Aitor Throup
VanityMusica
Il primo disco solista di Serge Pizzorno, frontman dei Kasabian, è la colonna
sonora immaginaria di un film sulla sua vita tra David Lynch e la Parigi anni ’50
di FERDINANDO COTUGNO
RIPARTO DA ME (E DA GENOVA)
Serge Pizzorno ci ha messo due decenni di attività con
i Kasabian a decidere di provare la vita solista. La band di
Leicester è stata messa in pausa per un anno, e il chitarrista
(e autore di quasi tutti i brani) ha deciso di usarlo per cerca-
re una sua identità a margine di un gruppo diventato troppo
grande per consentirgli stranezze e deviazioni. Il risultato è
The S.L.P., album in uscita il 30 agosto: Serge – che ha ori-
gini genovesi e solidi legami in Italia – porterà il progetto il
12 settembre a Milano.
Il disco parte con un pezzo strumentale dedicato a Geno-
va. Perché?
«La mia idea era scrivere un album che somigliasse a una co-
lonna sonora, con un tema musicale che torna. Quel film non
poteva che partire a Genova, la mia origine e il mio inizio».
Una colonna sonora per che tipo di film?
«Un autoritratto della mia personalità, diretto da un regi-
sta come Gaspar Noé e magari con protagonista Joaquin
Phoenix».
Perché non ha usato il nome completo ma le in izia li? Sem-
bra più il nome di una band.
«Volevo creare un altro pianeta da visitare ogni volta che ho
bisogno di spazio dai Kasabian».
Si sentiva un po’ oppresso?
«Alla fine del tour non volevo tornare alla solita routine
degli ultimi anni. Dopo questa esperienza da solista sento
di poter passare ai Kasabian con la mente più chiara, più
ispirato che mai ad aprire un nuovo capitolo. Sto già scri-
vendo dei pezzi».
Progetti solisti che ha apprezzato di recente?
«Thom Yorke. Mi piace che si sentano le somiglianze coi
Radiohead, ma che porti la musica a un livello diverso, su-
periore».
Il suo album invece è molto variegato per suoni e temi.
«Lo è anche la mia personalità, sono una persona complica-
ta, troppe cose mi affascinano e mi accendono. La canzone
Nobody Else, per esempio, comincia con una sfumatura da
jazz club parigino anni ’50 e poi esplode in una traccia dan-
ce esplosiva».
Altre ispirazioni che hanno influenzato il lavoro?
«Widow Basquiat, l’autobiografia di Jennifer Clement, una
delle ex ragazze dell’artista. Mi attrae l’uso del linguaggio,
libero e frammentario. Just Kids di Patti Smith, un’altra bio-
grafia che ti dà un modo nuovo di guardare alle cose. Mi
piacciono i libri che presuppongono un lavoro del lettore,
anche i dischi dovrebbero essere così, un po’ difficili».
Il pop sta diventando troppo facile?
«La musica dipende dal format, il pop si presta bene allo
streaming e agli algoritmi. Mi piace il pop ben costruito, ma
a volte è così ben costruito da essere disonesto, da sembrare
assemblato da una commissione di esperti che, numeri alla
mano, si chiedono: come possiamo fare la canzone perfetta
per una ragazza di quindici anni? Poi però all’improvviso,
dal nulla, arriva Billie Eilish, che è solo se stessa, parla ai
ragazzi e diventa enorme».
Come sarà il disco suonato dal vivo?
«Immagini di camminare alle quattro del mattino, pensan-
do che la serata sia finita e che sia ora di tornare a casa. Ve-
de una luce al neon passare sotto una porta, entra e si trova
in un rave che sembra uscito da un film di David Lynch, un
po’ inquietante e un po’ eccitante, e piano piano si lascia
andare... sarà così».