischio
concreto di rivolte interne che possono
diventare pericolosissime. Quel che è
peggio è che la storia non sembra
insegnare nulla. Senza andare lontano,
qui in Francia abbiamo avuto la lotta
delle banlieue che ha prodotto solo
marginali miglioramenti alle
condizioni di vita delle periferie, ora i
gilets jaunes.
Rispetto ai quali, è vero, Macron ha
fatto delle concessioni, ma sono niente
rispetto ai favori che ha fatto ai ricchi,
dalla riduzione della tassazione sulle
rendite finanziarie alle misure
sull’eredità e sulle case di lusso.
Altrove la ribellione prende altre
forme: l’ultradestra in Germania, il
populismo in Italia, la Brexit, Trump.
Ogni situazione con le sue insidie in
termini di democrazia e giustizia
sociale. Il capitalismo occidentale sta
rischiando di perdere l’equilibrio che
lo aveva sostenuto fino a oggi».
L’ultimo nome che ha citato resta il
mistero più grande: un miliardario
diventato il beniamino delle “tute
blu”...
«Ma perché è riuscito a convincerle
che l’insidia veniva dagli immigrati e
dalla concorrenza internazionale
sleale, come se gli americani non
proteggessero la loro industria e la loro
agricoltura. Nulla di più sballato.
Eppure, guardando alla storia proprio
in America troviamo il più fulgido
esempio di soluzione alle crisi,
sia quella degli anni ’30
che quella recente della finanza.
Un massiccio intervento dello Stato
ha risolto i problemi. Keynes allo stato
puro».
Il nome di Keynes viene tirato fuori
in continuazione, perfino dai
sostenitori del capitalismo liberale.
A sproposito?
«Eccome. Je suis socialiste, non mi
toccate Keynes. La sua teoria era tanto
semplice quanto vincente: lo Stato
deve intervenire nell’economia
quando i cittadini sono a rischio. Deve
assumere quote nelle aziende,
investire direttamente nelle
infrastrutture, prendersi carico delle
situazioni più disperate, migliorare
anziché abbattere le garanzie sociali, i
sussidi di disoccupazione, le certezze
di tutela dalle pensioni alla sanità. Si
chiama politica economica. Il
capitalismo sul medio termine se ne
avvantaggia perché alla fine viene
salvaguardata la struttura del libero
mercato, ma passando attraverso forti
dosi di socialismo».
Non per abbassare il livello della
discussione storica, ma la cronaca ci
parla di acerrime controversie in
Europa: quest’interventismo statale,
del quale si avverte la necessità, deve
passare attraverso le forche caudine
di Bruxelles. Come fare?
«Infatti è sbagliata l’impostazione
rigorista di cui, su input della
Germania, è permeata la politica
comunitaria. È la via più sicura verso
l’implosione delle società
capitalistiche. Occorre una radicale
revisione dell’impostazione
dell’Unione europea che permetta
disavanzi pubblici più ampi per
finanziare lo sviluppo futuro. Non
dimenticate la lezione della Grecia,
dove sono aumentati i suicidi e la
mortalità infantile».
Però la nuova presidente dell’Ue,
Ursula von der Leyen, si è detta
aperta verso una maggior flessibilità.
Possiamo sperare?
«Non mi farei troppe illusioni, perché
questo cambio di mentalità richiede
una revisione costituzionale dei
trattati, che non è facoltà della
commissione ma del consiglio europeo
che deve approvarla all’unanimità e
vista la rigidità dei Paesi nordici il
traguardo è irraggiungibile.
Altre volte c’è stato un accenno
effimero di allentamento dei vincoli
come quando Germania e Francia
superarono il 3%, ma tutto è finito lì.
Intanto le diseguaglianze fanno
rabbrividire: l’altro giorno su Les Echos
c’erano due titoli: uno diceva che
Bernard Arnault ha aumentato di 30
miliardi la sua fortuna personale, l’altro
gridava allo scandalo perché è
aumentato dell’1% il bilancio della
previdenza sociale.
Vedete dove può arrivare il capitalismo
quando tenta di proteggere se stesso?».
Il libro
Capitalismo,
che fare?
L’intervista
Sarà banale
ma serve
più socialismo
Nelle situazioni a rischio l’intervento dello Stato
è decisivo e la lezione di Keynes sempre attuale
Come spiega l’economista Jean-Paul Fitoussi
di Eugenio Occorsio
Cultura
I
La neolingua
dell’economia
di Jean-Paul
Fitoussi
(Einaudi, pagg.
174; euro 17)
kEconomista
Jean-Paul
Fitoussi insegna
a SciencesPo
a Parigi e alla
Luiss di Roma. È
anche membro
del Center on
Capitalism and
Society della
Columbia
6
Ormai consideriamo
naturale
la disoccupazione
ma crea differenze
e povertà
che mettono a rischio
la democrazia
Il debutto in poesia
di Paolo Madron
BIOLOGICO BARATTO
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del tempo presente - insidia e seduce
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Collana I Giardini della Minerva a cura di
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. Martedì,^22 ottobre^2019 pagina^31