Italiavirus / La battaglia della ricerca
Italia è professore ordinario di microbio-
logia clinica all’università di Padova e diret-
tore della divisione di virologia dell’azienda
ospedaliera. In queste settimane sta gui-
dando, come tecnico, la battaglia contro
l’epidemia di Covid-19 in Veneto, dove è sta-
to il primo a battersi per sottoporre al test
del tampone tutte le persone a rischio, co-
me è stato fatto nel focolaio ora quasi debel-
lato di Vo’ Euganeo. «Premesso che non ab-
biamo certezze, una previsione ragionevole
è che la prima campagna di vaccinazione
potrà partire tra uno o due anni», spiega il
professore. «Finora, nella letteratura scien-
tiica mondiale, la procedura più rapida che
si conosca ha riguardato il virus Ebola: la
fase della cosiddetta validazione del vacci-
no, cioè le varie tappe della sperimentazio-
ne che sono indispensabili per creare un
prodotto sicuro ed eicace, è durata un an-
no e cinque mesi. Dopo di che inizia la fase
industriale, la produzione di massa, che du-
ra diversi mesi, direi almeno un altro anno».
Lo scienziato italiano Rino Rappuoli è il
capo delle ricerche sui vaccini della multina-
zionale GlaxoSmithKline. Schiere di ricerca-
tori lo considerano un’autorità di livello
mondiale negli studi sui virus. Ha lavorato
per aziende statali italiane, per il colosso
svizzero Novartis e oggi è il «chief scientist»,
il capo di tutti gli scienziati, della Glaxo. An-
che Rappuoli invita a non farsi illusioni su
soluzioni ravvicinate: «La sperimentazione
di un vaccino, nella migliore delle ipotesi, ri-
chiede almeno un anno. E poi bisogna pro-
durlo su scala industriale. Di regola servono
circa tre anni. Con le nuove tecnologie, con
investimenti massicci, con sforzi congiunti
di tutta la comunità scientiica, i tempi si
possono ridurre, ma non credo sia possibile
scendere sotto un limite di 12-18 mesi. Il
nuovo virus è conosciuto solo dal 7 gennaio
scorso, quando in Cina ne è stato sequenzia-
to per la prima volta il genoma. Mi sembra
irragionevole pensare che una vaccinazione
di massa possa iniziare prima dell’inizio o
più probabilmente della ine del 2021».
Con cautele ancora maggiori, gli esperti
autorizzano a parlare, in tempi più brevi, di
«una grande speranza: il caldo». «Con l’ar-
rivo dell’estate, con il rialzo delle tempera-
ture, tutte le infezioni respiratorie tendono
a ridursi», chiarisce il professor Crisanti,
sforzandosi di usare un linguaggio com-
prensibile a tutti. «È un dato di comune
esperienza che l’inluenza e la febbre colpi-
scono soprattutto nei mesi più freddi. An-
che i vari tipi di coronavirus già conosciuti
in Italia in passato avevano queste caratte-
ristiche stagionali. D’estate il virus non
scompare, attenzione, ma tende a diventa-
re meno aggressivo. La speranza è che an-
che il nuovo coronavirus si comporti allo
stesso modo: in questo caso, si potrebbe
prevedere una tregua per giugno. Forse an-
che prima, per efetto del cambiamento cli-
matico, che almeno in questo potrebbe aiu-
tarci. Ma al momento, lo ripeto, questa è
solo una speranza: nessuno può prevedere
il futuro andamento del nuovo virus, lo sco-
priremo solo sul campo».
Anche altri scienziati e ricercatori, che
preferiscono non esporsi, concordano con
questa analisi, che nei loro messaggi di ri-
sposta viene espressa negli stessi termini
molto prudenti: «Possiamo dire che nella
comunità scientiica è largamente condivi-
sa l’aspettativa che anche il Sars-Cov-2 pos-
sa ridurre la sua capacità di contagio quan-
do le temperature esterne si avvicinano ai
30 gradi, ma al momento questa è solo un’i-
potesi, che attende conferme empiriche».
Gli scienziati sanno che esistono infezioni
respiratorie da virus, come la Mers, che
hanno colpito anche paesi caldissimi del
Medio Oriente. Il nuovo virus che provoca
la Covid-19, però, fa parte di una famiglia
diversa, dove tutti i parenti sofrono il cal-
do. Una serie di indizi raccolti tra gennaio e
febbraio in Cina, dove in dicembre era ini-
ziato il contagio, hanno portato alcuni ri-
cercatori a ipotizzare una soglia climatica,
tra 26 e 27 gradi, accreditata anche da «rac-
comandazioni» difuse da università inter-
nazionali come Stanford. La barriera del
caldo potrebbe anche spiegare perché i casi
di contagio si contano a migliaia al giorno
in Europa, mentre sono ridotti nell’emisfe-
ro opposto, ad esempio in Sudamerica, do-
ve è estate. Da scienziato, però, Rappoli
concorda con Crisanti e invita alla massi-
ma cautela: «I dati che abbiamo sono anco-
ra troppo limitati. Il basso numero di con-
tagi registrati in alcuni paesi stranieri po-
trebbe dipendere da ritardi o carenze nella
rilevazione. Detto questo, è vero che i virus
già conosciuti dello stesso tipo hanno un
andamento stagionale: questa è una grossa
speranza, che però deve ancora trovare
conferme. L’unico rimedio sicuro, al mo-
FOCOLAIO
Vo’ Euganeo. I
carabinieri controllano
piazza Liberazione,
dove sorge anche
il municipio della
cittadina che si è
rivelata il focolaio
veneto dell’infezione da
coronavirus