18 settembre 2019 | Panorama 71
INQUIETUDINI D’AUTORE
Qualcuno si incammina sul sentiero orwelliano,
svelando quanto possa essere terrificante la società
dell’esposizione costante. Adam McKinty, in The
Chain (fresco di uscita da Longanesi) racconta di
un’organizzazione specialista in ricatti e rapimenti.
Le parti più angoscianti sono quelle in cui McKinty
mostra quanto sia facile, per un malintenzionato,
spiare un persona, prendere informazioni sulle vittime
tramite i social, conoscere orari, indirizzi, numeri di
telefono. Persino pagare un riscatto diventa più facile
grazie alle monete digitali e al dark web. Pensateci,
prima di postare un’altra foto su Facebook, o di ge-
olocalizzarvi da qualche parte. Perché i vostri amici
vedranno che siete al bar che vi piace di più, chi vi
vuole male saprà che non siete in casa. O che luoghi
frequentate di solito.
A far luce su questi aspetti in ombra hanno
iniziato, negli ultimi anni, autori di alto livello
come Jonathan Franzen con Purity, e Dave Eggers
con Il cerchio, da cui è stato tratto un film con Tom
Hanks. Entrambi raccontano il lato oscuro del mondo
virtuale, concentrandosi sui social network. Poi è
arrivato James Patterson, scrittore di thriller tra i più
venduti del pianeta, con The Store, che mostra un
moloch del commercio digitale simile ad Amazon.
«The Store. Questo colosso online era diventato un
player potentissimo nel mondo dell’editoria. E in
ogni altra parte del mondo dei consumi», si legge nel
libro. «The Store forniva ciò che la gente desiderava.
In più, poiché poteva controllare i prezzi, in pratica
ci diceva che cosa comprare. Era il luogo in cui tutti
noi compravamo i tostapane, i trattori, i detersivi, la
salsa di soia, i jeans, le lampadine. Se qualcuno sulla
Terra produceva qualcosa - qualsiasi cosa - The Store la
vendeva. Querce nei vasi, casse di vino, automobili...
Tutto, solitamente, a un prezzo più basso rispetto ai
normali negozi». Patterson ha attaccato frontalmente il
commercio online, e c’è da capirlo: da uomo di lettere,
non può sopportare che gli store online schiaccino le
vecchie librerie.
Sullo stesso terreno, anche se con una raffinatezza
maggiore si muove Rob Hart, scrittore americano di
grande talento che, fra l’altro, ha collaborato pro-
prio con Patterson. Da Dea Planeta è appena uscito il
suo sfavillante tomo, intitolato The Warehouse. Qui
troviamo la multinazionale Cloud, una «megacorpo-
ration leader nella distribuzione di prodotti di ogni
genere – dai libri agli apriscatole – che in due decenni
di politiche aggressive ha letteralmente divorato il
mercato globale».
Di nuovo, la critica alla rivoluzione digitale si
intreccia al ragionamento sul sistema che l’ha favo-
rita, il turbocapitalismo che nella Silicon Valley ha
trovato una nuova Mecca, la cui anima nera è stata
indagata pure da Jeffery Deaver nel nuovo Il gioco del
mai (Rizzoli).
«La rivoluzione digitale è sia buona sia cattiva»
dice Rob Hart a Panorama. «È buona perché siamo
più connessi che mai prima d’ora, abbiamo accesso
a più beni e conoscenze. Ma è pure un male perché
ora ci aspettiamo che tutto sia a nostra disposizione
in ogni momento. E forse non dovrebbe esserlo. Il
costo dell’accesso costante è negativo sia per la forza
lavoro fisica che per
l’ambiente. Per non
parlare del modo in
cui le nostre attività
digitali vengono uti-
lizzate e manipolate
da società e politici.
Alcuni giorni sono
molto eccitato per le
possibilità del mondo
digitale, e alcuni gior-
ni ho molta paura».
In effetti sono
in tanti a mostrare
timore. Non solo fra
gli scrittori. Ma il punto è: come mai continuiamo ad
affidarci mani e piedi alla tecnologia nonostante siano
così tante le voci che ci mettono in guardia? Giriamo
la domanda ad Hart. E ci risponde che la rivoluzione
digitale funziona così tanto «perché è facile. Questo
è il successo, per esempio, di Amazon: hanno reso il
processo incredibilmente semplice. E non dobbiamo
guardare negli occhi chi fa il lavoro. Non dobbiamo
conoscerlo. Tutti abbiamo deciso collettivamente che il
nostro comfort vale il disagio di qualcun altro e quando
non devi affrontare la persona che sta facendo il lavoro
diventa tutto ancora più facile».
Niente di più vero. «Spero che questa sia la fase
finale» sospira Hart «perché se dovesse andare peggio
saremo nei guai. Ma sinceramente penso che possa
sempre peggiorare. Il divario salariale sta diventando
sempre più grande. Penso che abbiamo raggiunto un
punto in cui qualcosa deve cambiare, perché non pos-
siamo più continuare così, con un piccolo numero di
persone che accumulano ricchezza e il resto di noi che
si uccide in modo che possano farlo. Non so cosa debba
cambiare, però. Vorrei avere una risposta migliore». ■
© RIPRODUZIONE RISERVATA
The Warehouse di Rob Hart, uscito questo
agosto, racconta un mondo distopico
dove tutto è in vendita (DeA Planeta,
480 pagine, 17 euro).
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480 pagine, 17 euro).
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