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DOMENICO QUIRICO
CAPRANICA (VITERBO)
S
eguire le tracce di un
capolavoro perduto,
rubato, nascosto equi-
vale alla ricerca di
una persona scomparsa. Si
procede come una talpa. Di
tanto in tanto si fa cascare un
po’ di terra. Una breve schiari-
ta. Poi si rientra nel buio. In
fondo, a pensarci, come asso-
miglia questo alla vita. Tutto
si svolge nella vertigine di
una perdita. Un sospetto di
privazione, di angoscia muo-
ve avanti il viaggiatore, fino a
farti proseguire verso una sor-
ta di astrazione, che diventa
via via fame di risposte dub-
bio dispetto dolore. Ti accor-
gi che la ricerca diventa un cal-
pestio nel tempo che si inoltra
da un passato remoto a un fu-
turo che per ora è vuoto, as-
sente.
È un volto, la sua malìa che
mi ha messo in moto in que-
sto inseguimento del tempo.
Un volto dipinto su un affre-
sco ma che, ahimè, è solo ri-
produzione fotografica: San
Sebastiano nel pieno del suo
quieto martirio. Quello che
conquista è la espressione di
fanciullo, un gran fanciullo
tranquillo ed educato, nono-
stante le frecce che lo trapas-
sano, si direbbe, con metafisi-
ca necessità. Beato quasi di
giocare con la santità, il dolo-
re, la morte e l’infinità. Que-
sta serenità, questa freschez-
za di martire aureolato di
oro zecchino è la magia con
cui ti tiene incatenato. Dal
suo trono che è eterno ma
qui è dipinto, labile cioè e re-
lativo, sembra che ti guardi
benevolmente.
I depistaggi
Una riproduzione fotografica
a colori, dunque, e un bigliet-
to: scritto con mano si direb-
be volutamente incerta, per
depistare e nascondere: che
lo narra opera, sconosciuta,
del gran maestro del Rinasci-
mento umbro, il Perugino, o
di un geniale allievo della sua
bottega. Sconosciuta perché
nascosta sotto intonaci icono-
clasti del frettoloso Ottocen-
to. Viene alla luce casualmen-
te durante lavori, recenti, nel-
la chiesa. Si direbbe tra sbadi-
gli e assenze di sovrintenden-
ze. Perché lo scopritore lo tra-
fuga, intero, pensandolo al
più come refurtiva da destina-
re a antiquario disonesto. E
ne ricava pochi soldi. Invece
fiuta il capolavoro, eccome, il
mercato parallelo dell’arte ru-
bata. Oggi allieterebbe i bru-
ciori estetici, ed esclusivi, di
un importante compratore,
addirittura in Giappone.
«Guardando in alto a sini-
stra dalla Cassia andando ver-
so Viterbo, entrando a Capra-
nica, c’è una chiesa in tufo...».
Il biglietto della fonte, che evi-
dentemente del mondo del
clandestino e del trafugato fa
parte, propone una serie di
elementi, sempre un poco re-
ticenti, per risalire al luogo in
cui l’affresco è stato trafuga-
to. Un reticolo fitto di segni,
tracce, appunti, ipotesi che
parlano, raccontano e inter-
pretano. Itinerari sottili da in-
seguire da spunto a spunto:
strade. Che altri, con più pote-
ri, spero seguiranno.
Dimenticati, per fortuna,
sulla Cassia gli orribili centri
commerciali, c’è solo la chio-
stra dei bei colli chiusi sotto
nuvole basse. la tramontana
soffia con una rabbia nuova.
La luce sembra emanare dal-
la terra e non dal cielo cosic-
ché tutto, case alberi pievi, ap-
pare più vicino e come alla ri-
balta. Capranica: Etruria Ro-
ma Medioevo Rinascenza;
mura porte torri palazzi, tut-
to tagliato nello stesso giallo
macigno, bella anche pel mi-
stero di quattro, cinque civil-
tà sovrapposte. Se si muove
la memoria chissà che qual-
cosa, qui, torni a galla. Sono
bastate alcune precedenti,
caute esplorazioni intorno al
San Sebastiano perduto di
chi mi aiuta e guida in questa
ricerca, Maio Scaramella,
per far emergere, con sanzio-
ne della sovrintendenza, da
un muro di una chiesa della
città il volto di un altro... San
Sebastiano!
I pellegrini
Tutto coincide. Passata la por-
ta che immette in città la chie-
sa è lì: San Francesco! Accudi-
sce una piazza e il municipio,
e quello che un tempo era l’o-
spedale destinato ai dolenti
pellegrini della via francige-
na. Un portale sontuoso, ma
frutto di un trasloco architet-
tonico, oggi introduce più lai-
camente ad un albergo. L’o-
spedale, i malati: San Seba-
stiano dei sofferenti era il pa-
trono. Ancora segni, indizi.
Mi aiutano, a cercar even-
tuali rispondenze, il profes-
sor Antonio Sarnacchioli che
di Capranica e delle sue anti-
chità complesse è dotta e af-
fettuosa memoria e il vicesin-
daco, Katia Taste, con l’entu-
siasmo di chi scopre nel luogo
in cui vive ed ama un improv-
viso squarcio nuovo. Una ad
una mettiamo da un canto le
altre chiese che ha nei secoli
costruito la pietà intensa di
questo borgo. Alcune troppo
campestri e povere per ospita-
re un capolavoro, altre come
il duomo troppo recenti e rico-
struite per aver ospitato una
opera del Quattro - Cinque-
cento. In tutte, comunque,
per il Giubileo si completaro-
no lavori di restauro e consoli-
damento, si mise mano dun-
que a muri, intonaci, colon-
ne. Per aprire la chiesa si deve
chiamare un cittadino che cu-
stodisce le chiavi, perché, an-
che se non sconsacrata, la si
usa ormai solo per decoro di
matrimoni o per concerti. Mi
conquista la gentile sollecitu-
dine con cui mostra la chiesa
che sente quasi come sua, e la
passione offesa che mette nel
descrivere i piccoli danni che
l’uso le infligge.
L’ispirazione
Si entra. Salvo alcune file di
sedie sul fondo lo spazio è
vuoto. Anzi no, è invaso, som-
merso dalla luce. «... All’inter-
no della chiesa ci sono delle
arcate: restaurate nell’
con un rinforzo che ha coper-
to e nascosto gli affreschi...».
Le arcate sono lì. Lo so, non
ho alcun elemento certo per
dire che questa sia la chiesa
del San Sebastiano. Eppure
“senti’’ che in un luogo come
questo l’artista può aver trova-
to l’ispirazione per disegnar-
lo. Nella luce che viene dal ro-
sone e dalle minuscole fine-
stre c’è la limpida voce di Dio,
la stessa con cui il san Seba-
stiano scomparso ci guarda in-
terrogandoci. La sua non è sof-
ferenza o martirio, ma una
passione felice che contiene
in sè confidenza amicizia pie-
tà: compassione per ognuno
di noi che mille volte è trafitto
dalle frecce del male.
In fondo alla navata il mo-
numento funebre dei fratelli
Anguillara, feudatari golosi,
rissosi e imprudenti che non
sfuggirono alla terrena ven-
detta del papa.
San Sebastiano è ovunque:
nel trittico con san Terenzia-
no e san Rocco del Pastura e
nell’affresco con san Rocco e
san Antonio che una attribu-
zione forse un po’ ottimista
ha attribuito alle prove di per-
fezione di un Michelangelo
giovane. Proprio nel nucleo
più antico della chiesa, un
tempo orientata in altro sen-
so, folgora un guizzo di affre-
sco: una splendida madonna
con il bimbo di cui come per
miracolo si sono salvati i due
volti. La stessa aureola doro
del san Sebastiano, la stessa
dolce estasi la stessa assorta
nostalgia. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
E’ un giallo la riproduzione fotografica del San Sebastia-
no rubato. Incerto l’autore dell’affresco: il biglietto anoni-
mo che accompagna la fotografia lo attribuisce al Perugi-
no o alla sua scuola. Ma è un mistero anche il luogo dov’è
stato trafugato il dipinto: l’ipotesi è che si tratti della chie-
sa di San Francesco a Capranica
TESORI RUBATI
La ricerca del capolavoro parte da una foto e da vaghi indizi geografici
Probabilmente l’affresco è stato trafugato a Capranica, nel Viterbese
I predatori dell’arte
e l’ultimo mistero
del San Sebastiano
REPORTAGE
La chiesa
di San Francesco
è usata ormai solo
per i matrimoni
L’OPERA
La chiesa di San Francesco a Capranica in provincia di Viterbo, da cui potrebbe essere stata trafugata l’opera
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