La Stampa - 23.08.2019

(WallPaper) #1
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Un lussureggiante eden alle Hawaii

E’ il palmeto più poetico del mondo

LUCA BERGAMIN
ISOLA DI MAUI (HAWAII)

I


l blu ipnotico dell’oceano
fa da cornice al palmeto
più poetico del mondo
all’ombra del vulcano Ha-
leakala. Questo giardino
composto da quasi tremi-
la esemplari di palme, di cui
oltre quattrocento endemi-
che, e da altre 900 tipologie
di alberi, rappresenta un uni-

cum al mondo. La sua collo-
cazione geografica nella Pe’a-
hi Valley, a nord dell’isola di
Maui nelle Hawaii, in quella
che era una landa dedicata al-
la coltivazione intensiva
dell’ananas su di una superfi-
cie complessiva di 18 ettari, è
spettacolare.
Così come esemplare è la
storia della sua nascita: nel
1977 il poeta newyorkese
William Stanley Merwin, le-
gato a Robert Graves di cui fu
precettore del figlio sull’isola

di Mallorca, celebre per le liri-
che incentrate sull’impegno
militare in Vietnam, scelse di
lasciare la Grande Mela per
dedicarsi proprio alla costru-
zione di questo eden lussu-
reggiante. Dal giorno del suo
arrivo, assieme alla moglie
Paula, piantò alcuni alberi.
Ogni giorno.
«L’uomo aveva rovinato
con la coltivazione intensiva
di frutta tropicale questo luo-
go idilliaco e io ho pensato toc-
casse a me dare un contributo
alla salvezza del pianeta - ha
sempre raccontato il fondato-
re della foresta -. Creammo ci-
sterne per raccogliere l’acqua
piovana, raccogliemmo leta-
me, compost, costruimmo
una casa in legno al centro del-
la proprietà senza usare mac-
chinari pesanti per non turba-

re il terreno. Per 25 anni l’elet-
tricità è stata ricavata dai pan-
nelli solari. Tanti sono stati i
sacrifici che abbiamo fatto, ri-
pagati però ampiamente dal
rumore del vento che faceva
frusciare le foglie, dai riflessi
della luce, dai contrasti del
verde». Adesso il Merwin Con-
servancy è un bosco protetto
che rientra nell’egida dell’Ha-
waiian Islands Land Trust.
In questa giungla selvag-
gia, Merwin ha trovato l’ispi-
razione che cercava per dare
lucentezza alle proprie rime,
e tra le sue palme, alla metà
di marzo, ormai 91enne, ha
dato addio alla vita. L’esisten-
za delle palme, grazie anche
ai giardinieri locali che sono
stati formati nel corso di que-
sti quattro decenni, invece
continua.

Visitando il giardino, ci si
«perde» dentro i sentieri di
questa foresta nella quale
hanno trovato salvezza mol-
te specie a rischio di estin-
zione, alcune delle quali
provenienti anche da altri
angoli della Terra e portate
qua da esperti botanici o re-
galate da amici del fondato-
re e scrittori appassionati di
botanica. Tra esse, prospera-
no la Tahina Spectabilis del
Madagascar e poco distanti
ben dieci tipologie di Prit-
chardia native delle Isole
Hawaii. In una delle sue liri-
che più conosciute intitola-
ta Place, Merwin scrive che
«l’ultimo giorno del mondo,
io avrei voluto piantare un
albero di palma». Si può di-
re che l‘abbia fatto. —
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CLOROFILLA

Uno scorcio del palmetto

LA STORIA

PAOLO PEJRONE
ALBERTO FUSARI

C


hi mai avrebbe det-
to che un giorno
qualche gallina
avrebbe avuto la
meglio in giardi-
no, arrivando ad-
dirittura ad impormi precise
scelte botaniche? Qualche è
un eufemismo in verità: le
galline sono solo due, ma
scortate da una schiera di gal-
letti molto fieri che non le per-
dono d'occhio un istante.
Non so perché, ma ogni
schiusa ha un'impressionan-
te percentuale di maschi e
così il mio pollaio funziona
come una sorta di harem al
contrario: le galline qui so-
no matrone, servite e riveri-
te, dettano tempi e priorità.
Ormai da tempo girovagano
libere durante il giorno, il
medesimo tragitto ripetuto
all'infinito intorno a casa,
mai che si avventurino più
in là, neanche il vicinissimo

orto riesce a tentarle. Sanno
bene che l'andirivieni di ca-
ni ed umani più che riguar-
dosi è il miglior deterrente
contro qualsiasi agguato.

Annuali da fiore
A farne le spese sono spesso
le piante dell'aia, soprattut-
to le tenere ed invitanti an-
nuali da fiore che due volte
l'anno e con gran lavoro di-
sponiamo nei vasi. In quei
vasi che un tempo ospitava-
no le profumatissime Hosta
plantaginea, poi partite in
massa alla volta di un nuovo
pezzetto di giardino da colo-
nizzare. Forse è stato un er-
rore, il matrimonio funzio-
nava bene: le galline appaga-
te e le foglie delle hoste sal-
vate da lumache & compa-
ny, ma comunque ridotte a
colabrodo dalle grandinate
sempre più frequenti. Dopo
sono arrivati i pansé a ralle-
grare l'inverno, sostituiti nel-
la stagione calda un anno

con i cosmos Alex, di un aran-
cione più vivo che mai, un al-
tro con begoniette a fiore
rosso e bianco (odiate da tut-
ti, ma non da me).

Il compito del giardiniere
Tutti e tre vittime di punti-
gliose perlustrazioni e inde-
fesse becchettate fin da gio-
vanissimi, con conseguenti
castigate fioriture. Che fare?
Un tempo credo avrei richiu-
so le porte del pollaio, il giar-
dino e soprattutto il giardi-
niere avevano le loro prete-
se, ma la vecchiaia si sa smus-
sa i rigori inducendo a fare
buon viso a cattivo gioco.
D'altronde non è forse que-
sto il vero compito del giardi-
niere? Far fronte alle necessi-
tà del posto scegliendo le
piante più adatte? Così que-
sta primavera, dopo lungo
pensare, ho optato per la Tul-
baghia violacea, sperando
nell'effetto deterrente delle
foglie: society garlic la chia-

mano infatti gli inglesi, odo-
rosa sì e d'aglio, ma con mag-
giore discrezione.

Zanzare addio
Alcuni sostengono che le ra-
dici, un apparato carnoso e
molto sviluppato, ben più
grande del singolo rizoma,
infastidisca le talpe e che le
foglie, rotte e strofinate, ten-
gano lontane le zanzare. Nel-
la terra d'origine, dalle prate-
rie umide del KwaZulu-Na-
tal a quelle ben più steppi-
che del Little Karoo, in Suda-
frica, le foglie aromatiche fa-
cevano parte della dieta tra-
dizionale, a mo' di erba cipol-
lina, e si racconta che gli Zu-
lu la piantassero intorno al-
le loro case per allontanare i
serpenti. Non ambivo a tan-
to, bastava che le galline
non le martoriassero troppo
e devo dire che funziona. Il
nome è un omaggio a Ryc
Tulbagh, governatore della
Colonia del Capo e appassio-

nato botanico, che nel Sette-
cento teneva con Linneo
una fitta corrispondenza sul-
le flore di laggiù. Cespi di fo-
glie argentate e persistenti
nei climi caldi, capolini di
fiori color malva che vanno
avanti per tutta l'estate fino
ai primi freddi e amati dagli
impollinatori, le tulbaghie
sono piante frugali: sole, ter-
riccio ben drenato, nessuna
paura di un po' di siccità, sa-
nissime.

Unica pecca
Non resistono al freddo. In
un angolo ben riparato e as-
solato si può provare, aiutan-
dole con una spessa paccia-
matura ed evitando rista-
gni, può darsi che perdano
la parte aerea e ricaccino in
primavera. Meglio però qui
al nord coltivarle in vaso e
proteggerle. In fondo sono
piante da giardino mediter-
raneo e proprio per questo
trent'anni fa le avevo già ten-

tate con scarsa convinzione.
Era stata Anne Palmer, la
vecchia proprietaria del giar-
dino di Rosemoor nel Devon,
ora della RHS, a regalarmi
una bustina di piccoli semi
neri. Nulla crebbe, evidente-
mente avevo sbagliato perio-
do: adesso a metà agosto
proverò con i semi che sono
riuscito a racimolare in giro.
In fondo saranno anche un
po' fuori tema al Bramafam,
ma con quell'aria di chi non
cerca attenzioni, leggere ed
allegre, in quantità senza pe-
rò gli assembramenti che si
prediligono di solito, anzi
quasi mimetiche contro il
verde delle altre piante, le
tulbaghie sono una vera ri-
scoperta.
E insieme con galli e galli-
ne rendono il giardino un
ménage familiare e vissuto,
fatto di rapporti speciali ben
più che di irreprensibili pedi-
gree botanici. —
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SI RACCONTA CHE GLI ZULU LA PIANTASSERO INTORNO ALLE LORO CASE PER ALLONTANARE ANCHE I SERPENTI

La bella Tulbaghia “spaventa” le dispettose galline

ALAMY

30 LASTAMPAVENERDÌ 23 AGOSTO 2019
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