Prima Pagina
Foto: Vatican Media / Agf
Roma,via del Corso. Papa
Francesco cammina in direzione
della chiesa di San Marcello,
dove si fermerà a pregare
carne, con la sua mestizia, nel suo aspetto funebre. Nutre il
feretro. Sarcofago viene dal greco, signiica: mangiare la
carne. Non l’anima è qui reale, ma la carne. L’anima è qui
cenere, la carne è iamma.
Scena dello spirito. Il ponteice, nel vuoto di via del Cor-
so, a piedi, solo, la scorta a distanza, bianco che abbacina,
incede zoppicando, l’anca destra deve essere dolente, il vol-
to della terza età è un ripiegarsi della pelle su se stessa. Il
Papa porta su di sé tutto il mistero della carne, dell’incar-
nazione. Non convoca il corpo, ma la distesa della carne, di
ogni carne, di ogni ibra, muscolo, nervo, che testimoniano
un principio trascendente. Chi dà vita alla carne? Non ci
sono letteralmente parole. La parola è un regno che incro-
cia la carne, la precede e ne suppura. La testimonianza del-
la carne, in questi passi diicili del ponteice, diventerà
pure un’immagine, evocativa o contestata, ma non è la so-
lita immagine: l’immagine prende qui carne, non si risolve
nella sua natura immateriale e volatile. La carne fa restare
l’immagine nella storia.
Scena delle carceri. Che cos’è un carcere? Doveva essere
una correzione per migliorare, è diventato il cupo teatro
della vendetta della società, si è trasformato in una dimen-
ticanza collettiva. Chi ino a ieri pensava alle prigioni? È
divenuto il luogo della carne. Una miriade umana in cui
prolifera facilmente ogni contagio. I decreti hanno ridotto
a carne i detenuti, hanno loro tolto la possibilità di vedere i
propri cari. Pensiamo a vasche orrende dove la carne è ac-
catastata, l’infezione più virulenta, la disperazione più
atroce. Non abbiamo visto la ribellione dentro le prigioni, il
vomito della carne, abbiamo intuito le colonne di fumo, so-
no stati contati i morti, abbiamo visto corpi anonimi in
controluce sopra i tetti. Il formidabile numero di chi è co-
stretto lì conferma l’idea che in carcere si va a marcire,
come ribadiva un celebre ex ministro dell’interno. Chi ha
pronunciato su questo una parola umana?
Scena coniugale. L’avvocato divorzista è stupefatto, ha
molto da lavorare. È raggiunto telefonicamente da una
percussione. Si candida a essere tutelata da lui una clien-
tela numerosa e inaspettata. Dice: «Richiesta di dodici
pratiche di divorzio in cinque giorni». Non si capacita. La
carne ribolle all’interno, si slaccia, si separa. La reazione
allo sfregamento dei corpi e delle psicologie, reclusi in
quarantena insieme, prova che non erano più abituati alla
vicinanza, al contatto continuo, alle tristezze della carne.
A Wuhan si è rilevata un’esplosione di cause per divorzio e
di violenza domestica. Il fenomeno è generalizzato, perché
la carne è triste.
Scena cinese. Quanti sono? Chi sono? Tutta la Cina è una
totalità della carne. Una carne itterica, formicolante: un
miliardo e mezzo di individui indistinguibili, ridotti a
un’unica massa, a un’immane pasta umana, dalla macchi-
na disincarnata di un partito inefabile, una supremazia
né celeste né terrestre, che guarda l’immenso reame della
carne e ne è guardata.
Abbiamo vissuto per anni l’eresia di una carne compat-
ta ma priva di attenzione, solida ma senza organi, sangui-
nante ma senza sangue, afamata ma senza fame, che
mangiava ma senza denti, che parlava ma senza lingua e
con una fantasmatica parvenza di voce. Il mistero dello
spillover, il salto di specie del virus, riporta a questa ibro-
sità misteriosa. Sarà la carne a uscire dall’epoca del conta-
gio, essendo stata messa in forse? Bisogna considerare e
sentire che essa esiste, prima di capire che è debole e che lo
spirito deve essere pronto. Q