la Repubblica - 01.08.2019

(ff) #1

Di Maio assolve l’alleato


l’Ordine dei giornalisti


vuole le scuse


dopo le minacce


di Mariachiara Giacosa

torino — La pista che dal Marocco
porta all’hotel Meridien Etoile di Pa-
rigi, fa una tappa a Milano. È il 28 no-
vembre del 2015, sono passate poche
settimane dalla missione della Lega
a Rabat, per incontrare i ministri del
governo marocchino. E manca anco-
ra qualche mese all’incontro, nella
primavera del 2016, all’hotel parigi-
no, dove - come ricostruito in un’in-
chiesta pubblicata ieri da Il Fatto
Quotidiano - Gianluca Savoini e un al-
tro italiano avrebbero ricevuto 150
mila euro in contanti da Mohammed
Khabbachi, emissario di re Moham-
med VI e delegato alle relazioni euro-
pee. L’occasione dell’appuntamento
è una partita di calcio: Milan–Sa-
mpdoria, finita 4 a 1 per la squadra di
casa. «A me il calcio non interessa,
ma decisi di andare perché mi disse-
ro che Khabbachi era un grande tifo-
so e veniva apposta in Italia per vede-
re la sua squadra. C’eravamo io,
Khabbachi e Savoini» rivela Claudio
Giordanengo, dentista di Paesana,
nel Cuneese, leghista di lunghissimo
corso e candidato alle comunali di Sa-
luzzo a maggio, tra le polemiche per
aver ricordato sul santino elettorale
le visite gratuite nel mese della pre-
venzione dentale.
Racconta Giordanengo: «Matteo
Salvini non venne allo stadio, ma lo
incontrammo a pranzo il giorno pri-
ma. Con lui c’eravamo Khabbachi, Sa-
voini ed io, al ristorante Orti di Leo-
nardo. Fu una cosa veloce, perché
Salvini aveva poco tempo. Non si par-
lò di affari – chiarisce – ma non so se
dopo la partita Khabbachi si sia fer-
mato a Milano per altre riunioni. È

stata l’ultima volta che l’ho visto».
Giordanengo ricostruisce quei me-
si dell’autunno del 2015 «che - am-
mette - dopo la questione della Rus-
sia capisco possano far sospettare un
certo parallelismo, ma io non ho ele-
menti per dirlo». Il pensiero va anco-
ra a quella serata a San Siro: «Avevo
pensato che ci voleva una bella pas-
sione per partire dal Marocco solo
per vedere una partita. Magari non
me ne rendevo conto e c’erano altre
finalità, ma non posso dirlo». In quei
mesi Giordanengo è nel cerchio ma-
gico della Lega. Era stato lui – con
Massimo Gerbi, figlio dell’ex patron
del Toro Calcio, Mario Gerbi, e Ka-
mal Raihane, agente calcistico – a or-
ganizzare la missione del Carroccio
alla corte di re Mohammed. «Era un
po’ come quando Borghezio, al grido
di “Roma ladrona”, si candidò nella
Capitale – ricorda – volevamo andare
in Marocco a parlare di immigrazio-
ne per smentire l’idea della Lega raz-

zista e perché quel Paese aveva pro-
blemi simili ai nostri, con molte per-
sone in arrivo dal sud del Magreb.
Aspiravamo a diventare forza di go-
verno – aggiunge - Salvini era solo eu-
roparlamentare e segretario di una
forza politica in recupero».
A quell’epoca Giordanengo non è
un iscritto al Carroccio. Dal 1995 non
ha più la tessera, ma resta «portatore
sano di leghismo», legato a Mario Bor-
ghezio, e amico «dal 1997» di Savoini,
«con il quale ho contatti settimanali
perché è iscritto a una mia rubrica re-
ligiosa su Telegram». A quell’epoca,
prosegue Giordanengo «Savoini era
considerato una sorta di ministro de-
gli Esteri di Salvini e si era preso la pa-
ternità di quella missione, anche per-
ché io non ero nella struttura della
Lega». Nei tre giorni a Rabat, Salvini
e i suoi incontrano sei ministri e il
presidente del parlamento. «Lo sco-
po della missione era solo politico».
Dopo il viaggio in Marocco e la parti-
ta del Milan, Giordanengo non sa più
nulla di missioni, né rapporti con il
paese magrebino. «Non sapevo nulla
nemmeno dell’incontro di Parigi,
quello dei soldi finiti nella turca.
All’incontro a Parigi tra Savoini e
Khabbachi me l’ha detto un impren-
ditore di Bergamo – riferisce – che mi
ha contattato due settimane fa». La
telefonata gli è parsa misteriosa. «Mi
ha raccontato di aver ricevuto l’inca-
rico di preparare una nuova missio-
ne in Marocco, sempre per Savoini,
che poi non si è fatta. Aveva sostenu-
to delle spese e voleva recuperarle.
Quando però gli ho chiesto il nome
dell’azienda, si è negato. Non mi ha
convinto e non l’ho più sentito». E Sa-
voini? «Da quando è esploso lo scan-
dalo Moscopoli non l’ho più sentito».

di Rosario Di Raimondo

bologna — «Vediamo di quali
sport nautici si occuperanno oggi
i media». Minimizza, Matteo Salvi-
ni. Ma il giro sulla moto d’acqua
della polizia che suo figlio ha fatto
l’altro ieri a Milano Marittima, ol-
tre alle intimidazioni che la scorta
del vicepremier ha rivolto al gior-
nalista Valerio Lo Muzio affinché
non riprendesse tutto con la tele-
camera, non sono affatto un caso
chiuso. La questura di Ravenna ha
avviato gli accertamenti nei con-
fronti degli agenti coinvolti – alme-
no cinque – e sono state chieste re-
lazioni scritte per spiegare perbe-

ne l’accaduto. La procura di Ra-
venna, prima di decidere se e co-
me muoversi, aspetta una relazio-
ne dalla polizia. Il pm di turno, nel
giorno della “passeggiata” in ma-
re di Salvini jr, era Stefano Stargiot-
ti.
Due gli aspetti da chiarire dopo
il video pubblicato da Repubblica.
Il primo riguarda naturalmente la
legittimità o meno di salire a bor-
do di un mezzo della polizia. Il se-
condo punta a verificare l’atteggia-
mento dei poliziotti nei confronti
di Lo Muzio. «O l’abbassi o te la le-
vamo», gli hanno detto, mentre il
videomaker di Repubblica inqua-
drava il giretto in moto d’acqua
con la telecamera. Una delle giusti-
ficazioni? «Sono moto della poli-
zia». Ma sono volate anche frasi
più pesanti: «Adesso sappiamo do-
ve abiti».
«Io voglio che Salvini spieghi e
chiarisca la vicenda. Chi erano
quegli uomini? In bermuda, a pet-

to nudo e senza distintivi di rico-
noscimento hanno iniziato in tutti
i modi a impedirmi le riprese. A
che titolo mi hanno chiesto i docu-
menti, le generalità, mi hanno trat-
tenuto?», accusa il videomaker.
Le reazioni non sono tutte ugua-
li. Il presidente dell’Ordine dei
giornalisti Carlo Verna è categori-
co: «Non basta ammettere “l’erro-
re da padre” per giustificare il giro
sulla moto della polizia compiuto
dal figlio. Perché quella vicenda
coinvolge anche il diritto di crona-
ca. E Salvini dovrebbe chiedere
scusa soprattutto al giornalista mi-
nacciato mentre svolgeva il pro-
prio lavoro». La stessa richiesta
che arriva da Gvpress, l’associazio-
ne italiana dei giornalisti-videoma-
ker. «Chiediamo le dimissioni di
Salvini ma lasciamo stare suo fi-
glio», aggiunge l’ex premier Mat-
teo Renzi.
Poi, man mano, i commenti di-
ventano più tenui. Prima con il vi-

cepremier grillino Di Maio, che
non gira il coltello nella piaga: «È
un passo avanti che Salvini abbia
ammesso l’errore» sulla moto d’ac-
qua. E si augura «che i poliziotti
coinvolti non debbano risponde-
re», per rivolgere infine «piena so-
lidarietà» a Lo Muzio. «Stiamo par-
lando di nulla, e comunque Salvi-
ni si è pure scusato», taglia corto
Massimo Casanova, europarla-
mentare leghista e patron del Pa-
peete Beach, il quartier generale
balneare del capo leghista.

il caso

Salvini jr sulla moto


la Procura aspetta


le relazioni della scorta


kIl filmato su Repubblica.it
Due momenti del video del figlio di Salvini sulla moto d’acqua della polizia

k^2016
Sulla destra Matteo Salvini e
Gianluca Savoini, seduti uno accanto
all’altro, durante gli incontri della
Lega in Marocco con esponenti del
governo di re Mohammed VI.
Savoini, con l’avvocato Gianluca
Meranda e l’esperto di finanza
Francesco Vannucci, verrà poi
intercettato al Metropol
nell’incontro con emissari russi

di Concetto Vecchio

Roma — «Ma che vuole Di Maio? Non
sono né ministro, né sottosegretario,
non ho giurato sulla Costituzione
francese». Sandro Gozi, a cui il vice-
premier M5S non esclude di revocare
la cittadinanza italiana dopo che l’ex
sottosegretario pd è diventato respon-
sabile per gli Affari europei del gover-
no Macron, parla di «polemica grotte-
sca», di «castroneria giuridica, che
evoca i periodi più bui della storia. A
Parigi sono sbalorditi. La mia collabo-
razione è vista come un segnale di
amicizia. A Roma invece mi vogliono
degradare ad apolide».
Va detto che Di Maio è arrivato buon
secondo. La prima a lanciare il sasso
nello stagno è stata Giorgia Meloni sul-
le colonne del Giornale. Il sospetto:
Gozi potrebbe fornire ai francesi infor-
mazioni rilevanti di cui è venuto a co-
noscenza da sottosegretario. Da qui l’i-
dea di togliergli la cittadinanza, sulla
base della legge 91 del 1992. Recita l’ar-
ticolo 12: «Il cittadino italiano perde la
cittadinanza se ha accettato un impie-
go pubblico o una carica pubblica da
uno Stato cui non partecipi l’Italia, se
non ottempera all’intimazione del go-
verno di abbandonare l’impiego». «È
tutto contestabile», taglia corto Gozi.
«Bassanini e Monti ebbero ruoli simili
nella commissione per le riforme di
Attali. De Gasperi è stato parlamenta-
re austriaco». «Con i francesi - insiste
Di Maio - abbiamo «molte cose in co-
mune, ma anche interessi confliggen-
ti».
Alle Europee Gozi, 51 anni, ex assisten-
te politico di Prodi, ora iper renziano,
si è candidato con Renaissance, la li-
sta sostenuta da Macron, risultando
tra i non eletti. Sarà ripescato in caso
di Brexit. La sua consulenza è un’idea
del primo ministro Édouard Philippe.
Quanto guadagnerà? «Lo definiremo
oggi», dice.
Il Pd lo ha difeso, ma l’europarlamen-
tare Carlo Calenda si è smarcato. Con-
divide i timori di Meloni e Di Maio:
«Non si entra in un governo straniero,
conoscendo posizioni e interessi an-
che riservati non sempre coinciden-
ti», ha twittato. Replica di Gozi: «Car-
lo ha perso un’occasione per tacere».

L’inchiesta


Non solo Moscopoli, anche i soldi del Marocco


“Savoini era il ministro degli Esteri della Lega”


Il personaggio


Gozi: “A Parigi


collaboro


Roma mi vuole


apolide”


Parla Giordanengo


il dentista amico


del faccendiere: “Quel


pranzo con Salvini”


pagina. (^8) Politica Giovedì, 1 agosto 2019

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