Il saluto a Roma
Dopo la morte di mio padre tornai a Roma deciso a risolvere una volta per tutte l’ambigua
situazione di quella società che sembrava non avere più senso: perché continuare a lavorare con
persone che non stimavo? Perché insistere con un progetto che, per quanto bello, attirava ogni volta
sciacalli che mi rovinavano la vita? Non sapevo ancora come avrei potuto liberarmi di tutto ciò,
però il destino mi diede una mano, infatti appena giunsi in ufficio, dopo quasi due mesi di assenza,
tutto era cambiato: gli stagisti erano andati via, i soci nemici altrettanto, erano rimasti soltanto
alcuni miei collaboratori fedeli che però si stavano organizzando per cambiare lavoro, ed oltretutto
era stato anche notificato lo sfratto per l’ufficio! Capii subito che non c’era bisogno di far nulla per
fermare quella società perché di fatto era già al capolinea. Fu meglio così, pensai, ed in quei giorni,
molto tristi per la verità, iniziai il triste sgombero della sede: arredi, computer, accessori, quadri,
monitor giganti, tutto ciò che avevamo comprato qualche anno prima.
Alla fine non rimase nulla, il salone vuoto, le stanze vuote, solo il mio appartamentino era ancora
arredato perché vi soggiornai gli ultimi giorni prima di riconsegnare le chiavi alla proprietà.
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