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«Ecco un Matteo che ci riconcilia con questo nome»,
esclama uno spettatore di piazza San Cosimato a Roma,
mentre il regista Mathieu Kassovitz, invitato dai fondato-
ri del Cinema America in occasione del loro festival estivo,
presenta L’odio. Pellicola che, a ventiquattro anni dalla sua
uscita, rimane un cult. Kassovitz, 52 anni, da un po’ di tem-
po preferisce stare davanti, piuttosto che dietro, la cinepre-
sa. Ma il suo film, la storia di tre amici – un ebreo, un nero e
un arabo – che vivono in una periferia teatro di una onda-
ta d’odio in seguito a un omicidio, è ancora di attualità. So-
prattutto, osserva l’attore e regista, in un momento segnato
un po’ ovunque dall’ascesa dei populisti.
Era venuto in Italia a presentare il film nel 1995, l’anno in
cui uscì?
«Sì. Ma è sempre una sorpresa vedere che dopo tanto tem-
po suscita ancora la curiosità degli spettatori. Oggi, se do-
vessi fare un bilancio di ciò che rimane dell’Odio, direi che
si tratta del racconto dell’ingiustizia sociale, del conflitto tra
le classi. Purtroppo, ha predetto eventi di cui ora siamo te-
stimoni. Nel film si diceva che se non avessimo rispettato
quei ragazzi, un giorno sarebbero stati loro a mancarci di ri-
spetto. Ed è andata così. Abbiamo perso
una generazione a cui abbiamo mancato
di rispetto e a cui non abbiamo prestato
la giusta attenzione».
L’odio è nato dopo un episodio brutale
da parte della polizia avvenuto nel 1993
a Parigi. Oggi, in Francia, questi soprusi
avvengono ancora. Quindi non è cambia-
to nulla?
«Ci saranno sempre abusi da parte del-
la polizia. Il vero problema è che que-
ste brutalità non sono riconosciute co-
me tali da coloro che le commetto-
no che, tra l’altro, sono condannati ra-
ramente, per non dire mai. Il mio film
è diventato un punto di riferimen-
to per la società: quando in Francia si
parla di brutalità da parte delle for-
ze dell’ordine, si fa sempre riferimento
all’Odio».
Che cosa pensa dei gilet gialli?
«È un movimento di piccoli borghesi
bianchi che hanno avvertito, di colpo, un
bisogno di libertà. Ma la libertà non si
conquista solo il sabato. Se vuoi fare la
rivoluzione, la fai tutti i giorni, rischi la
vita. Se vuoi far cadere un governo soltanto perché non ti
piace la faccia del presidente, allora sei un fascista. I gilet
gialli hanno manifestato unicamente per far cadere il go-
verno. Ma dopo? Per me non sono rivoluzionari: sono solo
sciocchi senza valore».
Perché si è tolto dai social network?
«Perché sono una perdita di tempo. Mi sono chiesto che
senso avesse alzarsi al mattino per guardare Twitter e ar-
rabbiarsi. Ti insultano, quindi tu insulti. Poi, a un certo
punto, ti rendi conto che sta a te sottrarti a questo massacro,
e che il modo migliore per farlo è non frequentarli più».
Conosceva questo festival?
«Quando un gruppo di giovani ti dice che presenterà il tuo
film davanti a mille persone in una piazza di Roma, non puoi
che accettare. Poi, vista la situazione dell’Italia, pensi anche
che è importante esserci. I giovani del Cinema America so-
no riusciti a trasformare il loro odio in creatività, dando vi-
ta a questo festival per rispondere alla politica. Se sono sta-
ti oggetto di aggressioni è perché danno fastidio ai fascisti:
quindi, in qualche modo, hanno già vinto. Vedere tutta que-
sta gente riunita qui porta un raggio di luce e di speranza
nel mio pessimismo. Non tutto è perduto.
Bisogna continuare a combattere contro
l’ingiustizia, la disuguaglianza, contro
i Le Pen e i Salvini: sarà dura, ma penso
che vinceremo».
Che cos’è il cinema italiano per lei?
«La cosa incredibile è che è rimasto, per
così dire, quasi comunista. In Francia
non abbiamo questo tipo di cinema op-
pure, se c’è, purtroppo è stato fagocita-
to dall’intrattenimento. Ci mancano film
politici forti come i vostri».
Quali sono i suoi progetti?
«Lavorerò al primo lungometraggio di
Mouloud Achour, concluderò la quinta
stagione della serie Sotto copertura, poi
reciterò nei prossimi lavori di Thierry de
Peretti e di Terence Malick».
Ha in previsione di girare un suo film?
«No, non credo. Scrivo, ho molte idee,
ma il cinema che amo e che facevo era
quello artigianale, ormai scomparso. E
poi non mi piace tutto ciò che ruota in-
torno alla realizzazione di un film, tutta
la parte finanziaria: alla fine esce un’ope-
ra che non è più la tua».
E se qualcuno le desse un assegno in bianco e le dicesse:
«Tieni Mathieu, fai ciò che vuoi»?
«Ovviamente lo farei, però è impossibile che accada».
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Se vuoi far cadere
un governo solo
perché non ti piace la
faccia del presidente,
allora sei un fascista
VA N IT Y FA I R
STORIE
28 AGOSTO 2019
IN BIANCO E NERO
L’odio, del 1995, scritto e diretto
da Mathieu Kassovitz, ha vinto
il Premio per la miglior regia
al Festival di Cannes. Ha lanciato
Vincent Cassel, uno dei protagonisti.