La Stampa - 19.03.2020

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DA RIVEDERE

L’attore interprete nel film “La concessione del telefono” in onda lunedì su Rai 1 per la regia di Roan Johnson

Le sfide di Bentivoglio

”Il già fatto è alle spalle, cerco l’inaspettato


come parlare il siciliano arcaico di Camilleri”


FULVIA CAPRARA
ROMA

A


nche se i toni voglio-
no comunicare al-
tezzosa suprema-
zia, il mafioso in
doppiopetto, inter-
pretato da Fabrizio
Bentivoglio nella Concessione
del telefono, è solo un contadi-
no arricchito che, a fatica, pra-
tica le buone maniere. Simbo-
lo di una mafia agli albori, an-
cora strettamente legata al
possesso della terra, don Lollò
Longhitano è un classico arche-
tipo del mondo di Andrea Ca-

milleri, una di quelle figure in
cui ignoranza e senso del grot-
tesco si mescolano al meglio,
lasciando un segno indelebile
in chi ha il piacere di incontrar-
le: «Purtroppo non ho mai co-
nosciuto Camilleri di persona -
dice l’attore -, so che questa è
l’ultima sceneggiatura che ha
licenziato e che ci teneva tan-
tissimo. Mi sarebbe molto pia-
ciuto avere il suo parere sul
film che ne è stato tratto, chi lo
ha conosciuto mi dice che l’a-
vrebbe gradito».
Diretta da Roan Johnson,
tratta dal romanzo omonimo
(Sellerio Editore), in onda su
Raiuno lunedì prossimo, La
concessione del telefono è, se-

condo il regista, «una comme-
dia sulla stupidità umana, da
quella istituzionale e burocra-
tica, fino a quella sentimenta-
le e, al tempo stesso, una satira
sociale e politica di incredibile
attualità». Una cornice in cui
Bentivoglio, stavolta alle pre-
se con il siciliano arcaico e fan-
tasioso dell’autore, si è trovato
a suo agio: «Di Camilleri ammi-
ro la capacità di mettere in lu-
ce, anche in una storia di fine
800, prerogative nostre, con-
temporanee. Qui si racconta la
storia di uno sciocco che si fa
del male credendo di farsi del
bene, che si va a mettere nei pa-
sticci con le sue mani, chieden-
do intercessioni a suo favore

che gli provocano solo guai».
Cappello nero sopra la chio-
ma bianca, completo scuro e
panciotto, Bentivoglio cittadi-
no di Vigata è anche interprete
divertito dalla sfida di un per-
sonaggio nuovo, diverso da
tutti quelli fatti finora: «Per un
attore la possibilità di sceglie-
re è sempre relativa, legata al-
le offerte che riceve, però è ve-
ro che io cerchi sempre di indi-
rizzare l’andatura verso qual-
cosa di differente, di inaspetta-
to, qualcosa che crei sorpresa,
per chi vedrà e anche per me
stesso. Il già fatto è fatto, non
ci voglio nemmeno pensare,
penso al resto, a quello che
non avevo nemmeno previsto

di poter fare».
Andare avanti, nel caso di
Bentivoglio, significa anche al-
leggerirsi del peso della bellez-
za, che magari nella prima fa-
se di carriera, imponeva un cer-

to tipo di ruoli e comportamen-
ti: «Sicuramente - ridacchia - si
diventa più duttili, più simili
agli altri, e così è più facile co-
municare cose che prima non
venivano fuori».
Adesso, dopo La concessione
del telefono, c’erano tanti pro-
getti in ballo, nei campi del ci-
nema, del teatro e della musi-
ca, ma la frenata brusca lascia
«tutto in sospeso, con un gran-
de punto interrogativo, anche
su quello che riusciremo a fare
dopo». Nelle sue giornate di
padre di 3 ragazzi «che dalle 9
alle 13 partecipano a lezioni te-
lematiche e poi vanno comun-
que seguiti», Fabrizio Bentivo-
glio infila «una lettura, qualco-
sa per me stesso, ma la stella
polare sono loro, i figli». Resta
il tempo per riflettere sul pre-
sente difficile: «Tutto ciò che
abbiamo fatto prima ci appa-
re, all’improvviso, lontano an-
ni luce». L’invito a sfruttare il
tempo vuoto per arricchirsi
culturalmente, non è, riflette
Bentivoglio, così facilmente
sfruttabile: «Non si può fare
tutto subito, non siamo abitua-
ti, ma è anche vero che certi sti-
moli possano essere lanciati
come salvagenti».
La corsa allo streaming po-
trebbe rivelarsi arma a doppio
taglio: «Se, rispetto a uno spetta-
colo dal vivo, prendesse definiti-
vamente piede, sarebbe una
sconfitta, ma capisco anche che,
a mali estremi, estremi rimedi».
Per il cinema è arrivato il tempo
di vedere e rivedere. Alla do-
manda su quale suo film riguar-
derebbe oggi, Bentivoglio ri-
sponde pronto La giusta distan-
za di Carlo Mazzacurati: «Quel-
la distanza, che nel film era un
termine poetico, non reale, ma
ideale, è cambiata sotto i nostri
occhi, si è centuplicata, diven-
tando improvvisamente, con-
tro il nostro volere, molto mag-
giore, e non più giusta». —
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Q

uando, per via della
tisi, gli fu prescritto
un lungo confina-
mento in un sanato-
rio, il musicologo
Giorgio Vidusso
esclamò: «Beh, finalmente po-
trò leggere La recherche!»; e,
in effetti, lo fece. Questo per
dire che se noi tutti - provan-
do a scrollarci di dosso lo sta-
to di ansia e apatia ingenera-
to dall’autoisolamento - ritro-

vassimo quello stesso spirito
combattivo di contrapporre
la vita sublimata nell’arte alla
spettro della malattia, po-
tremmo scoprire il piacere di
rivisitare i classici del cinema.
Magari iniziando con To Be
or Not to Be, (titolo italiano Vo-
gliamo vivere!) di Ernst Lubi-
tsch, il grande cineasta ebreo
berlinese che fra Germania e
Usa ha impresso alla comme-
dia il suo inconfondibile «tou-

ch». Realizzato nel 1942 nel
pieno della guerra, il film si
svolge al momento dell’occu-
pazione nazista in una Varsa-
via palesemente ricostruita ne-
gli studios, dove una coppia di
capocomici - i narcisi, vanesi e

tutt’altro che eroici Joseph e e
Maria Tura - riesce ad avere la
meglio sulla Gestapo ricorren-
do a travestimenti e trucchi da
avanspettacolo: insomma
all’arma di una polverosa illu-
sione scenica che, in un conti-

nuo ribaltamento di finzione e
realtà, svela la paccottiglia die-
tro la trionfalista facciata
dell’apparato hitleriano.
Anche se all’uscita il film
sconcertò molti per quel suo
stare acrobaticamente in bilico

tra dramma e farsa, fra «essere
e non essere», gli anni gli han-
no reso giustizia; e nel 1996
Mel Brooks lo ha riproposto ci-
mentandosi in un delizioso re-
make versione musical. Dove,
come nell’originale di Lubi-
tsch, si dimostra che è possibile
esorcizzare nella risata persi-
no la tragedia dell’antisemiti-
smo, senza per questo minimiz-
zarla e lasciando spazio per l’e-
mozione. Come nella scena in
cui un attore ebreo, recitando
il monologo di Shylock («Non
ha forse occhi un ebreo? ... ma-
ni, organi, affetti, passioni?»),
esprime al di là del gioco di fin-
zione la voce vera delle vittime
del nazismo. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA

ALESSANDRA LEVANTESI KEZICH

FABRIZIO BENTIVOGLIO
ATTORE

In queste giornate
scelgo la lettura,
qualcosa per me
stesso, ma la stella
polare sono i figli

A sin. Carole Lombard nel film di Lubitsch, sopra Mel Brooks con Anne Bancroft nel remake

COLLOQUIO

Da sinistra in senso orario:
Fabrizio Bentivoglio; l’atto-
re in una scena di «La con-
cessione del telefono» dal
romanzo di Andrea Camille-
ri, in onda lunedì su Rai 1
per la regia di Roan John-
son, dove interpreta Caloge-
ro (don Lollò) Longhitano;
un’immagine del film «del
cuore» che Bentivoglio invi-
ta a rivedere: è «La giusta
distanza» di Carlo Mazzacu-
rati con Valentina Lodovini
ambientato in una cittadina
del Nord-Est dove viene
commesso un omicidio di
cui viene accusato un giova-
ne meccanico tunisino

“To be or not to be”


Da Lubitsch a Mel Brooks


22 LASTAMPAGIOVEDÌ19 MARZO 2020
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