inogni caso le somme che riuscivano a guadagnare, tutti insieme, non raggiungevano quelle che
percepivo io come medico del 118 , per cui avrebbero dovuto gestire bene i fondi per arrivare a fine
mese. La preoccupazione quindi in cuor mio esisteva ancora ma era stata fortemente limitata dal
loro preziosissimo impegno lavorativo.
Ringraziai solennemente Dio per aver concesso ai miei cari l’opportunità di lavorare e di poter
sostenere la famiglia anche senza di me. Fu un enorme dono del Signore, anche perché la mia
principale angoscia in quel periodo era proprio quella, il mantenimento della mia famiglia, che il
Buon Dio aveva risolto brillantemente creando un’alternativa valida all’attività della ristorazione
d’eccellenza ormai bloccata nei meandri degli inferi.
Anch’io ed Annabella eravamo ben preparati, sapevamo che molto probabilmente si sarebbe
compiuta l’ennesima porcheria nei tribunali, ed eravamo pronti a subire la più grave delle
ingiustizie, la carcerazione. Scrivo al plurale perché la privazione della mia libertà, purtroppo, la
avrebbe pagata anche Annabella essendo costretta a vivere sola, senza di me, per un tempo ancora
indefinito, prima di ottenere l’affido ai servizi sociali.
Ero stato proprio io, comunque, a tranquillizzarla continuamente avendo notato, nei mesi
precedenti, che la notte non riusciva a dormire per la paura di vedermi presto carcerato.
Spesso per rasserenarla le precisavo che il mio ruolo di medico del 118 mi metteva di fronte, ogni
giorno, ad una strenua lotta fra la vita e la morte, e purtroppo osservavo diversi pazienti, a volte
anche giovani, che non riuscivano a superare le malattie perdendo la vita.
La mia eventuale carcerazione non sarebbe stata, quindi, così grave quanto i drammi di quella
povera gente, e pertanto non avevamo il diritto di viverla con profonda angoscia.
Fu una considerazione sacrosanta che custodimmo sempre in mente, per rispetto dei drammi altrui.