La Stampa - 30.08.2019

(avery) #1
.

FABIO SINDICI


U


na mano tiene la
tunica per un lem-
bo. L’altra copre il
sesso, quale un se-
greto che solo a
pochi può essere
rivelato. Gli occhi di marmo
tradiscono una certa sorpre-
sa, ma nessun imbarazzo. Le
dee non provano imbarazzo.
Specie se si tratta di Afrodite,
la dea dell’amore, immagina-
ta e scolpita da Prassitele con
dita leggere, nel momento
che segue o precede il bagno
rituale, come colta da uno
sguardo incauto. La statua, il
primo nudo femminile
dell’arte greca, il più celebra-
to nell’antichità, è nota con il
nome di Afrodite Cnidia, per-
ché era il perno visivo nel
naos del piccolo tempio dedi-
cato alla dea a Cnido, cittadi-
na su una piccola baia della
frastagliata costa dell’Asia mi-
nore, dove ancora oggi sosta-

no i caicchi e le barche a vela,
al riparo dai venti dell’Egeo.
A Cnido la statua non c’è
più. L’originale, terminato da
Prassitele intorno al 360 a.C.,
è andato perduto. La cono-
sciamo solo per le numerose
copie, con alcune varianti, di
epoca romana (la Venere Co-
lonna ai Musei Vaticani, la
Farnese al Museo Archeologi-
co di Napoli). Sappiamo, qua-
si per certo, il modello uma-
no dietro la divinità: l’etera
Frine, la più celebre cortigia-
na ad Atene, quando la città
era nel crepuscolo del suo
splendore. E possiamo coglie-
re oggi l’ironia di un riflesso,
quasi un dispetto divino: la
bellissima Frine si ritrovò di
colpo nuda al climax di un
processo in cui era imputata
per empietà.
A sfilarle la stretta tunica
fu, con un coup de théâtre, il
suo stesso difensore, Iperide,
oratore di genio e assai moti-

vato – era amante e cliente
della sua assistita. I giudici
dell’Areopago ateniese furo-
no abbagliati dalla nudità del-
la donna, storditi da un «pani-
co superstizioso», e si ritrova-
rono incapaci di «condanna-
re a morte una profetessa e sa-
cerdotessa di Afrodite», co-
me ci racconta secoli dopo,
nella Roma dei Severi, il
grammatico Ateneo di Nau-
crati, compulsatore maniaca-
le di antiche cronache alla Bi-
blioteca di Alessandria. L’ar-
te ispirò la realtà, perché il
processo ebbe luogo quindici

o vent’anni dopo (non c’è si-
curezza sulle date) la creazio-
ne della statua. Ma la dea fu
benigna con la sacerdotessa
che le aveva prestato i tratti:
caduti i veli, Frine fu assolta e
portata in trionfo dagli esul-
tanti ateniesi proprio al tem-
pio di Afrodite.

Non conosciamo molto del-
lo svolgimento del processo:
la difesa d’Iperide, inserito
nel Canone Alessandrino co-
me uno dei grandi oratori atti-
ci, è andata perduta, a parte
frammenti di poche parole. I
suoi contemporanei la giudi-
cavano un capolavoro, alla
pari con quelle di Demoste-
ne. Sembra – da testimonian-
ze indirette – che fosse gioca-
ta sul filo dell’ironia e la lama
del sarcasmo. Soprattutto,
sul ridicolo degli avversari e
delle tesi dell’accusa. Iperide
zittisce con una battuta un
membro supponente dell’A-
reopago, figlio lui stesso di
una prostituta d’alto bordo,
secondo Ateneo. Nel conses-
so c’era anche un parásitos di
Frine, insomma, un mantenu-
to. E chissà quanti clienti, vi-
sto che la corte era formata in
buona parte da uomini facol-
tosi e frequentatori di etere,
una via di mezzo tra le escort
di oggi e le geishe del Giappo-
ne dei samurai. Spesso nate
schiave, la professione le ren-
deva più libere rispetto a una
rispettabile moglie ateniese.
Nessuna, tra loro, era affasci-
nante e sfrontata come Frine.

Pure il suo accusatore, Eutia,
era stato un suo amante a pa-
gamento e una malignità vuo-
le che uno degli argomenti
dell’arringa difensiva insi-
nuasse che il processo era sta-
to montato per non pagare il
conto dovuto per le prestazio-
ni erotiche.
Spogliare un’imputata per
muovere il tribunale a com-

passione, specie nei giudizi
che comportavano la pena ca-
pitale, come quello di Frine,
non era del tutto insolito. Lo
svelamento di Frine, al con-
trario, non era quello di una
donna qualunque.
«Era una donna davvero
bellissima, anche in quelle

parti che in genere non sono
esposte (kalè en toîs mè blepo-
ménois): pertanto non era fa-
cile vederla nuda, perché era
solita indossare una tunica
che la copriva interamente e
non andava mai ai bagni pub-
blici. Ma durante le celebra-
zioni solenni a Eleusi e alle fe-
ste di Poseidone si toglieva
gli indumenti davanti ai Gre-
ci lì radunati e coperta solo
dai capelli sciolti si bagnava
in mare» scrive Ateneo nel
suo Deipnosophistai, i sofisti
a cena, una specie di monu-
mentale simposio letterario
cosparso di erudizione, ricet-
te e pettegolezzi.
Se conosciamo solo fram-
menti del processo, sappia-
mo abbastanza dei suoi prota-
gonisti per intuire un intrigo
a sfondo erotico e religioso;
ma con moventi politici, co-
me fu per i precedenti proces-
si ad Aspasia e Socrate. Frine
aveva fatto una nascita appro-
priata a Tespie, nota per i riti

a Eros, con il nome di Mnesa-
rete, «colei che fa ricordare la
virtù», questo non troppo
adatto alla sua vocazione.
Tanto che aveva adottato il
nomignolo di Frine «Saper-
dion» (da saperdes, un pesce
dalle squame dorate), secon-
do Apollodoro; faceva impaz-
zire gli uomini già da giova-
nissima, quando era una sem-

plice raccoglitrice di capperi.
Poi aveva messo a frutto lo
charme, diventando ricchissi-
ma, tanto da proporre alla cit-
tà di Tebe di finanziare la rico-
struzione delle mura distrut-
te da Alessandro Magno.
Prassitele, oltre alla Vene-
re di Cnido, l’aveva ritratta in

altre statue: una che rappre-
sentava Eros, a Tespi; in un’al-
tra, dorata, era gloriosamen-
te sé stessa, installata nel tem-
pio di Delfi. Crate il Cinico la
chiamò «un’offerta votiva
all’incontinenza (sessuale)
dei Greci». Per gli ateniesi era
un eccesso di protagonismo,
noi potremmo chiamarla
un’anticipazione della «cele-
brity culture» dei giorni no-
stri. E questa fu forse una del-
le cause del processo. Come i
suoi legami, al tempo di Filip-
po e Alessandro, con il parti-
to antimacedone, capeggia-
to da Demostene e Iperide,
tra loro compagni e rivali.
Certo, Frine era molto in vi-
sta, un obiettivo facile, ma
quello che non si vedeva era
ancora più interessante.
I capi di accusa noti erano
tre: la corruzione di giovani
al Liceo; il culto di una nuova
divinità, Isodaite; il condurre
riti orgiastici con gruppi di
thiasoi, i fedeli di tale culto.

Erano le stesse accuse per le
quali Socrate aveva dovuto
bere la cicuta letale. Un fram-
mento più lungo, che lo stu-
dioso Peter O’ Connell attri-
buisce all’arringa di Iperide,
fa sospettare un’altra accusa,
gravissima: una violazione
del segreto o dei riti dei miste-
ri eleusini, i culti iniziatici più
famosi dell’antichità che met-
tevano in scena la discesa di
Persefone nell’Ade e il suo ri-
torno dalla madre Demetra,
la dea dell’agricoltura. La ca-
duta della tunica di Frine
avrebbe quasi un valore reli-
gioso. Da qui il terrore super-
stizioso dei giudici. O a salvar-
la fu semplicemente la sua
bellezza: il concetto, perfe-
zionato da Socrate, di kaloka-
gathía, secondo cui la vera
bellezza è il risultato di una vi-
ta giusta. Il rimorso degli ate-
niesi per la morte del grande
e brutto Socrate forse salvò la
vita alla bella Frine. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

Villa Zilveli, capolavoro modernista ridotto a un relitto

Parigi, il romanzo cult di Virginie Despentes


farà rinascere il castello che stava crollando


L’edificio fa da sfondo alla
storia di Vernon Subutex.
Il successo del libro
ha attirato un acquirente
deciso a restaurarlo

Virginie Despentes: il suo
Vernon Subutex uscirà
in Italia da Bompiani

MARIA CORBI
ROMA

M

iss Italia sì o no?
Serafico show na-
zionalpopolare o
trappola per per-
petuare il model-
lo di bella statui-
na? In piena crisi dal Pd tuona
Michele Anzaldi. Tanta atten-
zione non c’è stata invece per le
delegazioni politiche impegna-
te nella crisi tra Colle, Palazzo
Chigi e appuntamenti segreti
dove la presenza femminile
non solo è stata ai minimi termi-
ni ma è sembrata messa lì per-
ché proprio non se ne può fare a
meno. E così anche Dacia Ma-
raini fa sentire la sua voce per il
ritorno delle Miss in Rai e non
per la scomparsa delle politi-
che. A sottolinearlo è una diva
come Gina Lollobrigida, che è
la madrina del concorso: riven-
dica il femminismo come «affer-
mazione di libertà e indipen-
denza compresa la possibilità
di sfilare in costume a un con-
corso di reginette di bellezza».
D’altronde lei è stata Miss nel
1947, anno magico in cui arri-
vò terza dietro a Lucia Bosè e
Anna Maria Canale, mentre
quarta e quinta furono Eleono-
ra Rossi Drago e Silvana Man-
gano.
Allora signora Lollobrigida,
una difesa del concorso no-
stalgica o convinta?
«Convinta. La Maraini ha le
sue ragioni, io le mie. È sbaglia-
to pretendere il pensiero uni-
co quando si tratta di donne.
Vanno invece pretese pari op-
portunità, pari accesso al pote-
re, rispetto. Siamo ancora in-
dietro, il talento delle donne
disturba i maschi».
Siamo quasi al traguardo?
«Assolutamente no. Ha visto
quante poche donne tra i politi-
ci che contano? E anche nel
mio mondo, quello dell’arte, è
ancora difficile».
Cosa dirà alle ragazze di Miss
Italia?
«Che devono essere indipen-
denti, capaci di difendersi e di
sbattere la porta quando ce n’è
bisogno come ho sempre fatto
io e come continuerò a fare».
Lei durante il caso Weinstein
ha rivelato di essere stata mo-
lestata.
«È stata una cosa molto più se-
ria. Prima non potevamo dire
queste cose. Sono stata droga-
ta e violentata da un mio ex fi-
danzato. Lo avevo lasciato per-
ché avevo saputo che mi tradi-
va, anzi che si sarebbe sposato
con un’altra. Ma lui non pote-
va sopportare questa mia scel-
ta, così mi invitò a una festa e
feci l’errore di andarci. Non c’e-
ra nessun festa: mi ha drogata
e se ne è approfittato».
Molestie nel suo mondo?
«No. Sapevano che avrei reagi-
to male, con tutta la mia violen-
za. Si può dire di no».
Cosa ha significato per lei
Miss Italia?
«Io venivo da Subiaco, non ave-

vo visto niente, per me era una
gita. Il concorso è stata la por-
ta di accesso al mondo dello
spettacolo. E lo è ancora oggi.
Non c’è niente di male a sfog-
giare la propria bellezza, una
dote come lo è per i maschi.
Miss Italia non è che un grande
casting e chi ha talento emer-
ge. Ci scandalizziamo per del-
le ragazze che sfilano in costu-
me quando ci sono reality do-
ve stanno tutti in mutande?
Per una ragazza che viene dal-
la provincia più profonda e so-
gna una vita nel mondo dello
spettacolo questo concorso è
una opportunità. E le assicuro
che c’è ne sono poche».
Per lei si sono spalancate le
porte di Hollywood. Con atto-
ri del calibro di Yul Brynner ai
suoi piedi.
«Mi chiamò Howard Hughes e
provai. Ma la passione per il ci-
nema è nata e cresciuta con Vit-
torio De Sica. Era meraviglio-
so essere diretta da lui».

Dicono che fosse innamorato
di lei.
«Era affascinato dalla diva del
cinema, ma è stato un rappor-
to platonico. Mi scriveva dei
poemi e me li declamava per te-
lefono. Era molto discreto».
Yul Brynner?
«Sostituì Tyrone Power quan-
do morì ed eravamo molto at-
tratti l’uno dall’altra, ma nien-
te di più. Quando il regista da-
va lo stop a una scena in cui ci
baciavamo noi continuavamo
come se in quella stanza affol-
lata fossimo soli».
Quanta importanza ha avuto
l’amore nella sua vita?
«Ne ha avuta, ma non sono sta-
ta fortunata. Sono sempre sta-
ta lasciata».
Perché?
«La mia popolarità faceva pau-
ra, gli uomini erano troppo ge-
losi, competitivi. Con una don-
na di successo accanto gli uo-
mini si sentono menomati».
Suo figlio voleva farla interdi-
re, siete ancora in guerra?
«Ha intorno persone malvagie
che vogliono che ci sia questo
contrasto. Deve capirlo, altri-
menti peggio per lui. Per non
soffrire occorre essere indipen-
denti nella vita».
Lei è una «perennial», come
chiamano oggi le persone che
sfidano l’età. Si riconosce?
«Fino a che sono viva io vivo e
lavoro. Amo la vita».
A cosa sta lavorando.
«Alla mia biografia, ce ne sono
troppe scritte da persone che
non mi conoscono. Ora sarò io
a raccontarmi».—
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

LEONARDO MARTINELLI
PARIGI

S


u quella panchina,
accanto alla Villa
Zilveli, si allunga-
va la sera Vernon
Subutex, l’an-
ti-eroe del roman-

zo di Virginie Despentes,
uno dei libri cult della Parigi
di oggi: ridotto a un barbone,
la deriva metropolitana di un
angelo decaduto. Ma da las-
sù poteva abbracciare tutta
la città. «Apre un occhio,
all’alba», si legge nel secon-
do tomo della trilogia, «e re-
sta immobile, sconvolto
dall’ampiezza del paesag-
gio». Anche così i francesi
hanno scoperto la Villa Zilve-
li, edificio modernista termi-
nato nel 1933, da più di dieci
anni all’abbandono: quel re-

litto che Vernon esplorava in
giornate senza senso.
È inclinata la casa, sta per
crollare. Peggio ancora: mes-
sa all’asta e non ancora sog-
getta ai vincoli della sovrin-
tendenza, poteva essere com-
prata da un palazzinaro qua-
lunque e trasformata in un
condominio di lusso, ora che
la capitale francese è in pre-
da a una febbre immobiliare.
Meno male che a giugno, al
terzo tentativo di trovare un
compratore, si è fatto vivo
lui, Jean-Paul Goude, grafi-

co, fotografo e regista (so-
prattutto di film pubblicita-
ri), icona degli anni 80 (suoi i
mitici spot televisivi della Ci-
troën con Grace Jones stile
pantera, che allora era la sua
donna).
Ebbene, Goude, che abita lì
vicino, ha deciso di sborsare
2,2 milioni di euro per com-
prare il rudere. Altre centina-
ia ne serviranno per restaurar-
lo. «A 21 anni acquistai la
Rolls di un amico, ormai rovi-
nato. E la coccolai», ha raccon-
tato. «Voglio fare la stessa co-

sa con la villa Zilveli. La salve-
rò e poi ci vivrò. Sarà un poz-
zo finanziario senza fondo.
Ho 78 anni, non sono più gio-
vane, ma vivo ancora delle
mie fantasie».
A Parigi ringraziano i fans
di Vernon Subutex, il libro di
una generazione, soprattut-

to i giovani di questo Est pari-
gino, creativi e cosmopoliti.
In Francia il primo tomo fu
pubblicato nel 2015, ma sia-
mo ormai a una trilogia, che
in Italia uscirà per intero da
Bompiani il 25 settembre.
Vernon, già proprietario di
un negozio di dischi, travolto

dal declino dei vinili, si ritro-
va per le strade di Parigi, a
chiedere aiuto ai vecchi ami-
ci di un passato fatto di sesso,
droga e rock and roll, per poi
diventare un inesorabile sen-
zatetto in questa fetta del 19°
arrondissement, dove abita
anche l’autrice. Despentes è
uno pseudonimo e deriva da
Bas des pentes, quartiere di
Lione dove Virginie da giova-
ne per sopravvivere ha fatto
addirittura la prostituta.
Villa Zilveli, 136 metri qua-
drati su due piani, si staglia
in cima alla butte Bergeyre,
una delle colline della città,
tirata su con i residui delle vi-
cine cave di gesso, sulle quali
Napoleone III a fine ’800 fece
nascere il parco dei But-
tes-Chaumont, le false scar-
pate di un immaginario lem-
bo di Alpi in trasferta a Pari-
gi. Nel 1928 Joséphine Ba-

ker, la ballerina nera della
Belle Époque, inaugurò con
uno spettacolo per strada
una lottizzazione di casette
che ancora resiste in cima al-
la collina, con le facciate tra-
dizionali da buona borghe-
sia. In un appartamento vis-
se Pietro Nenni in fuga dal fa-
scismo negli anni 30 (sua fi-
glia Vittoria, coraggiosa anti-
fascista, dopo l’occupazione
nazista della città, venne cat-
turata e morì ad Auschwitz).
Sulla collina, Athanase Zil-
veli, un ingegnere di origini
greche che aveva fatto fortu-
na, fece costruire, a ridosso di
una vigna (oggi proprietà co-
mune di tutti i residenti della
Bergeyre), una casa nuova
per i tempi, sobria e austera.
Ne venne fuori uno dei rari
esempi a Parigi di architettu-
ra modernista, opera di un au-
striaco, Joahnn Welz (ribat-

tezzato Jean), amico di Le Cor-
busier (la Villa Zilveli si svilup-
pa su piloni, come faceva il
maestro) e di Adolf Loos, al-
tro architetto viennese tran-
sfuga nella capitale francese e
nemico del liberty. Da una fi-
nestra si punta dritto la basili-
ca del Sacro Cuore, a Mont-
martre, e da un’altra la torre
Eiffel. Welz, poi, emigrò in Su-
dafrica, dove divenne un noto
pittore. Questo «castello in
aria», come l’ha ribattezzato
Peter Wieth, architetto ingle-
se, è rimasto ai discendenti di
Zilveli, che da tempo non ave-
vano più i mezzi per mante-
nerlo. Goude, che ha vinto l’a-
sta, lo salverà. Parigi, da qui,
nel silenzio della collina Ber-
geyre, appare eterna e immen-
sa. Tutta intera plaude al be-
nefattore. Alla memoria di
Vernon Subutex. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

Il talento delle donne
disturba i maschi,
basta guardare
la politica. La parità è
ancora lontanissima

Tre i capi d’imputazione, corruzione dei giovani,
culto d’una nuova divinità e riti orgiastici: quelli
per i quali Socrate aveva dovuto bere la cicuta.
Dopo il giudizio l’imputata fu portata in trionfo

Grandi

processi

NELLA ATENE DEL IV SECOLO A.C. LA ESCORT PIÙ DESIDERATA ALLA SBARRA PER EMPIETÀ

Striptease sull’Areopago

L’idea geniale dell’avvocato

che salvò la vita all’etera Frine

Il momento clou del processo nel
quadro di Jean-Léon Gérôme
Frine davanti all’Areopago (1861)

FRINE
Nata a Tespie, in Beozia, con il nome di Mnesarete,
si affermò a Atene intorno alla metà del IV secolo a.C.
come la più ricercata tra le cortigiane. Fu utilizzata
da Prassitele come modella per numerose statue,
prestando tra l’altro le sue fattezze alla Afrodite
destinata a un piccolo tempio di Cnido,
in Asia Minore (nell’immagine una copia romana
superstite conservata a Palazzo Altemps)

REUTERS
Gina Lollobrigida è nata a Subiaco (Roma) il 4 luglio 1927

Alle ragazze dirò che
devono imparare a
difendersi e a essere
indipendenti. Dire di
no si può, io l’ho fatto

La bellissima cortigiana
era stata la modella di
Prassitele per la statua
della Afrodite Cnidia

Il suo difensore Iperide
di colpo la denudò:
e i giudici, abbagliati,
votarono l’assoluzione

La diva arrivò terza nel 1947 ed è madrina di questa edizione

Lollobrigida a Miss Italia


“Anche sfilare a un concorso


è prova di emancipazione”


Già da ragazza faceva
impazzire gli uomini.
Anche l’accusatore
era stato un suo cliente

INTERVISTA

28 LASTAMPA VENERDÌ 30 AGOSTO 2019
TMCULTURA
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