FRANCESCA LAI
U
na grande stanza
con una croce in le-
gno appesa al mu-
ro. Quella che fino
a poche settimane era la chie-
sa dell’ospedale Martini di To-
rino, oggi è diventata un re-
parto per i malati Covid-19, o
meglio per i pazienti in attesa
dei risultati sul test del tampo-
ne. E quindi si resta lì ad
aspettare e a guardare quello
che è rimasto di quel piccolo
tempio: la croce e l’altare.
Tutto il resto è stato portato
via per dare spazio a numero-
si letti divisi da dei piccoli se-
paré in stoffa.
Undici postazioni in totale
sulla navata centrale, tutte
predisposte ad accogliere pa-
zienti con insufficienza respi-
ratoria nel caso ce ne fosse il
bisogno. «L’ospedale in que-
sti giorni ha dovuto affronta-
re una crisi enorme– raccon-
ta una persona che preferisce
restare anonima –, molti ope-
ratori erano esausti e preoc-
cupati per le loro stesse vite.
Mi è stato riferito che almeno
le dotazioni ausiliari per il
personale medico lentamen-
te stanno arrivando, ma sono
stati giorni molto duri per il
personale sanitario».
L’ospedale è stato tra i pri-
mi in Italia a predisporre an-
che i locali della chiesa per le
maxi emergenze. Questo si-
gnifica che ai lati della struttu-
ra già nel 1986 erano stati in-
seriti i bocchettoni per l’ossi-
geno. Un’idea dell’anestesi-
sta e rianimatore Antonio
Morra.
Stesso discorso per il Gio-
vanni Bosco, infatti da questa
mattina il piano dove si trova-
no la chiesa e altre stanze è
aperto ai pazienti. «Andava-
no fin da subito scelte intere
strutture e altri spazi alla cu-
ra dei soli pazienti Covid–
spiega Francesco Coppolella,
coordinatore regionale del
Nursind, il sindacato delle
professioni infermieristiche
–, troppo rischiosa la sovrap-
posizione tra aree pulite e
aree sporche in strutture non
adatte a isolare i pazienti».
Ieri i contagi hanno legger-
mente rallentato, ma questo
purtroppo non segna la fine
dell’emergenza che stando al-
le parole del Consiglio Supe-
riore di Sanità risulterà decisi-
va questa settimana.
Intanto tutti gli ospedali si
sono attrezzati per poter ac-
cogliere più pazienti possibi-
le e proprio per questo sia al
Giovanni Bosco che al Marti-
ni si è deciso di utilizzare an-
che le chiese. Una partita an-
cora in corso e che si spera
presto finirà. —
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Non ci siamo. Lo ripetono da
settimane i sindacati dei me-
dici e degli infermieri: con i
comunicati di Cgil, Uil, Nur-
sind e Nursing Up si potrebbe
tappezzare un reparto ospe-
daliero. Lo dicono i medici di
base. Lo dicono gli Ordini dei
Medici. Ieri Anaao Assomed,
sindacato medici ospedalie-
ri, ha aperto un nuovo fronte
sostenendo che «l’Unità di cri-
si non funziona»: quella re-
gionale. Affermazione peren-
toria, nata dalla constatazio-
ne che «nonostante il cambio
al vertice” (ndr: l’arrivo di
Vincenzo Coccolo al posto di
Mario Raviolo) la sostanza è
sempre la stessa». La sostan-
za sono i Dpi, i Dispositivi di
protezione: essenziali per
permettere al personale sani-
tario di lavorare in sicurezza
ma insufficienti nonostante
finora ne siano stati distribui-
ti centinaia di migliaia.
Un’esagerazione? Difficile
crederlo, considerato che sui
Dpi Ordini e sindacati sono
compatti. Ordini e sindacati
che rappresentano la “voce”
degli operatori sanitari: i qua-
li, impossibilitati a dire la lo-
ro a seguito di una precisa di-
sposizione dell’Unità di crisi
ai direttori generali delle Asl
e degli ospedali, raccontano
le esperienze quotidiane nei
reparti e negli ambulatori ai
rappresentanti di categoria,
per via indiretta, onde evita-
re di finire davanti alle com-
missioni disciplinari. Nel pie-
no di un’epidemia c’è ancora
spazio per queste cose. Molta
attenzione, in questo fran-
gente, anche alla “gestione”
della comunicazione con i
media, limitata ai comunica-
ti stampa.
Che le forniture lascino a
desiderare lo ha sottolineato
pochi giorni fa lo stesso Alber-
to Cirio in un passaggio
dell’appello al premier Con-
te. Ma a detta di Anaao anche
l’Unità di crisi regionale non
brilla per intraprendenza: «I
privati cittadini riescono là
dove questa non arriva». An-
cora: «Ci risulta che vi siano
attività che vorrebbero pro-
porsi come intermediari per
acquistare dispositivi di pro-
tezione individuale o produr-
li e che non riescono a metter-
si in contatto». Da qui la ri-
chiesta, come minimo, di pro-
cedure più agili. Anche per
Mauro Salizzoni e Domenico
Rossi, Pd, «ci sono alcune scel-
te, al netto dei fattori esterni
all’Unità di crisi, che dipendo-
no dalla nostra capacità orga-
nizzativa»: rigida separazio-
ne tra reparti Covid e non,
maggiore comunicazione tra
ospedali e territorio, maggio-
re ricorso alle strutture priva-
te, linee-guida specifiche per
le Rsa.
Critiche e suggerimenti a
fronte di una situazione sen-
za precedenti, che l’Unità di
crisi deve gestire tra tra
enormi e immaginabili diffi-
coltà. Immaginabili perché,
nell’era della comunicazio-
ne globale, con l’Unità di cri-
si è impossibile comunica-
re. ALE. MON. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA
la proposta: Procedure più agili e meno burocrazia
“Forniture, disorganizzazione totale”
I medici contro l’Unità di crisi
GIUSEPPE BOTTERO
LIDIA CATALANO
P
oco più di 55 mila dipen-
denti alla fine del 2017,
quattro mila in meno ri-
spetto al 2009. Nel giro
di un decennio la sanità piemon-
tese ha perso il 7% degli addetti,
dato in linea con la media italia-
na ma più consistente rispetto a
Lombardia, Veneto, Emilia.
Adesso che il Piemonte si trova
di fronte a una situazione dram-
matica, con la ricerca affannosa
di camici bianchi e la corsa per
creare posti letto, le debolezze
del passato mostrano il conto.
«Il dato è dovuto, in buona misu-
ra, a politiche di reclutamento
vincolate al Piano di rientro per
debito eccessivo a cui è stata sot-
toposta la Regione dal 2010 al
2017», dicono gli esperti dell’I-
res che hanno fotografato la si-
tuazione elaborando i numeri
del Tesoro.
I tagli al personale
Secondo l’istituto di ricerca i ta-
gli maggiori hanno colpito il
personale con funzioni ammi-
nistrative (-13%); i medici so-
no diminuiti del 6%, infermieri
e tecnici del 4%. Solo nel Sud è
peggio: la Campania ha perso il
18% del personale, la Calabria
il 17%, la Sicilia il 10%. Altro
dato chiave. Rispetto a 10 anni
fa, la quota di dipendenti con
meno di 40 anni si è di fatto di-
mezzata, passando dal 31% al
14%, mentre sono cresciuti gli
ultrasessantenni, balzati dal
2% all’11%. «Tra il 2007 e il
2017 la curva relativa all’età
anagrafica del personale si è
progressivamente spostata ver-
so fasce più elevate», certifica
l’Ires. Tra i medici, la quota di
over 60 è passata dal 4% al
21% in 10 anni, tra gli infermie-
ri la quota di over 45 è cresciuta
dal 31% al 62%.
La richiesta urgente di un inter-
vento del governo si spiega an-
che così. Il personale è stanco,
non vede ricambio. «Non abbia-
mo medici a sufficienza, siamo
allo stremo», ha scritto in una
lettera l’Ordine regionale.
Poco turn-over
Nell’ultimo decennio, a fron-
te di 100 contratti cessati, i
nuovi assunti sono stati 87. Il
Piemonte si colloca al di sotto
della media nazionale (pari a
90), ed è tra le regioni con il
tasso di turn-over più basso.
Su 100 medici in pensione ne
sono entrati 91, agli infermie-
ri è andata meglio: 97 ingressi
per 100 uscite. Numeri insuffi-
cienti soprattutto in ottica fu-
tura, perché, come denuncia
l’Ires, «l’invecchiamento del-
la popolazione determinerà
un progressivo aumento della
domanda di cure».
Dodici chiusure
I problemi, in realtà, non si li-
mitano al personale ma coin-
volgono anche gli edifici. Nei
prossimi giorni debutterà il po-
lo di Verduno, nel Cuneese.
Ma negli ultimi cinque anni so-
no stati chiuse dodici strutture
e ne restano aperte quaranta-
nove. Una scelta quasi obbliga-
ta tenuto conto che, spiegano i
ricercatori Carla Jachino, Lui-
sa Sileno, Guido Tresalli, l’o-
spedale «si sta trasformando
da un luogo omnicomprensi-
vo per la sanità in polo per il
trattamento della fase acuta
della malattia».
Il nuovo modello
La destrutturazione del vec-
chio modello, con la redistri-
buzione nelle strutture del ter-
ritorio di servizi anche di tipo
socio-assistenziale legati alla
fase post-acuta, secondo i ri-
cercatori ha consentito agli
ospedali di concentrare le atti-
vità sulla gestione del momen-
to critico delle patologia, libe-
rando spazi prima occupati
dalle lungodegenze. «In con-
dizioni di piena sostenibilità
insediativa le superfici ospe-
daliere piemontesi potrebbe-
ro ospitare 14.290 posti letto,
a fronte degli 11.702 attuali»,
spiega Tresalli.
Il limite
Significa che nei nostri ospeda-
li potrebbero essere ricavati al-
tri 3000 posti, da dedicare an-
che alle rianimazioni, in questi
giorni sempre più vicine al
punto di saturazione. «Ma è
una strada percorribile solo a
condizione che si facciano i ne-
cessari investimenti in tecnolo-
gie, personale, adeguamento
delle strutture: il concetto di
posto letto può essere fuor-
viante se non si tiene conto del-
la complessità dei percorsi di
cura necessari per trattare pa-
zienti critici e infetti», sottoli-
nea il ricercatore.
Resta un potenziale prezio-
so, un surplus di spazio dispo-
nibile che conforta in piena
emergenza coronavirus. Ma è
anche un indicatore preciso di
quale sia il limite oltre il quale
si arriva al collasso. —
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ALESSANDRO MONDO
Aumenta il numero di quelli
che non ce l’hanno fatta: 45,
il dato peggiore, 300 dall’ini-
zio dell’epidemia. Aumenta
il numero dei contagiati: ol-
tre 4.500. Aumenta la satura-
zione delle terapie intensive:
330 i posti letto occupati. Al-
tre 4 persone guarite, e meno
male, che portano il bilancio
a 14.
Il coronavirus avanza e ini-
zia a colpire i giovani oltre
che gli anziani. Basta una pa-
noramica sui pronto soccor-
so degli ospedali piemontesi
per avere la conferma di una
dinamica che nemmeno i me-
dici sanno spiegare con preci-
sione: forse perchè i giovani
hanno una maggiore vita so-
ciale, probabilmente perchè
più si allarga il numero dei
contagiati e più si allarga il
delta delle decadi colpite.
Supposizioni. Dove per gio-
vani si intende la fascia
40-50 anni. Al momento
manca una percentuale pre-
cisa «ma la sensazione è net-
tissima», confermano all’uni-
sono i medici impegnati
nell’emergenza-urgenza. Fi-
ne del dogma per cui il virus
attacca solo gli anziani: è
sempre così ma non solo,
qualcosa sta cambiando.
Sono le dinamiche, per ora
indecifrabili, con cui deve
confrontarsi una regione sot-
to assedio, come ieri ha rico-
nosciuto il presidente del
Consiglio Superiore di Sani-
tà: l’84% dei decessi è avve-
nuto in Lombardia, Emilia e
Piemonte.
Una regione che, tra le al-
tre cose, sconta forti difficol-
tà e diverse incongruenze
sul fronte delle forniture: in
primis i Dpi, Dispositivi di
protezione individuale per i
sanitari. In quest’ottica la
mega-gara internazionale
appena bandita da Scr - 16
lotti per un valore di 118,57
milioni, bando in italiano e
in inglese, pagamento alla
consegna per evitare frega-
ture in un mercato dove i fur-
bi non si contano - è una buo-
na notizia. A maggior ragio-
ne, considerato che dall’ini-
zio dell’epidemia la società
di committenza regionale
che acquista abitualmente
farmaci e dispositivi per cen-
tinaia di milioni, quindi for-
te di risorse e canali di ap-
provvigionamento, non era
mai stata coinvolta nell’ac-
quisto dei Dpi. Di fatto, in
questo esercizio - difficile in
un mercato reso sempre più
ristretto e competitivo dall’e-
pidemia - si sono cimentate
le Asl: in ordine più o meno
sparso e attraverso gli uffici
competenti. Difficile capire
come mai solo da pochi gior-
ni si sia deciso di schierare
Scr, capace di imbastire velo-
cemente una gara di questa
portata. Di sicuro c’è da au-
gurarsi che non sia l’ultima.
Sempre di ieri è la notizia
che la Regione è pronta ad au-
torizzare la sperimentazione
del farmaco anti-virale Avi-
gan secondo le indicazioni
emanate oggi dall’Agenzia
Nazionale per il Farmaco.
Via libera ai test sui pazienti
positivi anche nei laboratori
privati: la prossima sfida sa-
rà aumentare i tamponi a do-
micilio. Accordo con le Uni-
versità di Torino e del Pie-
monte Orientale per produr-
re i reagenti.
Resta lo stress al quale è
sottoposto il sistema sanita-
rio, massima l’attenzione
dei sindacati. Così la Cgil,
nella persona di Francesco
Cartelà, segnala le lamente-
le degli Infermieri tecnici e
delle Ostetriche, richiesti
dall’Ordine professionale
competente di pagare la quo-
ta di iscrizione: «Sospensio-
ne immediata. Se siamo in
guerra, e tutti sono al fronte,
non ha senso chiedere que-
sta tassa». —
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la solidarietà
Apparecchiature e protezioni per i medici
Specchio, 7.600 donazioni per 7 milioni
DOSSIER
via i banchi, restano solo la croce e l’altare
La cappella del Martini si trasforma
nella sala per i pazienti in attesa dei test
Vincenzo Coccolo
4.541
le persone positive
al coronavirus
in Piemonte
14
le persone finora
guarite dopo aver
contratto l’infezione
330
i pazienti ricoverati
in terapia intensiva,
2071 in altri reparti
Quasi 7 milioni raccolti, gra-
zie a 7. 600 donazioni, danno
nuova forza alle iniziative di
Specchio dei tempi che affron-
terà una settimana intensa.
Oggi consegne di nuove appa-
recchiature alle Molinette e al
Mauriziano mentre non si è in-
terrotta nemmeno ieri la ricer-
ca di calzari, camici e masche-
rine. C’è anche molta attesa
per l’arrivo, mercoledì, della
Tac all’Amedeo di Savoia. Tut-
ti possono aiutare Specchio
dei tempi con carta di credito
sul sito http://www.specchiodeitem-
pi.org, con un bonifico sul con-
to intestato a Specchio dei
tempi, via Lugaro 15, 10126
Torino, iban IT67 L0306909
6061 0000 0117 200, o sul con-
to corrente postale
1035683943 intestato a Spec-
chio dei tempi. C’è anche Sati-
spay o la piattaforma “rete del
dono” al link https: //www.re-
tedeldono. it. Info:www. spec-
chiodeitempi. org/virus, spec-
chiodeitempionlus@lastam-
pa. it; 011. 6568376.
ALESSANDRO FERRETTI
I NUMERI
L’impietoso
paragone
con
il Veneto
In provincia di Tori-
no i nuovi casi di con-
tagio sono 230, quin-
di il 13% in più di sabato.
L’incremento tra venerdì e
sabato era del 12%, quindi
la velocità di salita è sostan-
zialmente stabile. Bisogna
però tenere conto del fatto
che il numero di tamponi
di è leggermente inferiore
alla media (1.070, contro
una media di 1.200) e la
percentuale di test non ne-
gativi è più alta (43% inve-
ce di 39%). Questa piccola
fluttuazione potrebbe esse-
re un segno del fatto che i
nuovi casi siano un po’ sot-
tostimati e che la crescita
reale sia stata più alta.
Un piccolo approfondi-
mento su un’anomalia
piemontese: se facciamo
un confronto con il Vene-
to, notiamo che quest’ulti-
mo ha più contagiati
(5.100 contro 4.400) ma
meno decessi (169 con-
tro 283): a cosa può esse-
re dovuto? I fattori in gio-
co sono molteplici, ma
uno dei più importanti po-
trebbe essere il numero
di tamponi. Il Veneto a og-
gi ha fatto 58 mila test con-
tro i 13 mila del Piemonte:
in generale, più sono i test
più è probabile individua-
re anche i casi lievi e asin-
tomatici, che guariscono
con maggior facilità. In
Piemonte la scarsa dispo-
nibilità di laboratori per i
test fa sì che vengano fatti
ai casi più seri, mentre i ca-
si lievi non vengono testa-
ti: quindi, i contagiati “uf-
ficiali” piemontesi risulta-
no essere mediamente più
seri di quelli veneti e ciò ri-
sulta in una mortalità mag-
giore. Questo implichereb-
be anche che il numero
reale di contagiati in Pie-
monte sia più alto di quel-
lo del Veneto; ma per aver-
ne conferma bisognereb-
be effettuare un numero
di test confrontabile.
(fisico Università di Torino)
IL CORONAVIRUS
La fotografia dell’Ires: le assunzioni bloccate durante il piano di rientro
Ma il nuovo assetto degli ospedali ha liberato spazio per le emergenze
L’austerity della sanità
Meno medici in corsia
e sempre più anziani
IL CORONAVIRUS
IL CASO
La cappella dell’ospedale Martini riadatta in reparto
In Piemonte il giorno più triste: 45 morti
E si abbassa l’età dei positivi al virus
Ora anche i giovani tra i ricoverati. Scr fa partire la maxi-gara da 119 milioni per acquistare mascherine
In Piemonte finora sono stati eseguiti 12.869 tamponi di cui 7.729 risultati negativi
La Regione pronta
ad autorizzare
la sperimentazione
del farmaco Avigan
32 LASTAMPALUNEDÌ23 MARZO 2020
CRONACA DI TORINO
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