la Repubblica - 29.07.2019

(Brent) #1
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È


legittimo chiedersi con quale M5S il Pd potrebbe
aprire un dialogo ma è molto più importante
capire quale Pd potrebbe giungere a quel confronto
in modo credibile: con quale visione del futuro e con
quale capacità di rinnovare se stesso. Agli elettori
perduti a favore del M5S (realtà talora enfatizzata)
non si risponde realmente dialogando in modo
accorto con quel movimento ma interrogandosi su
di sé, sulle ragioni “proprie” di un consenso
perduto. Di un’identità smarrita. Prendendo come
riferimento non il 25% cui si era attestato il Pd di
Bersani ma il punto più alto poi raggiunto, quel 40%
e oltre da cui è precipitato. Non va dimenticato lo
scenario generale in cui quel successo era
maturato, all’indomani di un crollo del ventennio
berlusconiano che aveva lasciato disorientata e
spaesata una parte ampia del Paese. Due furono
allora le principali proposte in campo: da un lato
quella del M5S, pericolosamente al confine fra il
rinnovamento radicale della democrazia e
l’irrisione delle istituzioni; dall’altro — dopo la
scolorita “ditta” bersaniana — il progetto dichiarato
da Renzi nel suo “scendere in campo”: cambiare la
politica e cambiare il Pd. Fu questo il fondamento
del suo affermarsi: e alla base del crollo successivo
vi fu in primo luogo l’aver disertato quell’impegno.
Molto altro poi si aggiunse ma il recupero di una
dimensione alta della politica è la prima tappa di
una ricostruzione credibile del riformismo. Solo la
prima tappa, e c’è davvero da sperare che la
“Costituente delle idee” annunciata da Zingaretti
prenda realmente corpo, sia aperta all’esterno e
abbia una straordinaria ampiezza. La partita
decisiva si gioca qui, nella consapevolezza che le
crescenti pulsioni centrifughe rinviano a
trasformazioni profonde nei vissuti e nelle culture
di fasce ampie di cittadini. Certo, la prima deriva
era stata “rivelata” molti anni fa dall’irrompere di
Bossi e poi di Berlusconi: era dilagata allora una
“destra smoderata” tenuta sin lì a freno dal
moderatismo cattolico. E si era mostrata nella sua
ampiezza la crisi dei partiti che avevano costruito
la Repubblica. Da tempo però si è andati molto
oltre, nel vivo di stravolgimenti generali che la crisi

del 2008 ha enfatizzato: a questi bisogna
rispondere, a questi bisogna opporre speranze e
progetti di futuro. Se così è, dunque, la questione
principale non è “il M5S possibile” ma “il Pd
necessario”. Per questo sarebbe realmente
drammatico se la “Costituente delle idee” rimanesse
solo un annuncio. Se non innescasse un’apertura
radicale, capace di ridare vita a un partito ripiegato
su se stesso e al tempo stesso di coinvolgere un’area
ampia di interlocutori (disposti a loro volta a
impegnarsi e a mettersi in gioco).
E naturalmente è necessario un ripensamento
programmatico profondo, a partire dai grandi nodi.
Non è un buon segno il rapido appannarsi delle
tematiche europee all’indomani stesso del voto:
come se non si giocasse qui una partita decisiva,

come se non fosse urgente proseguire — ben oltre i
confini nazionali — una discussione appena avviata.
Come se non fosse essenziale cioè dar corpo in
Europa a una rete sempre più solida di relazioni
culturali e politiche capace di fare argine a derive e
lacerazioni. Capace di immaginare realmente il
futuro comune. Si potrebbe continuare,
naturalmente, e non è un buon segno neppure
l’oblio che sembra ricoprire da tempo la realtà del
Mezzogiorno. Non si tratta però di accumulare
tematiche, è necessario soprattutto indicare alcune
priorità e su di esse aprire un confronto vero,
collettivo e pubblico. E trarne le conseguenze. È
necessario cioè sostituire le parole e gli annunci
con la politica vera.

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Quel dialogo possibile con i 5 Stelle


Il Pd necessario


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L’inedito


La prostituzione è una piaga


I segue dalla prima pagina

U


na spinta in più a pregare per l’accoglienza delle
vittime della tratta della prostituzione forzata e
della violenza.
Una persona non può mai essere messa in vendita. Per
questo sono felice di poter far conoscere l’opera
preziosa e coraggiosa di soccorso e di riabilitazione che
don Aldo Buonaiuto, svolge da tanti anni, seguendo il
carisma di Oreste Benzi. Ciò comporta anche la
disponibilità ad esporsi ai pericoli e alle ritorsioni della
criminalità che di queste ragazze ha fatto
un’inesauribile fonte di guadagni illeciti e vergognosi.
Vorrei che questo libro trovasse ascolto nel più ampio
ambito possibile affinché, conoscendo le storie che
sono dietro i numeri sconvolgenti della tratta, si possa
capire che senza fermare una così alta domanda dei
clienti non si potrà efficacemente contrastare lo
sfruttamento e l’umiliazione di vite innocenti.
La corruzione è una malattia che non si ferma da sola,
serve una presa di coscienza a livello individuale e
collettivo, anche come Chiesa, per aiutare veramente
queste nostre sfortunate sorelle e per impedire che

l’iniquità del mondo ricada sulle più fragili e indifese
creature. Qualsiasi forma di prostituzione è una
riduzione in schiavitù, un atto criminale, un vizio
schifoso che confonde il fare l’amore con lo sfogare i
propri istinti torturando una donna inerme.
È una ferita alla coscienza collettiva, una deviazione
all’immaginario corrente. È patologica la mentalità per
cui una donna vada sfruttata come se fosse una merce
da usare e poi gettare. È una malattia dell’umanità, un
modo sbagliato di pensare della società. Liberare
queste povere schiave è un gesto di misericordia e un
dovere per tutti gli uomini di buona volontà. Il loro
grido di dolore non può lasciare indifferenti né i singoli
individui né le istituzioni.
Nessuno deve voltarsi dall’altra parte o lavarsi le mani
del sangue innocente che viene versato sulle strade del
mondo.

Questo testo è la prefazione che Papa Francesco ha
scritto al libro “Donne crocifisse. La vergogna della
tratta raccontata dalla strada” (Rubbettino)
di don Aldo Buonaiuto, sacerdote della Comunità
Papa Giovanni XXIII

di Rosalba Castelletti

N


eppure lo sceneggiatore più ottimista
avrebbe immaginato per Volodimir
Zelenskij un copione così fortunato. Dopo
aver interpretato un professore eletto a
sorpresa capo dello Stato nella serie tv
“Sluga Narodu” (Servo del Popolo) sbarcata
anche su Netflix, lo scorso aprile l’ex comico
è stato incoronato presidente dell’Ucraina
anche nella realtà. Sperando di capitalizzare
la sua popolarità, l’attore 41enne ha sciolto
il Parlamento fedele al predecessore Petro
Poroshenko e indetto elezioni anticipate.
E ha vinto anche questa scommessa.
Delusi dalla classe dirigente corrotta, stanchi
della prolungata crisi economica e stremati
dal conflitto nell’Est separatista filorusso che
in cinque anni ha reclamato oltre 13mila vite,
gli elettori hanno consegnato al neofita della
politica la maggioranza assoluta nella Rada,
il Parlamento ucraino: un potere che nessun
presidente aveva mai avuto
dall’indipendenza di Kiev nel 1991.
Il messaggio delle urne è stato chiaro:
l’Ucraina vuole il cambiamento. Come
Zelenskij intenda sfruttare questa doppietta
di vittorie senza precedenti è però un
mistero.
Fino ad adesso il presidente neo-eletto aveva
avuto le mani legate da una maggioranza
parlamentare ostile. Ora non ha più alibi. I
numeri nella Rada gli danno la possibilità di
portare a termine le promesse di
cambiamento e, in particolare, la lotta alla
corruzione, la riforma giudiziaria e la
risoluzione della guerra nel Donbass. In ballo
non c’è solo il futuro dell’Ucraina, Paese
strategico stretto tra l’ingombrante vicino
russo e il fianco europeo dell’Alleanza
Atlantica, ma anche quello della Ue.
Il successo delle riforme sarà un banco di
prova per la credibilità del Partenariato
Orientale, il programma d’integrazione della
Ue con i vicini dell’Est, e dell’Accordo di
Associazione con Bruxelles siglato da Kiev
nel 2014 all’indomani della Rivolta di
Majdan. Mentre il cessate-il-fuoco in Est
Ucraina, oltre a porre fine a un sanguinoso
stillicidio di vite, potrebbe interrompere il
deleterio braccio di ferro di sanzioni e
contro-sanzioni tra Russia e Ue.
Il nuovo incidente nel Mar Nero dimostra
che il percorso verso la pace è accidentato,
ma ci sono segni che fanno ben sperare.
Archiviato il revanscismo militare del suo
predecessore, Zelenskij ha chiamato il
presidente russo Vladimir Putin per
discutere un possibile scambio di
prigionieri. E militari ucraini e separatisti
filorussi si sono ritirati di un chilometro dalla
“linea di contatto” a Stanitsia Luganska,
nell’Est in guerra: primo passo concreto
dalla sigla degli accordi di “Minsk II”.
Oltre che sulla fiducia degli elettori,
Zelenskij può contare sul credito della Ue e
del Fondo monetario internazionale. In
entrambi i casi, si tratta di un sostegno non
incondizionato. Gli ambasciatori del G7
hanno condannato la sua proposta di
purgare i funzionari che avessero già servito
il predecessore, mentre la comunità
internazionale guarda con apprensione
l’inchiesta su un’acciaieria accusata di
inquinare la sua città natale.
Neppure gli ucraini fanno sconti.
L’esperienza dei cosiddetti “euro-ottimisti”
insegna. All’indomani della Rivolta di
Majdan, gli elettori portarono in Parlamento
una ventina di giovani riformisti che si erano
battuti per la Ue in piazza. Allo scadere del
loro mandato, gli ucraini però non hanno
avuto remore a liquidarli perché non
avevano mantenuto le promesse. Un
modello e un ammonimento per il comico
eletto presidente e le centinaia di facce
nuove che occuperanno i seggi del
Parlamento. Le elezioni hanno dato a
Zelenskij il potere, non gli resta che usarlo.
© Lena - Leading european
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Lettera dall’Europa


Ucraina ed Ue


l’ora della verità


f


Non si tratta di accumulare


tematiche: ora bisogna sostituire


le parole e gli annunci con la


politica vera


FONDATORE EUGENIO SCALFARI

pagina. (^22) Commenti Lunedì, 29 luglio 2019

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