98 Panorama | 18 settembre 2019
IL GRILLO PARLANTE
«Vorrei anch’io il permesso di riabbracciare
mio padre». Non riesco a togliermi dalla testa le parole
di un ragazzo napoletano, si chiama Giuseppe Della Corte, e
forse in questi giorni ne avrete sentito parlare in tv. Il papà di
Giuseppe, Francesco, era una guardia giurata. È stato ucciso nel
marzo dell’anno scorso, mentre lavorava: tre ragazzini, poco
più che sedicenni, l’hanno aggredito con mazze e bastoni in
una stazione e l’hanno pestato senza pietà. «Volevamo rubargli
la pistola» diranno poi, senza alcun pentimento. Francesco è
rimasto in coma 15 giorni prima di morire. E mentre lui era
in agonia, i ragazzi assassini se la spassavano e ridevano alle
sue spalle, senza sapere di essere
intercettati. «Schiatta! Schiatta!»,
sghignazzavano. E poi: «Tanto non
ci fanno niente».
Subito dopo li hanno arresta-
ti e processati. Questa primavera
sono stati condannati a 16 anni
di carcere. Poco, troppo poco
per un omicidio così. Ora inizia
il processo d’appello. Ma qualche
giorno fa, questo è il punto, uno
di loro ha compiuto 18 anni. E il
tribunale gli ha concesso un per-
messo premio. Il ragazzo è uscito
di cella ed è andato a festeggiare il compleanno in un locale
lì vicino, circondato dagli amici. Torte, cotillons e tavole im-
bandite. I social hanno rilanciato le foto. Il ragazzo assassino,
neo diciottenne, si pavoneggia mano nella mano con la sua
fidanzatina. La riabbraccia. E per questo che Giuseppe dice:
«Anch’io vorrei il permesso di riabbracciare il mio papà».
Purtroppo, però, quel permesso non lo potrà avere. Mai più.
Giuseppe ha una sorella, che si chiama Marta che studia
giurisprudenza. Marta dice di aver scelto quella facoltà perché
ha fiducia nella giustizia. Ma non è facile aver fiducia nella
giustizia quando vedi l’assassino di tuo padre che fa festa, e
a te rimangono solo ricordi, foto, lacrime e dolore. Tu l’hai
festeggiato il tuo compleanno? hanno chiesto a Marta. No,
ovviamente. Quest’anno Marta non ha festeggiato il comple-
anno. L’assassino di suo padre, invece sì. E ancora una volta,
fra feste fatte e non fatte, si ha l’impressione che in questo
Stato convenga essere criminali piuttosto che vittime.
Per le vittime, infatti, non c’è mai nulla. Per le vittime
non c’è mai attenzione. Non c’è un filo di emozione, né
condivisione, tanto meno aiuto pratico. Chi è vittima rimane
solo, vittima due volte, dei delinquenti e della solitudine in
cui viene abbandonato. Per i criminali, invece, no. Per loro
ci sono mille attenzioni. Le attenuanti. Le tutele. I percorsi
di recupero. I permessi premio. La riabilitazione. Il reinse-
rimento sociale. Il criminale non viene mai lasciato solo. E
se ha un desiderio si cerca di esaudirlo, foss’anche quello
di festeggiare il compleanno in faccia alle proprie vittime.
È tutto perfettamente legittimo, per carità. Il ministro
della giustizia Alfonso Bonafede ha mandato gli ispettori nel
tribunale che ha concesso il permesso premio, ma vi anticipo
già come finirà. Come finisce sempre in questi casi: in nulla.
Si troverà che sono state rispettate perfettamente le leggi, che
le regole non sono state violate.
Ma mi domando se questo non
sia ancora più grave. Se non sia
ancora più grave, cioè, dover dire
a Marta e Giuseppe che quello che
stanno vivendo non è frutto di un
errore, una svista, un’infrazione.
Ma è proprio quello che prevede
lo Stato. Che si dimentica chi è
vittima. Non chi è carnefice.
E poi mi domando anche
se questo sia davvero il modo
di aiutare i carnefici. Se questo
sia davvero il modo per aiutarli
a capire quello che hanno fatto,
premessa necessaria per poter essere realmente reinseriti nel-
la società. Marta e Giuseppe hanno raccontato che durante
tutto il processo gli assassini del padre non hanno mai chiesto
scusa sul serio. Solo parole di circostanza. Fredde. E quando
raccontavano il delitto (orrendo) lo facevano con cuore duro.
Il giudice li ha definiti «ragazzi indifferenti al male». È stata
riconosciuta l’aggravante della crudeltà. Avete capito bene:
indifferenti al male, crudeltà. Ma per loro queste rimarranno
parole vuote. Come potranno infatti capire l’orrore che hanno
commesso, se dopo poco più di un anno possono andare già in
giro a festeggiare? Ho l’impressione che dopo tanto parlare di
rieducazione, ci sarebbe un gran bisogno di tornare a parlare
di punizione. Perché, dopo un errore, se non c’è pena, non c’è
comprensione. E se non c’è comprensione non ci può essere
rieducazione. Resta solo l’offesa alle vittime. Condannate due
volte, loro sì: al lutto e all’umiliazione. ■
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di Mario
Giordano
LA SOLITUDINE
DELLE VITTIME
Il permesso premio dato a un
diciottenne accusato dell’omicidio
di una guardia giurata dimostra
come in Italia vi sia troppa
comprensione per i carnefici.
Mentre il dolore non conta.