VanityRivelazioni
VA N IT Y FA I R
STORIE
28 AGOSTO 2019
Sul suo profilo Instagram ci sono varie foto dal set dell’Uf-
ficiale e la spia nei panni di Pauline Romazzotti.
«È importante perché è l’unica donna in un film che racconta
di uomini. È molto audace per la sua epoca: sposata con due
figli, è anche l’amante di Picquart, che conosce da prima di
suo marito. E anche se l’ufficiale non l’aveva voluta in moglie,
lei era rimasta innamorata di lui. L’esercito ha cercato di but-
tarlo giù sfruttando proprio il fatto che Pauline fosse sposata».
A differenza di altri film diretti da Polanski, in cui la sua
bellezza era quasi mortificata, qui torna a splendere.
«È vero, e l’esperienza di non essere bella è importante:
quando ti guardi sullo schermo e non ti piaci è un momento
interessante. Un buon personaggio è più importante dell’a-
spetto fisico, e io cerco di essere distaccata».
Ha lavorato con registi come Godard, Monicelli, Salvato-
res, Schnabel: quando si guarda nei film del marito si ve-
de diversa?
«Roman mi conosce bene, abbiamo fiducia reciproca e forse
con lui rischio di più. Ma soprattutto sono sicura del risultato,
un fattore fondamentale su cui un attore non ha controllo».
La lascia improvvisare?
«È preciso e perfezionista, ma ama la creatività: Venere in
pelliccia è stato un grande lavoro di improvvisazione».
Dopo tanti anni insieme riesce ancora a stupirla?
«Sì, perché sa quello che fa. E ha una sensibilità particolare
nel descrivere la natura femminile: penso a come ha lavora-
to con Nastassja Kinski e Mia Farrow. E la prima volta che
si è trovato a dirigere due donne insieme, come è successo in
Quello che non so di lei, per lui è stato facile».
«Può essere noioso difendermi e parlare di qualcosa che non
mi riguarda. Però così è, ho scelto di sposare un uomo e con-
vivo con quello che significa. Se è facile? Non lo è, e mi di-
spiace per lui. Sono anche preoccupata, perché vedo il suo
dolore, ma cerco di starne fuori più che posso».
Essere un’attrice la porta a confondere i film con la realtà?
«No, sono una donna con i piedi per terra».
Anche sua figlia Morgane recita: che cosa le ha insegnato?
«Ha 26 anni, e a 10 aveva già girato un corto sulla famiglia
da cui si intuiva che questa sarebbe stata la sua strada. L’uni-
co consiglio che le ho dato è stato di differenziare, non esse-
re solo un’attrice».
Il critico francese Serge Toubiana ha detto che è bravissima
persino come regista.
«Ha già girato due corti, uno è stato selezionato per i festival
di Los Angeles, Londra e Toronto. Ricordo che da bambina
invitava le amiche a casa e chiedeva di dirigerle in commedie
improvvisate. Era durissima, le ripetevo sempre che non po-
teva comportarsi così».
È stata un tipo di madre che si impone?
«Ho sempre cercato di essere comprensiva e severa allo stes-
so tempo, perché serviva ai figli. Però è difficile per tutti: per
me essere un genitore è il lavoro più duro al mondo».
Lei e Roman siete stati due genitori ingombranti?
«Può darsi, ma nonostante questo Morgane aveva un talento
innegabile per il cinema, mentre nostro figlio Elvis, 21 anni,
è completamente focalizzato sulla musica».
Stanno per uscire articoli su Rock&Folk, Rolling Stone,
The Guardian e altri ancora: ha un nuovo disco e una nuo-
va band.
«Sono davvero felice: Diabolique esce a giorni in vari Paesi
del mondo, con il singolo siamo già arrivati alla posizione nu-
mero 7 in Gran Bretagna, e giriamo in radio in Usa, Francia,
Germania. Nel mio gruppo dei L’Épée (che significa “spa-
da”) ci sono Anton Newcombe e i The Liminanas: suonere-
mo ovunque. Ho aspettato questo momento per tutta la vita».
Che cosa le dà la musica che non le dà il cinema?
«Il cinema è arrivato velocemente e facilmente, ma la musica
è un desiderio molto precedente. È la mia passione e mi ren-
de più libera. Se nei film dipendo dal personaggio, dal regista,
dalle battute, dai tagli e dal montaggio, con la band sono me
stessa. E credo che questa libertà mi abbia aiutata a rilassar-
mi anche come attrice».
I difetti di Emmanuelle Seigner?
«Se mi fanno saltare i nervi posso urlare e diventare violenta;
come l’altro giorno, quando un uomo, per strada, mi ha accu-
sata di avergli “bocciato” la macchina. Non era vero, voleva
solo che la mia assicurazione pagasse un suo danno».
I pregi?
«Sono coraggiosa, e voglio difendere tutti, però a volte sareb-
be meglio che tenessi la bocca chiusa».
Lei è un tipo rock?
«Non ho mai fumato, non bevo, non mi drogo. Ma quando
inizierà il tour, sarò sull’autobus con tutta la band e magari
non mi farò la doccia per una settimana...».
È Tempo di lettura: 10 minuti
AMICI, AMANTI E...
Emmanuelle Seigner in una scena dell’Ufficiale e la spia,
con Jean Dujardin, 47 anni, nel ruolo di Georges Picquart,
tenente colonnello dell’esercito francese.
Essere la moglie del regista la mette in una posizione diffi-
cile nei confronti degli altri attori?
«È un aspetto a cui devo stare molto attenta. Quando giro
con mio marito ho un impegno in più: essere anche molto
aperta e di sostegno nei confronti degli altri sul set».
Come coppia faticate a lasciarvi il lavoro alle spalle?
«È successo solo con Frantic, ero più giovane ed era la pri-
ma volta che avevo la responsabilità di un vero ruolo in un
suo film. Ma era ciò che avevo sempre desiderato, e da lì in
poi lavorare insieme è stato parte della nostra vita. È positivo
per una relazione, perché è un modo diverso di condividere».
È stata dura attraversare le delicate vicende giudiziarie di
suo marito?