DOMENICA6OTTOBRE2019 CORRIEREDELLASERA LALETTURA 35
SguardiOrienti
Grandepassione,30annidicollezionismoe
infineilmuseo:meritodiCostantino
FrontalinicheoggiesponeaCingoli
(Macerata)piùdi100esemplaridisidecar.Il
MuseodelSidecarèunospaccatodistoria
finoal1980,conalcunipezziprotagonisti
anchedeisetcinematografici.Epoicisono
quellidaGuinness:ilpiùlungo,ilpiùpiccoloe
ilpiùlargoalmondo.Tantecuriosità,comele
biciclettesidecar,lorendonounicoalmondo.
Motociclettaatreruote
{
Pazzidacollezione
diMaurizioBonassina
IndiaSujatroGhoshfotografagiovanieanzianecontestebovineper
denunciarelacondizionefemminile.Perciòèperseguitato.OraèaCatania
Lemie donne-mucca
nonsiarrendono
di ALESSANDRAMUGLIA
L
e donne-muccasono sbarcate in
Italia. Dopo aver girato il mondo
sulle ali dei socialerichiamato
l’attenzione dei media interna-
zionali, le immagini delle ragaz-
zeconlamaschera divaccaintesta di
Sujatro Ghosh sono approdate a Catania.
Trenta scatti selezionatitra gli oltre5 00
realizzati in due anni da questo artista e
attivista indiano sono in mostra alla Gal-
leria Plenum.Fotografie fattecon iltele-
foninoediffuse via Instagram in quello
che Ghosh definisceun«progettodel-
l’uomocomune»:comune perimezzi
usati, noncerto per l’idea. Figurefemmi-
nili, in sari ovestite all’occidentale, ripre-
se in strade qualunque o davanti a luoghi
simbolocome ilTaj Mahal e il Golden Ga-
te, in viaggio su un treno o su una barca,
ma anche semplicementesdraiatesul
proprio letto, acasa, per dire che in India
le donne sono vulnerabiliovunque. Mol-
topiù dellevacche, sacre per gli indù.
Ghosh ha scelto ilcodice del grottesco,
della provocazione ironica per trattare un
tema moltoserio. «Ho pensatoche
l’umorismo potesse essere un modo per
aiutare le persone a essere piùconsape-
voli.Vo levorendere l’assurdità di unPae-
se dovele mucche sonoconsiderate più
importanti delle donneecivuole più
tempoarenderegiustiziaauna signora
aggredita o violentata che a un bovino»,
spiega Ghosh, 26 anni, originario di Cal-
cutta, arrivatoa Catania per ilvernissage:
i tempi lunghi dei tribunalicontro quelli
brevissimi dei gau rakshak , i «protettori
delle mucche», radicali indù che armati
di spranghe diferroebastoni danno la
cacciaachiunque sia sospettatodima-
cellare o mangiare il manzo,con botte e
linciaggi. Questi gruppi estremisti si so-
no rafforzati dal 2014, da quando è al go-
verno il partito nazionalista indù del pre-
mier Narendra Modi.
L’idea di dare vita a questo efficacecor-
tocircuito èvenuta a Ghosh a NewYork.
«Mi sono imbattutonelle mascheredi
vacca, ne hocomprate un po’ e le ho por-
tate acasa, a Calcutta. Le avrei usate, pen-
sai, per mostrare questo paradosso e far
riflettere sui crimini che sicompiono nel
mioPaese “in nome delle mucche” e del-
la religione».
Adue anni di distanza Ghosh traccia
un bilancio: «All’inizio ho dovuto ricorre-
rea parenti e amiche per trovare le mo-
delleehoscattatosoprattuttoaDelhi e
Calcutta, poi sono arrivatecandidature a
pioggia, la gente ha iniziato a darmi ap-
puntamentoovunque, ho ricevutouna
valanga di apprezzamenti e finanziamen-
ti con il crowdfounding ». Eppure nessu-
no in India accetterebbe di esporre que-
stefoto: «Le gallerie rischierebbero trop-
po, qualsiasi iniziativa di natura politica
non allineata alle posizioni del governo
viene osteggiata». Lo stesso Ghosh è fini-
tosottoattaccodei nazionalisti indù:
«Sono stato inseguito, sonovenuti acer-
carmi acasa. Alcuni sgherri si sono pre-
sentaticon aria minacciosa dai miei ge-
nitori a Calcutta chiedendo di me».
Chiari avvertimenti che hanno creato
un clima diterrore.Uno degli ultimi scat-
ti èuna donna seduta su un cumulo di
macerie:fotoiconica del bilancio amaro
di questi due anni di lavoro. Amaroma
non definitivo: le donne-muccanon si ar-
rendono.
©RIPRODUZIONERISERVATA
i
L’autore
Sujatro Ghosh (qui sopra) è
un artista-attivista nato a
Calcutta 24 annifa. Dopo le
prime esperienze da
fotoreporter al seguito di
Organizzazioni non
governative impegnate sui
diritti delle donne etemi
ambientali, haavviato nel
2017 il progetto Cow mask :
fotografarecon lo
smartphone donnecon il
voltocoperto da una
maschera di mucca (a
sinistra) e divulgarle su
Instagram.L’obiettivo:
sensibilizzare lagente su
come in India le mucche
siano trattate meglio delle
donne e innescare un
cambiamento di mentalità
L’appuntamento
HolyCow è il titolo della
mostra incorso fino al 19
ottobre alla Galleria Plenum
di Cataniacon trenta delle
oltre 500fotografie del
progetto. È la seconda
mostra personale di Ghosh
dopo quellatenuta a Laval,
fuoriParigi
ThailandiaPremiatonel2018aVeneziaeorainuscitainItalia,ilfilm
diPhuttiphongAroonphengèdedicatoairohingya,profughidallaBirmania
Ilmio uomo-manta
accusalenostrepaure
di MARCODELCORONA
I
l filmcomincia prima dell’inizio del
film. Con una dedica sullo schermo
ancora nero: «Airohingya». Che so-
no la popolazione musulmana della
buddhista Birmania che l’Onucon-
sidera tra le più perseguitatealmondo.
Unacrisi umanitaria chetoccaanche la
Thailandia,Paeseconfinante, e che ilre-
gista Phuttiphong Aroonpheng havoluto
fosse una delle chiavi del suo lungome-
traggio d’esordio, Manta Ray .Premiata
l’anno scorso aVe nezia (miglior film nel-
la sezione Orizzonti) e ora in uscita nei ci-
nema italiani, la pellicola evoca — senza
renderlo esplicito — il dramma di un’et-
niacostretta all’esodo. Accenna e non di-
ce,con un arsenale espressivoche pare
lambire la videoarte sia per la scelta delle
inquadrature sia per l’attenzione alle luci
sia per la sceneggiatura, scarnificata fino
a ridurre i dialoghi a quasi nulla.
I rohingyac’entranocomunque, anche
seèappuntoladedicaaindirizzarelo
spettatore(quello occidentale, tuttavia,
forseèignarodella pulizia etnicache si
consuma nell’ovest della Birmania). La
trama, elementare, infattivede un uomo
ferito che giace in un intrico di mangro-
vie, salvato da un pescatore che se lo por-
ta acasa e lo cura; siamo nel sudovest del-
la Thailandia, lo sicapisce perché ilcapi-
tano del peschereccio è musulmano, tut-
toil restorimane rarefatto; lo straniero
non apre boccae il pescatore gli dà il no-
me di unarockstar locale, Thongchai; i
duecondividono un pezzo di vita finché
il pescatorenon sparisceelostraniero
non si ritrovaincasa l’exmoglie di lui,
scappata dall’amante. Eccoche lo stranie-
roprende il posto del pescatore, ne vive la
vita. Sarà il nuotodella manta nell’ultima
scena, immagine di libertà, a giustificare
il titolo e a suggerire una possibile inter-
pretazione all’apologo.
Èstatolostesso Phuttiphong Aro-
onpheng a legittimare la lettura del film:
«Si può presumere che lo straniero sia un
rifugiatorohingya, sebbene nulla nel
filmconfermi questa lettura».Eperché
rohingya? «Ciò che mi haveramente
scioccatoèstatovederealcuni dei miei
amici pronunciare parole d’odio quando
hanno saputo che la Thailandia avrebbe
potuto ospitare alcuni dei rifugiatirohin-
gya (inrealtà, oltre un milione dirohing-
yasono scappati in Bangladesh, ndr ). In
Thailandia spesso siconsiderano “infe-
riori” le persone deiPaesi vicini, macon i
rohingya è diverso, l’odio e il razzismo so-
no estremi ereali».
In Manta Ray vain scena il cimento
dell’accoglienza. L’uso delteleobiettivo
schiaccia i personaggi, spesso isolandoli
simbolicamenterispettoallo sfondo.
L’atto dell’imporre il nome,come fa il pe-
scatorecon lo straniero,comunicauna
presa di possesso, la riduzione dell’altro
all’interno del proprio mondo. Lo slancio
altruistico iniziale, la vicinanza, non ba-
stano acompiere la metamorfosi dell’ al-
tro da noi in noi. Il timore dello straniero
resta. Ma l’ altro sa dovecercarela propria
libertà: in quale mare, in qualeforma.
©RIPRODUZIONERISERVATA
i
Ilfilm
MantaRay, primo
lungometraggio delregista
thailandese Phuttiphong
Aroonpheng, ha vinto il
premiocome miglior film
nella sezione Orizzonti della
Mostra del cinema di
Venezia 2018. Protagonisti:
Aphisit Hama (a sinistra),
Wanlop Rungkamjad e
RasmeeWayrana.
Coproduzione thai-franco-
cinese, esce in Italia,
distribuito da Mariposa,
giovedì 10 ottobre. A destra:
l’immagine della manta in
mare che chiude il film
Ilregista
Phuttiphong Aroonpheng
(Bangkok, 1976) ha
studiato arti visive.Con i
suoicortometraggi ha
partecipato a piùfestival
Laquestionedeirohingya
Il film è dedicato airohingya,
etnia musulmana della
Birmania perseguitata dalle
autorità e dai nazionalisti
buddhisti. Oltre un milione
di loro vive incampi
profughi in Bangladesh