L\'Espresso - 22.03.2020

(WallPaper) #1

Prima Pagina Mondovirus / Gli Usa


Foto: Getty Images; pag. 74-75: Getty Images (2)


poteva vantare un certo successo. Nono-
stante scelte politiche dissennate e nono-
stante le centinaia di bugie (il Washington
Post aggiorna il numero in continuazione), il
suo elettorato non lo aveva mai abbandona-
to e si apprestava a rivotarlo in massa il pros-
simo 3 novembre. Grazie anche a un’econo-
mia che ino a due settimane fa andava a
gonie vele, alle decisioni di una Corte Su-
prema da lui rimodellata e mai così supina
nei confronti della Casa Bianca, grazie alla
propaganda di una tv come Fox News, delle
radio conservatrici, di guru evangelisti, di
siti sovranisti e complottisti sempre più ei-
caci. Ora invece tutti i giochi si riaprono.
È vero però che il coronavirus ha anche
eliminato dalle breaking news le notizie sul-
le primarie democratiche. Sia Joe Biden, or-


mai nettamente favorito per conquistare la
nomination democratica, sia Bernie San-
ders hanno annullato i comizi pubblici. Do-
menica 15 non hanno però rinunciato al pre-
visto dibattito televisivo, che inevitabilmen-
te ha avuto al centro la crisi del virus. Per
“zio Bernie” c’è un’unica strada possibile: la
creazione di un sistema sanitario uguale per
tutti e inanziato dallo Stato, sul modello eu-
ropeo. Biden ha detto che se fosse già alla
Casa Bianca avrebbe chiamato i militari per
dare un aiuto alla popolazione e ha proposto
un «programma multi-multi-miliardario«
per contenere i contagi e per il salvataggio
economico dei settori in maggiore diicoltà.
Per quanto riguarda il sistema sanitario ha
aggiunto che «va cambiato subito», nel sen-
so opposto a quello di Trump. Q

SFIDANTE
Joe Biden ha proposto
di usare i militari
e ha promesso una
riforma della Sanità

Vivere gli Stati Uniti ai tempi del coronavirus è come
vivere un remake dell’Italia, in ritardo di due settimane.
La crisi della pandemia ha seguito, oltreoceano, i passaggi
già visti nel nostro Paese, compresi i supermercati presi
d’assalto. Ma c’è un prezzo che gli Stati Uniti potrebbero
pagare molto più caro: il caos dei tamponi effettuati in
ritardo e la dificoltà di accedere ai test. Per settimane,
infatti, non è esistito un protocollo chiaro da seguire in
caso di sintomi e non è certo se le cure saranno gratuite
per tutti. «Ho febbre alta e tosse da giorni, ma non sono
riuscito a capire a chi rivolgermi», dice a L’Espresso Julius
García, newyorkese di nascita, tra i tanti a essere stato
inviato da un numero d’emergenza all’altro. «Ho iniziato
chiamando il 311, spiegando i sintomi e mi hanno detto di
rivolgermi all’ospedale più vicino, ma l’ospedale a sua volta
mi ha detto di telefonare alla NYC Care Hotline». Neanche
questo è bastato: «Mi hanno poi consigliato di chiamare il
Department of Health di New York». E il tour non è inito:
«Perché da lì mi hanno rimandato alla NYC Care Hotline,
che inalmente mi ha fatto parlare con un medico». Medico
che però non gli ha dato il benestare per il test: «Non avevo
diritto ad accedere al tampone, secondo lui, perché non ero
stato in uno dei Paesi più colpiti come Cina o Italia».


Julius non è il solo. Per settimane, in centinaia hanno
raccontato, inascoltati, episodi simili. E lui è tra i fortunati,


perché ha una copertura sanitaria. Negli Stati Uniti dove
il sistema ospedaliero è a trazione privata, infatti, gli
americani privi di un’assicurazione non hanno ancora
chiaro il loro destino. «Gli ospedali non sono preparati
ad affrontare la crisi e la partnership pubblico-privata
annunciata da Trump rischia di fare grande confusione»,
dice Maria Stella Artusa, che ha lavorato come infermiera
al Mather Hospital Northwell di Long Island.

I test, anche a seguito dell’approvazione da parte della
Camera del Family First Act, una volta proclamato lo stato
di emergenza dovrebbero essere garantiti gratuitamente,
non assicurati compresi. Ma il processo verrà coordinato
da compagnie assicurative private e, spesso, in spazi messi
a disposizione da catene di supermercati, come CVS e
Target. Negli Usa, secondo i dati risalente a due settimane
fa, i test effettuati sono stati appena 5 per ogni milione di
abitanti e molti laboratori privati non hanno mai trasmesso
al Centers for Disease Control, l’agenzia federale della
Sanità, i risultati relativi ai loro tamponi, perché non sono
costretti a farlo per legge. E non è inita qui: migliaia di
americani spesso si ritrovano con extra da pagare a mesi
di distanza, per cure che credevano comprese nella loro
assicurazione: potrebbe succedere anche questa volta,
dopo il test. Il prezzo da pagare, alla ine, per molti sarà
salatissimo. Q

CINQUE TAMPONI PER OGNI MILIONE DI ABITANTI


Fare il test è un’odissea. Perino per chi è coperto da un’assicurazione privata

di Adriano Botta
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