Internazionale - 19.07.2019

(やまだぃちぅ) #1

Regno Unito


N


on è stato solo il cielo costante-
mente coperto a rendere il mio
lavoro a Bruxelles per il Daily
Telegraph all’inizio degli anni
novanta un’esperienza deprimente. È stato
soprattutto il fatto di essere la vice di Boris
Johnson – allora ufficialmente a capo
dell’ufficio di corrispondenza del quotidia-
no londinese a Bruxelles, ma in pratica irri-
ducibile solista – a rendere il mio primo in-
carico all’estero una prova di resistenza.
Nell’ufficio del Telegraph c’eravamo so-
lo noi due, e lavoravamo incessantemente
per raccontare le convulsioni politiche ed
economiche legate ai negoziati sul trattato
di Maastricht. Era un processo di grande
drammaticità e pieno d’intrighi politici, che
avrebbe plasmato l’Europa del futuro.
Il modo in cui Johnson scriveva di quei
fatti, tuttavia, non solo mise in allarme me,
ma contribuì a diffondere nel Regno Unito
una pervasiva retorica antieuropea, che tra
i britannici non ha mai incontrato seri osta-
coli. Per aver raccontato, senza alcuno scru-
polo professionale, la Commissione euro-
pea come un’istituzione assurdamente
megalomane e imperialistica, Johnson fu
gratificato con innumerevoli messaggi
d’ammirazione dall’allora direttore del Te-
legraph, Max Hastings. “Pensiamo tutti che
tu stia facendo un lavoro fantastico, dovre-
sti solo imparare a essere un po’ più pompo-
so”, gli scrisse una volta Hastings. Il cammi-
no di Johnson per diventare primo ministro
era cominciato.
Nel corso degli anni le fantasiose storie
pubblicate da Johnson, che raccontavano di
pescatori costretti dai regolamenti europei
a indossare reti per i capelli o di lumache


riclassificate come pesci, hanno creato la
convinzione, ormai profondamente radica-
ta tra i britannici, che qualsiasi cosi arrivi da
Bruxelles sia o una follia o il risultato di un
complotto ordito sul continente.
Il suo articolo più esplosivo di sempre,
pubblicato nel maggio del 1992, sosteneva
che Jacques Delors, allora presidente della
commissione, stesse complottando per cre-
are un superstato europeo dotato di im-
mensi poteri. Perfino i fan di Johnson am-
misero che l’articolo dava un’immagine
distorta della realtà. Lui dette la colpa ai
giornalisti di Londra per le scelta delle pa-
role con cui il pezzo era stato presentato e
non provò neppure a difenderlo. Ma la tesi
di quell’articolo è stato ripetuta fino a con-
quistarsi una solida credibilità ed è servita a
Johnson per guadagnarsi l’mmirazione
dell’estrema destra di tutta Europa. Nel Re-
gno Unito ha alimentato le ambizioni dei

nazionalisti inglesi, e molti hanno notato
un legame diretto tra l’immagine dell’Unio-
ne europea come forza d’invasione e l’at-
teggiamento attuale di milioni di cittadini
britannici, a quanto pare convinti che la co-
sa più importante sia riconquistare la liber-
tà dall’Europa, anche a costo di una grave
crisi economica e della dissoluzione del Re-
gno Unito. È quindi un’ironica nemesi, for-
se inevitabile, il fatto che Johnson, che oggi
ha 55 anni, sembri destinato a diventare il
primo ministro incaricato di risolvere la cri-
si che lui stesso ha contribuito a creare
vent’anni anni fa con i suoi articoli.

Il primo esame
Ho incontrato Johnson per la prima volta
nel 1992, quando aveva 28 anni. E subito mi
è apparso chiaro che, dietro la sua facciata
di buffone guastafeste, c’erano delle ambi-
zioni serie e un piano preciso, sostenuti da
un grande talento nel farsi pubblicità e da
una vera ossessione per il potere.
Nel 2002, in un articolo per l’Indepen-
dent, me l’ero immaginato davanti alla por-
ta del numero 10 di Downing street (la resi-
denza del primo ministro britannico), ac-
canto alla moglie Marina e ai suoi quattro
bambini perfettamente agghindati. La mia
previsione fu ridicolizzata e considerata as-
surda dai commentatori dell’epoca, i quali,
non conoscendolo di persona, credevano
all’immagine dell’intelligentone goffo che
Johnson si era scrupolosamente cucita ad-
dosso. Cercai di spiegare, a orecchie per lo
più sorde, che “dietro una patina ben colti-
vata di disorganizzazione e imprevedibilità
si cela non tanto la spietatezza politica,
quanto un’immensa ambizione sorretta da
una spaventosa determinazione”.
Johnson ha sempre voluto vincere a tut-
ti i costi, ingannando le persone e convin-
cendole a credere in lui oppure sabotando i
rivali, se necessario. Ricordo che, appena
arrivata a Bruxelles, la prima volta che fui
mandata a seguire una conferenza stampa
in uno dei tanti edifici dell’Unione euro-
pea, Johnson mi diede di proposito indica-
zioni sbagliate, facendomi arrivare in ritar-
do. Allora c’erano già parecchie prove del
fatto che esercitare la supremazia sul pros-
simo è l’unica cosa che per lui conta davve-
ro. La sua mancanza di convinzioni a pro-
posito dell’Europa o di ogni altro argomen-
to sembrava tradursi in assenza d’idee, a
parte la semplice proiezione di se stesso. Il
senso della vittoria era la vittoria stessa.
Johnson non ha mai dato l’impressione di

È il momento


di Boris Johnson


L’imprevedibile sostenitore


della Brexit sta per diventare


leader dei conservatori e primo


ministro britannico. Un rischio


per un paese diviso e confuso,


scrive Sonia Purnell, la biografa


di Johnson


Sonia Purnell, The Guardian, Regno Unito


u La sfida tra Boris Johnson e l’attuale ministro
degli esteri Jeremy Hunt per la guida del Partito
conservatore sta per concludersi. I 160mila
iscritti al partito hanno tempo fino al 21 luglio
per votare. Due giorni dopo sarà svelato il nome
del vincitore. Il 24 luglio la premier Theresa
May si dimetterà, lasciando la guida del
governo al nuovo leader tory, che diventerà
quindi anche primo ministro. Secondo gli ultimi
sondaggi, Johnson ha più del 70 per cento delle
intenzioni di voto dei militanti.
u “La battaglia per la leadership del Partito
conservatore si gioca tutta sulla Brexit. La
questione è se il paese uscirà dall’Unione
europea il 31 ottobre. Hunt ha spiegato che si
aspetta un rinvio a Natale, ma non ha garantito
nulla. Johnson, invece, dice che la Brexit si farà
nella data stabilita, ‘costi quel che costi’”, scrive
il Daily Telegraph. “Se il Regno Unito non
lascerà l’Unione sarà la fine dei conservatori.
Per questo, la posizione di Johnson non è
assurda, come sostengono i suoi avversari, ma è
figlia di un caparbio realismo politico. Ed è
accompagnata dall’ottimismo, caratteristica
fondamentale di ogni leadership efficace”.

Da sapere
Sfida a due
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