Panorama - 18.09.2019

(Nandana) #1
18 settembre 2019 | Panorama 43

Dovreste imparare da loro, signori che dete-
nete il potere mediatico e politico, clericale
e culturale in Italia. Loro, gli accoglienti per
antonomasia, i caritatevoli per definizione, i
dialoganti per vocazione, gli amanti dei poveri
e dei sofferenti. Dico i francescani di Assisi.
I fraticelli d’Italia dedicano il loro Cortile di Francesco che si
svolge fino a domenica 22, al dialogo tra culture, autori, saperi
diversi. Ma a differenza dei soliti convegni finto-pluralisti con
una compagnia di giro tutta conforme, i franπcescani sono gente
seria, aperta e onesta e nei loro In-contri invitano a confrontarsi
filocapitalisti e anticapitalisti, autori di destra e autori di sinistra,
cattolici e laici, sovranisti e internazionalisti, tradizionalisti e
progressisti, senza pregiudiziali ideologiche. E il loro convegno
non è la solita menata in omaggio alle diversità, col sottinteso
che i comuni, i normali devono sentirsi in colpa pensando ai
diversi in questione che sono i gay, le lesbiche, le femministe,
i migranti clandestini, i rom, oltre gli ebrei, i neri in Europa e
i disabili. No, le diversità che affrontano sono le differenze
tra popoli, nazioni e comunità – come recita il loro titolo. Per
amarsi bisogna conoscersi e rispettarsi nella propria identità,
nella propria tradizione, nella propria fede e cultura. Natural-
mente ognuno lo declinerà come crede, ma il tema perlomeno
si presta a letture differenti e non al solito Racconto Unico e
Obbligato. Parole come nazione o comunità non vengono irrise
o calpestate...


Sono davvero ecumenici, i francescani, non come il loro
omonimo Papa Francesco, che sta disegnando una Chiesa a
sua immagine e somiglianza, e cancella o rimuove chi non la
pensa come lui. Abbiamo avuto nella storia della Chiesa ben
cinque papi francescani ma nessuno di loro osò chiamarsi Pa-
pa Francesco; lo ha fatto solo un astuto gesuita, il primo della
Compagnia a diventare Papa. Vorrà pur dire qualcosa...
I fraticelli guidati da Padre Enzo Fortunato sono coerenti col
loro Santo Fondatore. San Francesco è infatti l’unico italiano
che mette d’accordo tutti, credenti e laici e altri ancora. Piace
ai cattolici, naturalmente, perché è santo, converte alla santità
e alla carità operosa, è cristianissimo fin nella carne, ha pure le
stimmate. Piace ai filo-islamici perché dialogava col sultano e
i seguaci di Allah al tempo delle Crociate. Piace ai comunisti,
socialisti e loro derivati perché è coi poveri e i bisognosi ma il suo
è l’unico comunismo che ammiriamo tutti, perché è volontario
e personale, scontato sulla propria pelle e non imposto con la
violenza da una dittatura poliziesca e da un Partito-Totem.
Piace ai mistici e ai credenti perché la sua scelta di povertà non
nasce dal pauperismo ideologico o dalla rivolta sociale, oggi


diremmo anarco-insurrezionale; ma è una rinuncia ai beni del
mondo, un mite e disarmato spogliarsi di tutto per entrare nudi
e puri nel regno dei cieli al cospetto di Dio. Piaceva ai fascisti e
ai nazionalisti perché è il Santo Patrono d’Italia e Mussolini lo
definì «il più italiano dei santi, il più santo degli italiani», esal-
tando in lui lo spirito di rinuncia e dedizione, fino a diventare
un modello di sacrificio per l’Autarchia, quando l’Italia dové
arrangiarsi con la roba che aveva in casa.

Piace ai laici perché era in conflitto col potere clericale
e fu a suo modo un obiettore di coscienza; piace ai pacifisti
non credenti, che non a caso marciano su Assisi, da Aldo
Capitini in poi e piace a tutti i dialoganti con altre fedi. Piace
alle femministe perché aveva un rapporto paritario nella
santità con Chiara. Piace agli ambientalisti, ai salutisti e agli
animalisti perché fu il primo a difendere la Natura, cantare
il creato, amare l’acqua, la terra e parlava con gli animali
secoli prima della Brambilla. Piace ai critici del consumismo
e perfino ai grillini, è un esempio vivente di decrescita felice.
È il perfetto testimonial per i sacrifici imposti dalle crisi,
modello di lieta austerity con lo spirito del giullare di Dio. E
mette d’accordo tutti perché non è padano, non è terrone,
non è romano, ma è umbro e vagò per tutta l’Italia, a nord e
a sud. È il precursore di tutti i ribelli e i viandanti, andò on
the road prima di Kerouac e dei vagabondi del Dharma; è un
irrequieto alla Chatwin, è il Siddharta nostrano e cristiano,
senza rifarsi a Buddha e a Hermann Hesse. Unisce fedi, cul-
ture, generazioni, pensieri opposti, cammini divergenti ma
non nel segno del progressismo; nel segno del Medioevo.
Francesco fu forse il primo poeta italiano, e il suo Cantico, il
suo Laudato sì mio Signore, è una gioiosa accettazione della
vita, del creato e pure della morte – sora nostra Morte corpo-
rale; è la versione cristiana dell’Amor fati e dell’accettazione
mansueta dei nostri limiti e della nostra finitudine. Francesco
celebrò in semplicità e in povertà le nozze tra il naturale e
il soprannaturale, tra il corpo e lo spirito. Chesterton, nel
libro che gli dedicò, definì Francesco un innamorato di Dio
e degli uomini, ma non era un filantropo. Perché l’amore
per gli uomini era in lui il riflesso dell’amore per Dio e si
estendeva alle altre creature. Quel gesuita astuto e piacione
di Bergoglio scelse il suo nome come Papa con fiuto populista
del marketing religioso e social. E fu subito successo, prima
ancora di farsi conoscere. Perché non ripartire allora da San
Francesco per cercare di ricucire quest’Italia (e questa Cri-
stianità) spaccata in due, divisa da puro odio e disprezzo? Il
Santo di Assisi ci unisce, il Papa omonimo ci divide. ■
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