La Stampa - 30.08.2019

(avery) #1
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“MARRIAGE STORY” DI BAUMBACH SU NETFLIX DAL 6 DICEMBRE

Scarlett Johansson: anche il divorzio

può essere un atto d’amore

MICHELA TAMBURRINO
INVIATA A VENEZIA

U

n cappello da guap-
po. Una pistola fu-
mante. Un killer in
pensione che tor-
na in attività. Il si-
cario collega che è
l’amico del cuore. La donna
amata. Il senso scomposto del-
la giustizia. Un film inusuale,
5 il numero perfetto, strambo
perché figlio d’altro eppure lo-
gico nella sua verosimiglian-
za. A firmarlo e così tutto risulta
più chiaro, è Igort che ha tratto il
film dalla sua omonima graphic
novel. Un’opera prima che gli
ha dato il lusso di scegliersi atto-
ri del calibro di Toni Servillo, Va-
leria Golino e Carlo Buccirosso.
Racconta Igort e già sembra di
stare in un nuovo film: «La fase
di messa a punto è stata lunghis-
sima, un purgatorio infinito. Il li-
bro l’ho disegnato in Giappone,
lì ho vissuto a lungo, sono il pri-
mo autore occidentale a lavora-
re con il mondo dei Manga. Ma
non bastava. Il film ha uno stile,
un linguaggio e una messa in
scena fuori dal comune e forse
intimoriva. E’ un’opera prima
costruita sull’idea dell’artificio,
reinventati i posti alla Fellini o al-
la Leone che ricostruì l’immagi-
ne del western. Suggestioni, le
loro, rimbalzate in oriente, subi-
to colte da Wong Kar-Wai e da
John Woo, come da Tarantino
che ha seguito il cinema euro-
peo e l’asiatico. Così nasce la
possibilità di meticciarsi il più
possibile. Occasione meravi-
gliosa».
Igort ha l’entusiasmo del
neofita dietro la macchina da
presa o del bambino alle prese
con nuovi giochi. A proporlo
per la regia è stato proprio To-

ni Servillo: «Mi sembrava logi-
co che fosse Igort a passare dal
tavolo da disegno alla cinepre-
sa. Nessuno meglio di lui pote-
va entrare nel cuore della vi-
cenda, al servizio della storia».
Certo i modi sono diversi e i
metodi pure, i personaggi di
Igort sono stati fin qui di carta,
senza la possibilità di interagi-
re, assolutamente obbedienti.
Gli attori pare lo siano di me-
no. Valeria Golino invece lo è
stata, ha persino imparato a

sparare: «Lavoro da tanti anni e
avevo già sparato qualche vol-
ta. Igort è un affabulatore. Ti
parla, sembra tutto fumoso, in-
vece funziona. Tensioni e con-
traddizioni, soprattutto molto
entusiasmo. In lui si coglie il
candore dell’intellettuale che
desidera rischiare. E poi c’è la
gioia di lavorare con una mac-
china da guerra come Servil-
lo». All’attore forse non piace
quest’aspetto chirurgico e spie-
tato che lo contraddistingue
ma sorride: «Una volta chiese-
ro a Mastandrea come si era tro-
vato a lavorare con me. E lui ri-
spose: “E’ come lavorare con la
Digos”. La battuta era felice ma
non è vero. Nella precisione na-
scondo le mie insicurezze».
Buccirosso invece? «E’ meti-
coloso - risponde Igort - ho sco-
perto in lui un grande attore
drammatico, mi piace questa
sua doppia anima». Anche Buc-
cirosso si è esercitato al poligo-
no e dice che le pistole vere so-

no troppo pesanti per lui.
La trama del film, prodotto
da Propaganda Italia e Jean Vi-
go con Rai Cinema, racconta di
un killer crepuscolare, Peppino
Lo Cicero, che sul finire della
sua carriera criminale crede di
avere la coscienza a posto senza
però averla, la sua è solo un’illu-
sione. Ha a disposizione solo 5
possibilità per poter rimettere a
posto le cose e da guappo quale
è, nonostante sia in pensione, si
rimette in pista. Sfondo della vi-
cenda è una Napoli da affresco,
colta nell’Italia degli anni 70. E’
qui che si consumano storie di
amicizia, vendetta e tradimento
e che forse potranno portare a
una seconda opportunità. Per
Igort si tratta della prima imper-
dibile opportunità e lui se la
sta godendo a piene mani, feli-
ce che il film sia uscito ieri in
contemporanea con la presen-
tazione in Mostra anche nelle
sale italiane. —
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AFP

VENEZIA


S


cene da un matrimo-
nio americano, rac-
contate dal regista
Noah Baumbach
con una cura dei par-
ticolari che sa di vita
vissuta, come se, correndo il ri-
schio di inciampare in lungaggi-
ni e ripetizioni, l’autore volesse
rendere tutta la malinconia del-
la fine di un amore. La vera novi-
tà di Marriage Story, il primo dei

film Netflix in gara ieri alla Mo-
stra, è nel modo con cui la diva
Scarlett Johansson, protagoni-
sta del film nei panni dell’attrice
Nicole, moglie di Charlie
(Adam Driver) e madre di un
bambino di 8 anni, rinuncia al
suo glamour super-sexy per ca-
larsi nei panni di una moglie de-
lusa e frustrata. Niente succede
a caso, tantomeno nel mondo
del cinema, e infatti Marriage
Story coincide con due vere se-

parazioni, avvenute fuori dallo
schermo, quella del regista
dall’attrice Jennifer Jason Lei-
gh, e quella di Johansson dal se-
condo marito Romaine Dau-
riac: «A volte i film sono come
un segno del destino, arrivano
al momento giusto - spiega la
star -. Da tempo volevo lavorare
con Baumbach, lui mi ha propo-
sto questo film, e io, proprio in
quel periodo, stavo affrontando
il mio divorzio».

Da quel momento costruire
il personaggio ha coinciso con
un cammino di autoanalisi per-
sonale: «Non ho reso pubblico
il mio privato - aggiunge l’attri-
ce -, ma ho capito le dinamiche
che portano Nicole alla separa-
zione, il suo bisogno di essere ri-
conosciuta come persona, oltre
il ruolo che ha nel matrimonio.
E’ innamoratissima di suo mari-
to, ma non ce la fa più a sentirsi
plasmata da lui, ad ascoltare i
suoi commenti, anche sul mo-
do in cui lavora». L’intensità del
legame tra marito e moglie, la
persistenza dell’affetto e della
conoscenza profonda, anche
quando tutto sembra ormai per-
duto, sono descritti da Baumba-
ch con precisione chirurgica:
«Del mio personaggio - dice Jo-
hansson - mi è piaciuto che conti-

nuasse a provare amore, anche
quando la scelta del divorzio è
ormai inevitabile. E’ bello riusci-
re a preservare i sentimenti, a
manifestare affetto, magari con
gesti piccolissimi, mentre tutto
sembra andare a fondo. Il corag-

gio vero sta proprio in questo, ca-
pire che una storia è finita, rico-
struire se stessi, alimentando il
senso di unità familiare, in mo-
do da preservare i figli».
Intorno a Nicole e Charlie, tra
New York dove hanno vissuto in-

sieme, e Los Angeles dove lei tor-
nerà a stabilirsi, si muovono le al-
tre presenze fisse delle separazio-
ni, i parenti stupiti, gli amici in im-
barazzo, i legali più o meno ag-
gressivi. In difesa di Nicole scen-
de in campo un’irresistibile Lau-
ra Dern nei panni di un’avvoca-
tessa pronta a fare a pezzi il coniu-
ge. Il suo monologo, a proposito
di donne, Madonne e Immacola-
ta Concezione, è uno dei momen-
ti migliori della pellicola: «Inter-
pretarlo è stato come ricevere un
regalo di Natale, quello che dice
è la verità sui ruoli differenti che
da sempre vengono attribuiti a
uomini e donne». Ad alleviare la
tristezza della fine resta, spiega il
regista, «un unico elemento co-
mune, il bisogno di essere dei
buoni genitori». F. C. —
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A

perta al nuovo e ar-
caica, infiltrata di
usi occidentali ma le-
gatissima alle sue
tradizioni patriarca-
li: è la contradditto-
ria Arabia Saudita che emerge
dal film in concorso The Perfect
Candidate firmato da Haifaa Al
Mansour, prima regista donna
(e, per la verità, primo regista in
assoluto) di un ricco paese isla-
mico che solo nel 2018 si è risol-
to ad aprire sale di cinema e a
concedere alle donne il permes-
so di guidare. Laureata al Cairo,
sposata con un diplomatico
americano, la Mansour nel
2012 si era fatta notare a Vene-
zia con l’opera d’esordio La bici-
cletta verde girato a Ryad. Lì a lot-
tare per l’emancipazione era
una bambina che scandalizzava
per la sua determinazione a pos-

sedere una due ruote come fosse
un maschietto; qui abbiamo un
giovane medico donna che, non
accontentandosi di dover lotta-
re ogni giorno con l’ostilità di col-
leghi e pazienti uomini, ha l’ardi-
re di candidarsi alle elezioni co-
munali. Non che succeda nulla
di grave, il patriarcato al potere
boicotta attraverso l’arma obli-
qua della burocrazia, a casa ci so-
no un papà musicista compren-
sivo e due sorelle solidali, cosic-
ché la forza drammaturgica del
film ne risulta indebolita. Tutta-
via resta indubbio l’interesse di
uno sguardo dall’interno sulla
complessa realtà del Paese sau-
dita: dove le donne in chador o
niqab continuano a camminare
un passo dietro agli uomini, se-
parate da loro in ogni occasione
pubbliche; mentre nel privato
assistono a sfilate, vestono in
jeans, stanno incollate ai telefo-
nini e a Internet.
Il segno dell’innegabile diva-
rio che esiste fra l’illusione del
progresso e l’immutabilità del-
la natura umana è espresso
con ben più alta potenza artisti-
ca in Ad Astra, fantascientifico
in cui James Gray trasforma
una missione nello spazio in
un viaggio intimista. Ottimo il
protagonista Brad Pitt; e otti-
mi anche l’Adam Driver e la
Scarlett Johansson di Marria-
ge Story, scene da un divorzio
che un Noah Naumbach in bili-
co fra Bergman e Allen condu-
ce con personalissima grazia
sul filo dell’autobiografia. —
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Non c' è appassionato di cinema
che rinuncerebbe ad assistere al-
la scena che avvenne negli studi
della Universal. Siamo nel febbraio del
1957, Orson Welles è riuscito a convin-
cere i dirigenti della major americana a
finanziare un poliziesco, Touch of Evil (
l'infernale Quinlan), ma i produttori

hanno molte riserve su come Welles sta
girando e soprattutto sui tempi di ripre-
sa che si dilatano di continui. Welles cer-
ca di mediare e si rende disponibile: sic-
come nello studio vicino stanno giran-
do un piccolo film di fantascienza, Wel-
les mette a disposizione la sua famosa
voce per il trailer di quel piccolo film.

Una disponibilità che non porterà a
niente, perché poi la Universal mutilerà
in mille modi il capolavoro di Welles (so-
lo di recente si è visto un montaggio che
si avvicina a quello che avrebbe voluto il
regista): E quel piccolo film di fanta-
scienza? Si intitolava The Incredible Shi-
rinking Man (orrendamente tradotto

qui da noi come Radiazioni BX: distruzio-
ne uomo), aveva un budget risicato, atto-
ri pochi conosciuti e una storia strana:
un uomo che ogni giorno diventa più
piccolo e per questo motivo tutto diven-
ta un pericolo, dal gatto di casa a una
perdita d'acqua fino a un ragnetto che di-
venta un mostro terribile. La storia, co-

munque, è formata da Richard Mathe-
son, uno dei più grandi scrittori di fanta-
scienza del '900. E' un film di genere, ma
alla fine sa parlare anche dell'infinità, di
Dio e delle piccolezze umane. Insom-
ma, Orson Welles aveva visto giusto an-
che quando aveva deciso di svendere il
suo immenso talento...

leone d’oro alla carriera

Almodovar: “Questo è il mio riscatto politico, oltre 30 anni dopo”

Il Leone d’oro alla carrie-
ra ha, per Pedro Almodo-
var, il sapore del riscatto,
per giunta politico. E poco impor-
ta se nel corso della sua brillante
carriera da regista abbia vinto di
tutto, ultima in ordine di tempo,
la Palma a Cannes per il suo Anto-
nio Banderas, migliore attore di
Dolor y Gloria. Brucia la sua prima
esperienza, nel 1983 al Lido: «Di-
rettore del festival era Gian Luigi
Rondi e io presentavo L’indiscreto
fascino del peccato. Lui era demo-
cristiano e disse che il film era
osceno. Ma lo disse ai giornalisti
che fecero gran titoli e a quel pun-
to non poterono più togliere il

film dalla gara. Sono tornato nel
1988 con Donne sull’orlo di una cri-
si di nervi e fu tutto diverso. Sergio
Leone presidente della giuria che
vedeva anche Lina Wertmuller,
mi disse che il film era piaciuto,
che avrebbe meritato di vincere.

Purtroppo era una commedia e il
Leone andava a un film serio». Al-
modovar si racconta ed è una gio-
ia ascoltarlo; il suo bisogno di colo-
ri forti che gli arrivano da un’infan-
zia nella Mancia contraddistinta
dai veli a lutto delle donne: «Da
bambino non sapevo che cosa fos-
se il rosso». E poi la sua Madrid,
vera università di vita. «Ora
non ci manca nulla rispetto
all’Europa, persino un partito
di estrema destra». E gli anni
che passano. «Ho i capelli bian-
chi e porto un tailleur. Esco me-
no ma quando lo faccio colgo la
vita intorno a me». M. TAMB. —
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  1. Toni Servillo e Valeria Golino.
    2.Monica Bellucci. 3. Le attrici
    Dhay e Mila Al Zahrani e la regista
    Haifaa Al-Mansour. 4. Brad Pitt
    sul tappeto rosso. 5. Scarlett Jo-
    hannson per Marriage Story


Ieri in concorso alla Mostra del Cinema “AD ASTRA” di James Grey: “Sono cresciuto con l’idea che l’uomo debba essere forte, mai vulnerabile”

Brad Pitt: che fatica essere maschi

“Sulle orme dei padri nello spazio come nella vita”


Haifaa e il merito


di farci toccare


le contraddizioni


del Paese saudita


Cinefilia Orson Welles

e la fantascienza ai tempi

della Guerra Fredda

STEVE DELLA CASA

IGORT
FUMETTISTA, REGISTA

INTERVISTA

2 3 4

1

“Un destino, ho girato
il film mentre mi
separavo, ci ho messo
tutta me stessa”

“5 È IL NUMERO PERFETTO”, debutto alla regia del fumettista Igort

Golino: una gioia lavorare con Servillo


macchina da guerra che non sbaglia


Toni Servillo, di spalle, e Valeria Golino in una scena di “5 il numero perfetto” di Igort, che ha tratto il film dalla sua omonima graphic novel

“The Perfect Candidate”

ALESSANDRA LEVANTESI KEZICH


LA RECENSIONE

FULVIA CAPRARA
VENEZIA

S


e qualcuno, magari
di sesso maschile,
aveva continuato a
ripetere che sì, Brad
Pitt è sicuramente
bello, ma come atto-

re non vale granchè, da oggi è
meglio che taccia. Nel film di
James Gray Ad Astra (dal 26
settembre in sala con 20th Cen-
tury Fox), il divo 56enne, qua-
si sempre in primo piano, im-
prigionato nella tuta da astro-
nauta e spedito nello spazio in
cerca del padre scomparso,
mette in luce i risvolti meno no-
ti del suo talento, abbandona
l’aria spaccona, si fa riprende-
re con le rughe ben in vista e gli
occhi lucidi di un uomo smarri-
to: «Era da tempo che io e Ja-
mes volevamo lavorare insie-
me, quando ho letto la sceneg-
giatura ho pensato subito chee-
ra una sfida interessante». A

poche ore dalla prima mondia-
le, maglietta verde militare,
bracciali ai polsi, tatuaggi, ber-
retto malandrino, Pitt sorseg-
gia coca-cola, si lamenta del
jet-leg, e, tra un sorriso e l’al-
tro, racconta la sua fase di vita.
Che cosa in particolare l’ha at-
tratta di Ad astra?
«Sono cresciuto in una piccola
città americana, con l’idea che
gli uomini debbano essere for-
ti, mai vulnerabili, pronti a tut-
to. Il film contiene una rifles-
sione su questo, indaga su che
cosa significhi veramente esse-
re maschi, ed è l’aspetto della
storia che mi interessa di più.
Siamo abituati a negare i dolo-

ri, i rimpianti, senza capire
che, se fossimo più aperti, po-
tremmo entrare più facilmen-
te in connessione con gli altri».
Ad astra è soprattutto la sto-
ria di un padre e di un figlio,
che cosa le ha fatto pensare?
«Mi ha fatto tornare in mente
mio padre, quel genere di uo-
mo che pensa di dover vincere
sempre e va avanti così, se-
guendo le sue convinzioni.
Adesso che anch’io ho una cer-
ta età, capisco bene quello che
i miei genitori hanno fatto per
me, rivedo la fatica di mio pa-
dre, i suoi sforzi per tirarci fuo-
ri dalla povertà e per offrirci
un futuro migliore».

Che cosa ha guadagnato con
gli anni?
«Sicuramente una maggiore
saggezza. E poi, come accade
in ogni professione, ho impara-
to ad accettare meglio quello
che viene, senza farmi troppi
problemi».
Il suo personaggio, Roy Mc-
Bride, è immerso nello solitu-
dine dello spazio. Che effetto
le ha fatto immaginare quel si-
lenzio, quel vuoto?
«A parte il fatto che ho recitato
per tutto il film appeso a dei fi-
li, sicuramente preferisco sta-
re sulla Terra, in mezzo alla na-
tura, con i miei amici».
In C’era una volta a Holly-

wood di Tarantino è uno
stuntman pragmatico e sicu-
ro di sè, qui un astronauta al-
le prese con una resa dei con-
ti esistenziale. Due ruoli op-
posti, come li ha affrontati?
«Il mio approccio è sempre lo
stesso, faccio il mio lavoro nel
modo in cui so farlo. Quello di
Tarantino è un film sul cine-
ma, ambientato a Los Angeles,
nel suo mondo, in questo di
Gray ho dovuto lavorare di più
su me stesso, scavando den-
tro, e spingendomi in zone
dell’anima meno confortevoli.
In fondo, i due personaggi non
sono così lontani. Li accomu-
na il senso dell’onestà, la neces-

sità di vivere seguendo certi va-
lori. E comunque mi piace sem-
pre lavorare su materiali com-
plessi, su temi che pongono sfi-
de, fortunatamente posso fare
tutte e due le cose».
Di Ad astra è anche produtto-
re, sta pensando all’eventuali-
tà di un Oscar e, comunque,
come si pone nei confronti
dei riconoscimenti?
«Non ho mai guardato la mia
professione da questa prospet-
tiva, lo scopo non è vincere, i
premi sono una cosa bellissi-
ma, ma se reciti pensando di ri-
ceverne sei fottuto in parten-
za. L’obiettivo è un altro, anda-
re avanti, vedere come il pub-
blico accoglie proposte sem-
pre diverse».
Quando si diventa una star
amata da eserciti di fan, può
risultare difficile restare con i
piedi per terra. Lei come fa?
«Non mi sento molto cambia-
to dai tempi degli inizi. Anzi.
Dentro sono rimasto il ragaz-
zo venuto su in un paesino
Missouri, arrivato a Los Ange-
les da totale sconosciuto, sen-
za nessuna esperienza. Ho
preso il primo aereo della mia
vita a 23 anni, tutto quello
che è successo dopo mi sem-
bra ancora incredibile». —
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E’ un’opera prima
costruita sull’idea
dell’artificio, i posti
reinventati alla Fellini
o alla Leone

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