Non c’era spazio a sufficienza ma era necessario obbedire a quella regola sacrosanta per cui tutti
assumevamo posizioni acrobatiche per riunirci tutti attorno a quel tavolino divenuto una sorta di
altare celebrativo della condivisione e della fratellanza!
La maggior parte di noi doveva rimanere in piedi, per forza di cosa, ed ovviamente anch’io decisi di
starmene in seconda linea, mentre in platea, seduti sulle uniche tre sedie che potevano sussistere
attorno ad un minuscolo tavolino, c’erano il capo ed i suoi più stretti sottomessi.
Nonostante la rigida gerarchia carceraria che privilegia i più forti, i tre seduti insistettero con me per
farmi sedere al loro posto, rimanendo volentieri in piedi, ma io mi rifiutati categoricamente essendo
loro più degni di rispetto considerata l’anzianità detentiva.
Apprezzai moltissimo anche quell’inattesa insistenza di farmi sedere al loro posto, ne fui stupito, ed
ormai osservavo meravigliato la serie incredibile di emozioni straordinarie che quei detenuti mi
facevano vivere.
Lo stesso rito di mangiare tutti insieme, tutti attorno al nostro misero tavolino, mi commuoveva
perché mi faceva sentire parte integrante di uno stupefacente stile di vita familiare, nato dalla
incantevole audacia di costruire, giorno per giorno, un nuovo habitat affettivo, attraverso un
corollario di comportamenti costruttivi che obbligavano il destino infame a cambiare volto, ed
imponevano a quelle quattro mura fradice e fatiscenti di assumere le sembianze di una tenera ed
accogliente casa, ove tutti dovevamo sentirci fratelli!
Davvero emozionante e commovente.
Si trattava di sensazioni affettive straordinarie, assolutamente inattese, che sfociavano
inesorabilmente in derivazioni spirituali, e riuscivo davvero ad avvertire la presenza di Dio persino
nei comportamenti e nei sogni di quei poveri detenuti!
Horribile dictu? No, piuttosto una santa e sorprendente verità.
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