.
R
iunire la famiglia, non dopo una scis-
sione ma nel quotidiano, è il lavoro
che chiunque abbia una famiglia sa
di dover compiere, anche quando lo
evade o lo subappalta al partner che
s’incarica della supplenza. Stare in-
sieme, convivere (riunirsi, appunto), vuol dire es-
senzialmente ripetere un ordine scandito di abitu-
dini, gesti, parole, allusioni, domande e risposte
in codice che compongono quel linguaggio affetti-
vo su cui soprattutto i bambini edificano il pro-
prio senso della comunità.
Detta così, pare un rituale noioso e magari lo è.
Come una replica tendenzialmente infinita dello
stesso copione che va in scena ogni sera. Ma prova-
te a modificare il palinsesto esistenziale di un bam-
bino. A cambiargli, per dire, l’ordine del racconto
di una favola. Verrete immediatamente richiamati
alla ripetizione rigorosa del testo originale (foss’an-
che un testo che avete rimaneggiato o inventato di
sana pianta) con la severità di un direttore d’orche-
stra che non ammette variazioni sul tema. Perché
gli affetti si costruiscono su copioni che ogni fami-
glia scrive e mette in scena da sé. Sono appigli, rife-
rimenti. Per ri-unire una famiglia e non solo a Nata-
le, è necessario rinnovarli continuamente, con pic-
cole, improvvisate quanto sapienti aggiunte che
rendono quei copioni dei classici, che classici sono
perché non invecchiano. La tenuta di una famiglia
dipende largamente dalla creatività con cui si svol-
ge questo lavoro ripetitivo, difficile, non retribuito
e in larga parte demandato alla tecnologia, che of-
fre miriadi di socializzazioni alternative, creando
allo stesso tempo nuove forme d’isolamento.L’improvvisa, sebbene non del tutto imprevi-
sta, sospensione scolastica determinata dall’e-
mergenza del coronavirus – una sorta di surplus
delle vacanze natalizie, – diventa allora l’occasio-
ne di una ristrutturazione del palinsesto della co-
munità familiare, che da un giorno all’altro si tro-
va a disporre di un tempo inaspettatamente libe-
ro per inventare nuove occasioni di vicinanza. Si
tratta di scrivere nuovi copioni o di aggiornare i
vecchi, sfidando la concorrenza delle attrezzatu-
re tecnologiche di cui le nostre case sono piene, e
a cui ricorriamo in automatico per colmare i silen-
zi e le noie di cui pure sono fatte le nostre vite.
C’è chi preferirebbe mille volte tornare al lavo-
ro, che fare questa fatica. E chi non vede l’ora di
usare l’inatteso bonus per investire in affetti e co-
struire nuova memoria. Per farlo, bisogna disin-
daffararsi. Disimpegnarsi. Sperperare un po’ di
quel tempo di cui solitamente siamo così avidi - il
tempo utile, che non basta mai a coprire tutte gli
impegni che vorremmo portare a termine - per ri-
scoprire il valore di un tempo finalmente inutile,
fine a se stesso: il tempo in cui ti disoccupi della
tua persona e ti rivolgi finalmente a chi ti sta ac-
canto, lo rivedi, ti riproponi alla sua attenzione e
addirittura la conquisti. È in quel tempo che non
procura utili - di più: nella percezione che l’altro
avverte del tuo disinteresse alla rinuncia del tuo
tempo in favore del suo - che gli affetti si rinnova-
no e si saldano.
Il tempo inutile, che non procura guadagni, è
quello che ci chiedono le persone che amiamo.
Un tempo, per così dire, senza scopo di lucro. —
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LA TIRATURA DI GIOVEDÌ 5 MARZO 2020
È STATA DI 157.008 COPIELI
LETTERE
& IDEE
IL PALINSESTO FAMILIARE
DEL TEMPO RITROVATO
DIEGO DE SILVAM
ultitasking? No Grazie! É uno
slogan, una clamorosa marcia
indietro o una semplice provo-
cazione? È un libro Hoepli iro-
nico-ma-serio scritto da Chia-
ra Cecutti, life coach e counsel-
lor per l’empowerment femminile, per dissacra-
re un mito del nostro tempo: le donne possono fa-
re più cose contemporaneamente, gli uomini
no. Passano con grande disinvoltura dalla cuci-
na alla riunione di management, dalla torta al
business plan. Quest’onnipotente impegno è
fonte di autostima (finché non crolli, ovvio).
Già Allison Pearson nel romanzo Ma come fa a
far tutto? aveva trovato la soluzione: fare meno.
Addentrandoci nei meandri delle neuroscienze
(solo un pochino) scopriamo che il multitasking
è in realtà task switching, cioè la capacità di pas-
sare al volo da un compito all’altro. Comincia-
mo dai topi. Mentre allatta i piccoli, mamma rat-
to è veloce e letale: cattura un grillo per pranzo
in 70 secondi. Uomini e topi non sono così diver-
si. E il cervello materno è «potenziato». Ricadu-
ta immediata: il surplus di abilità può essere spe-
so sul lavoro. Verissimo. E tirare il fiato no?
Il prezzo da pagare per il task swiching è una
minore concentrazione, come dimostrano gli in-
cidenti di chi parla al telefono mentre guida. Gli
uomini dicono: «Una cosa per volta», le donne
scelgono l’equilibrismo delle attività parallele:
orizzontali (rispondo a email di lavoro mentre gi-
ro la salsa e sorveglio il bimbo) o verticali (per fa-sce orarie, mail alle 5 del mattino e salsa alle 6) in
una delirante maratona casa-ufficio. Randi Zuc-
keberg, sorella di Mark, ha lasciato la Silicon Val-
ley e ha scritto Scegline tre. Puoi avere tutto ma
non tutti i giorni perché la pressione la rendeva
«infelice e stressata». Ha deciso di concentrarsi
su tre cose al giorno. E basta. Oltre sette milioni e
mezzo di italiane se ne caricano molte di più: tor-
nano dal lavoro e poi stirano, cucinano, si occu-
pano di figli e anziani. Mettono un tacco 12 se ser-
ve. Il multitasking, oltre agli obiettivi, alza il livel-
lo di cortisolo, l’ormone dello stress, sostiene il
neuroscienziato Daniel J. Levitin. Può essere
dannoso. E arriviamo alla «sindrome di Wonder
woman» raccontata da Debora Spar, presidente
dal 2008 al 2017 del Barnard College di New
York ovvero: «Il “possiamo fare tutto” si è trasfor-
mato in “dobbiamo fare tutto”». Wonder woman
è un po’ Cenerentola, che fregatura. Nel film Fi-
gli, scritto da Mattia Torre, una coppia che lavora
«osa» il secondo bebè. Lei è una macchina da
guerra ma quando tocca a lui sostituirla per un
giorno, gli vediamo addosso un costume da supe-
reroe (si sente così). Una forte corrente di pensie-
ro spinge verso il ridimensionamento del multi-
tasking: delegare, condividere, accettare l’imper-
fezione, comprare torte confezionate, riposare.
Prendere esempio da Tom Hanks in Forrest
Gump. Dopo aver corso per due anni, tre mesi,
14 giorni e 16 ore si ferma e dice: “Sono un po’
stanchino”. Anche noi. —
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BASTA MULTITASKING
SIAMO “UN PO’ STANCHINE”
ROSELINA SALEMIL
iti e polemiche a cui abbia-
mo assistito nelle ultime
settimane, anche con il
coinvolgimento dei pote-
ri locali, indeboliscono la
capacità dello Stato di
fronteggiare un aumento di conta-
giati simile a quello della Corea del
Sud. Il sistema sanitario nazionale
italiano «è uno dei migliori del mon-
do», come ha sottolineato il Presi-
dente Mattarella, ma per poter supe-
rare questa crisi ha bisogno di esse-
re sostenuto da una forte intesa fra
governo e poteri locali.
Poi c’è il ruolo dei singoli cittadini
ovvero di ognuno di noi che, per ef-
fetto dei nuovi decreti e disposizio-
ni, sta modificando abitudini, modi
di vivere, muoversi, interagire con il
prossimo. E’ questo il cuore dell’ap-
pello di Mattarella: il virus può esse-
re battuto solo se ognuno di noi, fino
in fondo, farà la sua parte, curando
la propria salute per il bene dell’inte-
ra nazione. Si tratta, in ultima istan-
za, di un vero test di unità nazionale
perché l’interesse dei singoli e quello
collettivo non potrebbero essere più
coincidenti. La nostra salute è quella
del nostro prossimo, e viceversa.
Questo significa che lavarsi bene le
mani, limitare i contatti con altre per-
sone, rinunciare a partecipare a
eventi pubblici affollati o fare atten-
zione alla propria temperatura sono
singole piccole-grandi azioni perso-
nali che non potrebbero avere impor-
tanza maggiore per la comunità na-
zionale.
Infine, ma non per importanza,
l’appello di Mattarella al «senso di re-
sponsabilità» è diretto anche a medi-
ci e scienziati perché la loro coesione
è la base indispensabile per reagire,
contenere e in ultima istanza battere
il virus che viene dal Wuhan cinese.
E dunque anche in questo caso, pro-
prio come sul fronte della politica, li-
tigi e rivalità danneggiano la sicurez-
za collettiva.
Saranno le prossime settimane a di-
re se le mosse decise dal governo riu-
sciranno ad avere un impatto positi-
vo, consentendo al Paese di superare
la fase di maggiore espansione del vi-
rus ovvero evitando che il contagio
raggiunga il Centro-Sud dove le strut-
ture sanitarie sono più vulnerabili.
Abbiamo di fronte una delle prove
più difficili della vita repubblicana
ma l’Italia ha le risorse, la forza e la co-
noscenza per superarla. Ma c’è una
condizione: ognuno di noi deve sape-
re di essere responsabile del proprio
prossimo. —
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sportelli del SaloneSIAMO TUTTI
RESPONSABILI
DEL PROSSIMO
MAURIZIO MOLINARIF
orse facciamo male a concentrare
sull’Italia la nostra preoccupata e an-
gosciosa attenzione per il coronavi-
rus: in realtà, il nostro Paese sembra
semplicemente quello più avanti sul
sentiero di espansione di questa ma-
lattia. C’è così il pericolo di perdere di vista la
sua dimensione globale.
Per limitarci alla giornata di ieri, in Germania
il numero dei contagiati è raddoppiato, superan-
do i cinquecento, mentre una settimana fa era-
no poche decine. E così la Fiera del Turismo di
Berlino, la più importante al mondo in questo
settore, con circa diecimila espositori, si è ag-
giunta all’ormai lunghissimo elenco di grandi
manifestazioni annullate; la California ha di-
chiarato lo stato di emergenza, in Cisgiordania
si è sbarrato l’accesso alle chiese (e alle mo-
schee) di Betlemme e la Grecia ha chiuso tutte le
scuole. L’associazione mondiale dei trasporti ae-
rei ha stimato che le compagnie potranno tota-
lizzare una riduzione di fatturato tra i 63 e i 113
miliardi di dollari ossia dall’8 al 15 per cento del
totale. Ieri è fallita una piccola compagnia aerea
britannica.
In questo grande terremoto, la risposta italia-
na, annunciata dal Presidente del Consiglio e dal
ministro dell’Economia, rappresenta il primo pro-
gramma coerente di un Paese occidentale per li-
mitare i danni. Si rivolge direttamente alle fami-
glie e alle imprese, con un grosso sforzo per inter-
cettarne i variegati bisogni sulla base del princi-
pio che nessuno dovrebbe perdere il lavoro per co-
ronavirus, stanzia, in maniera molto articolata,
una cifra non piccola, ossia 7,5 miliardi di euro.
Comprende una chiamata alle banche per una
moratoria dei debiti alle imprese delle zone mag-
giormente colpite (il che richiederà qualche for-ma di sostegno o garanzia pubblica agli istituti di
credito) e risorse per sanità e protezione civile.
L’esito di queste misure è naturalmente in bili-
co: sarebbero pressoché sufficienti se l’epidemia
si fermasse qui, o per lo meno cominciasse a regre-
dire rapidamente. In caso contrario, si dovrebbe
passare a un ordine di grandezza sensibilmente
superiore, che dovrebbe coinvolgere, se invece il
virus non si fermasse affatto, non solo l’Unione eu-
ropea e la Bce ma anche organismi internazionali
dal Fondo Monetario alla Banca Mondiale.
Un risultato è però già stato ottenuto. Questo in-
tervento diretto e misurato, non contrattato con i
“corpi intermedi”, ossia con le varie associazioni
di imprenditori e lavoratori, sta spostando il cen-
tro del confronto politico-sociale.
Il canale diretto che si tenta di instaurare - tra
l’altro con le due più recenti conferenze stampa
del Presidente del Consiglio - tra Palazzo Chigi e
le abitazioni delle singole famiglie, raggiunte me-
diante la televisione o Internet, rappresenta, con-
sapevolmente o no, un tentativo di superare il fos-
sato tra politica e “popolo” che si è pericolosamen-
te allargato in questi anni. E va sottolineato che il
“popolo”, a cominciare dalle categorie diretta-
mente impegnate nell’emergenza, come il perso-
nale sanitario, ha finora accettato, anche con col-
laborazione.
Se il tentativo andrà in porto – e se la situazione
sanitaria comincerà a migliorare - il virus avrà co-
sì prodotto anche qualcosa di buono: chiudendo-
ci in casa, potrebbe aprire nuovi orizzonti, a co-
minciare da una politica economica maggiormen-
te condivisa e calibrata sulle necessità dello svilup-
po. Alla crescente debolezza dei partiti tradiziona-
li potrebbe far riscontro un passo avanti nel rap-
porto tra governanti e governati. —
© RIPRODUZIONE RISERVATAIL FOSSATO DA SUPERARE
TRA CITTADINI E POPOLO
MARIO DEAGLION
e uccide di più il rumore. Molti
di più. 12.000 vittime ogni an-
no, soltanto in Europa. Un’epi-
demia diventata endemica, al-
la quale ci siamo passivamente
rassegnati, che non fa notizia e
continua a colpire nella generale indifferen-
za. Nessuna misura emergenziale è allo stu-
dio per combatterla, la sua marcia funebre
prosegue inarrestabile: «Il rumore dell’am-
biente nel quale viviamo rimane uno dei pro-
blemi più gravi; almeno il 20% della popola-
zione europea – circa 150 milioni di persone -
vive in aree nelle quali i livelli del rumore so-
no considerati nocivi alla salute», certifica l’A-
genzia Europea dell’Ambiente nel suo rap-
porto annuale. Voluta dall’Unione europea,
attiva dal 1994, ha sede a Copenhagen e vi
aderiscono 32 nazioni. Il suo compito è vigila-
re sull’inquinamento ambientale del nostro
continente. Mentre governi e parlamenti ri-
flettono più che in passato sui modi possibili
per ridurre l’inquinamento dell’aria, del ma-
re, quello provocato dalla plastica e dalla
massa dei rifiuti, i parametri relativi al rumo-
re rimangono fuori controllo. Le cause princi-
pali risiedono nel traffico aereo, in quello ur-
bano, nel consumo di musica, spesso involon-
tario, ad alto volume, nel rumore interno ad
alcune fabbriche.
I dati sono impressionanti, altissimi i costi
sociali che ne derivano: oltre alle 12.000 mor-
ti premature ogni anno, l’Agenzia registra -«48000 casi di disturbi cardiaci; 12.500 stu-
denti hanno difficoltà nell’apprendimento
frequentando scuole vicine agli aeroporti. 22
milioni di europei soffrono di disagi psichici e
6,5 milioni di disturbi del sonno a causa del
rumore». Constata amaramente il rapporto
2020: l’obiettivo della riduzione di questi nu-
meri, posto nel 2012, non è stato raggiunto,
principalmente a causa dell’aumento del traf-
fico aereo, ferroviario e automobilistico, que-
st’ultimo concentrato nelle maggiori arre ur-
bane. Circa il 14% della popolazione italiana
risiede in aree acusticamente inquinate.
Non ce ne accorgiamo quando il rumore
c’è, perché ormai siamo assuefatti e le nostre
orecchie – come dicono gli otorini - «hanno al-
zato la soglia»: stiamo diventando tutti più
sordi, per legittima difesa. Lo percepiamo
adesso, in questi giorni di forzata riduzione
delle attività, di ogni tipo di traffico: le nostre
città sono diventate meno aggressive, urlano
di meno. Si offrono al nostro sguardo e al no-
stro ascolto, meno distratti, con inaudita te-
nerezza. Tutti noi, smarriti e impauriti come
non siamo mai stati, ci ritroviamo più tacitur-
ni, più disposti ad ascoltare: forse soltanto al-
cuni frequentatori di talk-show televisivi non
si sono accorti di questo bisogno di intelligen-
te, attivo silenzio. Nel Lemmario del XXI seco-
lo che la Treccani si accinge a pubblicare, la
voce Silenzio è stata scritta da Nicola Piova-
ni. Questa la sua riflessione conclusiva: «L’ul-
timo film di Federico Fellini – La voce della lu-
na – si conclude con un pensiero recitato dal-
la voce di Roberto Benigni, un pensiero che,
col passar degli anni, ha assunto sempre più
una valenza profetica: “Eppure io credo che
se ci fosse un po’ più di silenzio, se tutti facessi-
mo un po’ di silenzio, forse qualcosa potrem-
mo capire”». —
© RIPRODUZIONE RISERVATAQUELLE 12MILA VITTIME SILENZIOSE
DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE
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