Internazionale - 19.07.2019

(やまだぃちぅ) #1

Scienza


S


i stenta a credere che ci sia bisogno
di ripeterlo, ma tant’è. L’industria
petrolifera non è nostra amica.
Continuando a investire nei com-
bustibili fossili, accelera il tracollo del cli-
ma e la morte del pianeta, a prescindere
dalle credenziali etiche che sbandiera.
Sembra un fatto evidente, eppure ci sono
molti ambientalisti convinti che la Shell sia
dalla loro parte.
Due mesi fa il colosso petrolifero ha an-
nunciato di voler investire trecento milioni
di dollari “negli ecosistemi naturali” nei
prossimi tre anni, per contribuire a “soste-
nere la transizione verso un futuro a bassa
emissione di carbonio”. Finanziando la ri-
forestazione la Shell intende in parte com-
pensare i gas serra prodotti dalle sue attivi-
tà di estrazione. Nelle conversazioni con
decine di attivisti sento sempre la stessa

solfa: la Shell sta cambiando, è sincera,
non dovremmo sostenerla?
Lo stanziamento sembra grosso, e lo è
finché non lo si confronta con i 24 miliardi
di dollari di utili annui dell’azienda. Nella
relazione annuale della Shell, la transizio-
ne verso un futuro a bassa emissione di
carbonio è pressoché invisibile. Nella sin-
tesi di bilancio l’energia rinnovabile non
figura. Quando ho interpellato la compa-
gnia, mi è stato risposto che non dispone
dei dati scorporati degli utili provenienti
da tecnologie a bassa emissione di carbo-
nio e che non può dirmi quanto ci ha inve-
stito l’anno scorso. Però nel 2018 ha inve-
stito 25 miliardi di dollari in petrolio e gas,
compresa la prospezione per cercare nuo-
ve riserve di combustibile fossile nelle ac-
que del golfo del Messico e al largo delle
coste di Brasile e Mauritania. Tra l’altro ha
1.400 contratti minerari in Canada, dove
produce greggio sintetico dalle sabbie bi-
tuminose. Alla faccia della transizione.
Stando alla relazione annuale, i “moto-
ri del profitto” sono petrolio e gas, e non si
accenna minimamente all’intenzione di
spegnerli. Le “priorità di crescita” sono la
produzione chimica e l’estrazione del pe-
trolio in mare. Tra le “opportunità emer-

genti” è citata anche l’energia a bassa
emissione di carbonio, ma sarà sviluppata
insieme alle tecnologie di fracking e di li-
quefazione del gas. In futuro, si legge, la
Shell venderà “più gas naturale”.
Ma come spiega l’analisi dell’organiz-
zazione Oil change international, “tra gli
obiettivi dell’accordo di Parigi non è previ-
sto un nuovo sviluppo dei combustibili fos-
sili, gas incluso”. L’attuale estrazione di gas
e petrolio basta già ad aumentare il riscal-
damento globale di più di un grado e mez-
zo. La Shell è impegnata nella produzione
di combustibili fossili a lungo termine, e
questo equivale a un ecocidio.

Lasciamoli sottoterra
Ripristinare gli ecosistemi naturali è vitale
per impedire il tracollo del clima. Come fa
notare il Gruppo intergovernativo sul cam-
biamento climatico (Ipcc), se vogliamo
avere qualche probabilità d’impedire un
riscaldamento globale di più di un grado e
mezzo o addirittura di due gradi è essenzia-
le smaltire grandi quantità di anidride car-
bonica già presenti nell’atmosfera. Finora
le soluzioni migliori sono quelle naturali,
cioè tutelando e ripristinando foreste, man-
grovie, paludi salmastre e torbiere. Cre-
scendo, infatti, questi sistemi viventi assor-
bono l’anidride carbonica e la trasformano
in carbonio solido sotto forma di legno,
fango e suolo.
Ma l’Ipcc chiarisce anche che le solu-
zioni naturali non compensano la costante
emissione di gas serra, bisogna quindi ta-
gliare rapidamente e in modo drastico la
produzione di combustibili fossili. Per so-
stenere un pianeta abitabile bisogna la-
sciarli sottoterra e proteggere i sistemi vi-
venti riportandoli allo stato naturale. Il
tempo delle compensazioni è finito.
La Shell, invece, continuerà a cercare e
a sviluppare nuove riserve. Di recente ha
ritirato il sostegno all’obiettivo, legalmen-
te vincolante, di ridurre le emissioni
dell’Unione europea allo zero netto entro
il 2050.
Per me la sua strategia è così evidente
da non meritare un dibattito: per andare
avanti con i combustibili fossili, la Shell
deve difendersi dalle norme che minaccia-
no la sua attività. Poiché non è pronta ad
abbandonare i suoi motori del profitto, cer-
ca di cambiarne la percezione nell’opinio-
ne pubblica. A mio avviso, lo stanziamento
per gli ecosistemi naturali non è altro che
un’operazione di facciata. u sdf

L’industria del petrolio


non può esserci amica


La Shell non è attenta al pianeta
come pensano anche alcuni
ambientalisti, scrive George
Monbiot. Ormai compensare le
emissioni di gas serra non basta,
bisogna fermarle del tutto

George Monbiot, The Guardian, Regno Unito


eLISA MACeLLARI

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