E mi fissò diritto negli occhi con atteggiamento amichevole e rispettoso, continuando a stringermi
forte la mano, racchiudendola fra le sue, per interminabili ed emozionanti attimi!
Quell’atteggiamento così umano, e nel contempo così altamente professionale, mi fece sentire
davvero orgoglioso di appartenere alla categoria dei medici, e mi commosse profondamente,
restituendomi dignità e speranza, doni molto rari per un detenuto!
Oltretutto le guardie nel riportarmi in cella dissero: “dottore non le mettiamo le manette per
rispetto, stia buono nella carrozzina, mi raccomando!”.
Con questi inattesi attestati di fiducia e stima la mia commozione raggiunse livelli incontrollabili,
infatti stavo quasi per piangere di gioia!
Per non mostrare pubblicamente la mia debolezza emotiva, ai poliziotti e ad alle altre persone che
avrei incrociato nel percorso di rientro in cella, mi coprii il volto col fazzolettino con la scusa di
usarlo ancora come mascherina.
Tornando in cella lungo il tragitto intravidi le sale di degenza dove mia madre era stata ricoverata
anni prima, e dove morì tempo dopo, ed ebbi un ulteriore sussulto d’orgoglio pensando a lei ed
all’amore immenso che aveva donato ai suoi figli durante tutta la sua appassionante esistenza.
Riflettendo sui ricordi di una madre così eroica e devota alla famiglia, però, vissi anche un attimo di
imbarazzo e desolazione perché la immaginai intenta ad osservarmi da Lassù mentre ero detenuto!
Fu un pensiero strano ma legittimo per un Cristiano come me che stava già vivendo emozioni
intense ed altalenanti, sempre in balia dei voli pindarici delle emozioni contrastanti.
Sicuro che mi osservasse ed ascoltasse dal Paradiso, le parlai quasi in silenzio, senza farmi
accorgere dalle guardie visto che avevo il fazzoletto sul viso, e le dissi sussurrando: “mamma,
amore mio, lo vedi anche tu che in questa fase della mia vita sto sperimentando l’ingiustizia di una
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