La Stampa - 21.03.2020

(Chris Devlin) #1
LA RISCOPERTA

DELLA GIOIA

NELLE PICCOLE COSE

MARIA CORBI

LA STAMPA
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LA TIRATURA DI VENERDÌ 20 MARZO 2020
È STATA DI 158.236 COPIE


E

cco perché da giorni si sen-
te parlare di un possibile
intervento dell’esercito
nelle strade, per limitare
al massimo gli spostamen-
ti delle persone e convin-
cerle una volta e per tutte a stare a ca-
sa. Lo invocano (e in parte lo hanno ot-
tenuto, alla spicciolata e senza alcun
piano coerente) i governatori di Lom-
bardia, Campania e Sicilia. A Milano
un centinaio di militari dell’operazio-
ne “Strade sicure” sono stati autorizza-
ti dal prefetto a riconvertirsi, e il presi-
dente Fontana ha protestato perché li
considera insufficienti.
Nel mirino delle autorità ci sono i “di-
sobbedienti” che a vario titolo continua-
no ad aggirare i divieti e le raccomanda-
zioni in vigore fino al 25 marzo, e proba-
bilmente destinate a essere prolunga-
te. Visitatori troppo frequenti dei super-
mercati, che tra l’altro, con la restrizio-
ne degli orari e la penuria di mascheri-
ne per i dipendenti più esposti, vedi le
cassiere, scontano file sempre più lun-
ghe all’ingresso e all’uscita. Automobili-
sti autori di puntatine immotivate nei
grill aperti delle autostrade. Portatori
di cani a passeggio che ne approfittano
per lunghe scarpinate. Runners e fit-
ness-dipendenti amanti della vita all’a-
perto. Anche se presi uno per uno sono
peccati veniali (in certi casi perfino
comprensibili, dopo dieci giorni di chiu-
sura soffocante), va ribadito che si trat-
ta di comportamenti irresponsabili, e
pertanto inaccettabili, perché mettono
a repentaglio, non solo la propria salu-
te, ma anche quella degli altri. Ed è giu-
sto e necessario che si intervenga per
punirli e bloccarli.
C’è tuttavia un aspetto sul quale do-
vrebbero ragionare, prima di decidere,
Conte in prima persona e gli ammini-
stratori locali che lo sollecitano a non
esitare su un nuovo giro di vite contro
la leggerezza dei menefreghisti. Dopo
l’esercito, infatti, non c’è altro. E un
esercito con compiti che si sovrappon-
gono a quelli propri delle forze di poli-
zia, dei vigili urbani e degli operatori sa-
nitari, rischierebbe di aggiungere ulte-
riore confusione a quella che ha già stra-
volto la vita dei cittadini.
Oggi come non mai chi ha in mano il
potere, specialmente quello assoluto
generato dall’emergenza e sostenuto
da altissime quote di consenso, do-
vrebbe adoperarlo con grande caute-
la. Riflettere, non solo sulle difficoltà,
sulle sofferenze e sui lutti che abbia-
mo sotto gli occhi; ma su quelle che
verranno, quando, speriamo presto, si
potranno tirare le somme anche delle
conseguenze economiche di questi
giorni di paralisi. A quel punto, la sor-
presa potrebbe essere, non soltanto
un conto assai più salato di qualsiasi
previsione; ma anche un cambiamen-
to repentino di atteggiamento da par-
te dell’opinione pubblica. Che oggi,
sentendosi a rischio della vita, è dispo-
sta a pagare qualsiasi prezzo. E doma-
ni, invece, scoprendosi impoverita, sa-
rà pronta a invocare un miracolo, un
nuovo governo, e magari un uomo del-
la provvidenza, che ancora non s’intra-
vedono. —
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IL RISCHIO

DI USARE

L’ESERCITO

MARCELLO SORGI

LI


LETTERE

& IDEE

L

a Cina di Xi Jinping esce politi-
camente avvantaggiata dalla
prima fase della crisi corona-
virus, sia sul fronte interno
sia su quello internazionale.
Può apparire ingiusto e para-
dossale, ma è un fatto con il quale biso-
gna fare subito i conti. Facciamoli, calco-
latrice alla mano.
Quando esplode il virus a gennaio, la
Cina sta affrontando la crescita economi-
ca più debole dal 1990, appena il 6,1%, a
causa della guerra dei dazi di Trump. Per
sua fortuna, Xi aveva già accentrato più
poteri di Mao Tse Tung. Può restare in ca-
rica a vita, avendo rimosso i limiti costitu-
zionali, purgato il governo da funzionari
corrotti (e potenti avversari politici) e
consolidato il controllo sulle Forze Arma-
te. Buona mossa. Meglio averli già, i pote-
ri forti, quando l’economia perde colpi fa-
cendo lievitare il dissenso. Che lievitava.
Non solo nella ribellione di Hong Kong,
ma anche tra lo scontento per una caval-
cata economica frenata.
Ed ecco che scoppia il virus. Xi innesca
la più grande quarantena della storia.
Blocca 11 milioni di abitanti a Wuhan,
crea una metropoli fantasma, fa trascina-
re via di casa i sospetti di contagio, vieta
gli assembramenti con i droni che da po-
tenti altoparlanti disperdono i capannel-
li, inculcando i protocolli dall’alto. Gli
scienziati cinesi individuano la sequenza
del genoma Covid-19, condiviso con il
mondo, mentre si costruiscono ospedali
in pochi giorni.
Il modello cinese funziona. I nuovi casi
in Cina, ora, sono solo gli espatriati di ri-
torno da un Occidente dove il virus è in

piena esplosione. La linea dura è vincen-
te. E i vincitori vanno premiati. La Cina,
pur essendo causa ed epicentro, conqui-
sta un ruolo guida: manda medici e aiuti
in Italia, esporta il suo modello di conteni-
mento, nelle sue variabili, in Corea del
Sud, da noi, in Francia, in Spagna ed ora
emerge addirittura in America. L’attuale
politica delle frontiere mondiali sembra
strappata da una pagina del manuale del
Partito Comunista Cinese.
Certo, l’economia cinese soffre. Dati
gennaio/febbraio: produzione industria-
le -13,5%, vendite al dettaglio -20,5%, in-
vestimenti in immobilizzazioni -24.5%.
Da Pechino però ricordano che, nel primo
trimestre, il mese di marzo conta il 40 per
cento. Le vere perdite si calcoleranno a fi-
ne mese. E saranno più contenute perché
la Cina ha riaperto il 95% delle grandi im-
prese e il 60% delle piccole e medie, men-
tre l’Occidente sta chiudendo bottega.
La mano salda di Xi viene elogiata dai
cinesi e all’estero. Da Untore Globale a
Salvator Mundi. Controllo di massa tra-
mite malattia. Ciò che più preoccupa è
che il successo della campagna di sorve-
glianza illimitata ora fa scuola. Per quan-
to? Se i virus resteranno una minaccia co-
stante, reale o percepita, la sorveglianza
e i limiti alla privacy non solo saranno giu-
stificati e sopportabili, ma addirittura be-
ne accetti, a scapito dei diritti civili. Se
siamo all’alba di un’Era delle Pandemie,
quello di Xi Jinping potrebbe diventare
un nuovo modello globale durevole. Se
non lo è già. Pensavamo che la cultura
della libertà e del libero mercato li avreb-
be trasformati. Accadrà il contrario? —
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C

hi l’avrebbe mai detto che an-
che fare la fila al supermerca-
to sarebbe diventata un’occa-
sione piacevole? Come una te-
lefonata alla vecchia zia che ti
attacca sempre un bottone. O
immergersi nel guardaroba per una puli-
zia radicale. Chiamateli, se volete, scampo-
li di normalità. Perché quando una pande-
mia ti toglie la vita a cui eri abituato e ti
mette in stand by ci sono solo due atteggia-
menti possibili. Pensare che #tuttoandràb-
ene, o che #tuttoandràmale. E’ su questo
confine che ci si schiera. E per gli ottimisti
anche aspettare il proprio turno diventa
un esercizio catartico.
Altra frase simbolo di questa cattività: fi-
nalmente stiamo tutti insieme in famiglia.
Ma chi ha figli adolescenti non riesce a vede-
re questa come un’opportunità mentre è im-
pegnato a sedare la rissa tra fratelli o soppor-
tare le lamentele del partner, o condividere
il telecomando della tv. C’è chi ti spiega, per-
ché ci crede, e vorrebbe convincerti che que-
sta sciagura sia in realtà una grande occasio-
ne. Vedi come si respira meglio, l’inquina-
mento è scomparso? Una delle frasi più get-
tonate. Peccato, dicono gli altri, i pessimi-
sti, che non c’è possibilità di fare passeggia-
te ossigenanti. E soprattutto che ci sono

troppe persone che hanno bisogno dell’ossi-
geno medicale e non se ne fanno niente di
questo scampolo di primavera.
Già, la primavera, altro argomento di di-
battito tra chi la vede nera e chi la vede ar-
cobaleno. Tempo di equinozio e quindi di
cambiamento. Quindi: #andràtuttob-
ene? Sillogismo che sfuma con la conta
quotidiana di morti e feriti. E l’economia
che affanna. Ma c’è chi assicura che l’otti-
mismo aiuta, una grande fonte di energia,
anche per la salute. Insomma, pensare di
stare meglio per poi stare bene, come so-
stengono in questi giorni una folla si scien-
ziati, come Martin Seligman, direttore del
centro di Psicologia positiva dell’Universi-
tà della Pennsylvania, secondo cui «la cata-
strofizzazione è uno stato d'animo evoluti-
vamente adattivo, ma di solito è irrealisti-
camente negativo». E occorre analizzare
lo scenario migliore, quello peggiore e poi
concentrarsi su quello realistico. Mentre
Sandi Mann, University of central Lanca-
shire, ripresa ieri dalla BBc, sostiene nel
suo libro «Dieci minuti per la felicità» che
dobbiamo esercitarci ogni giorno a pren-
dere energia dalla gioia per le piccole co-
se. Come, per esempio, dicevamo prima,
la fila al supermercato. —
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TM

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sportelli del Salone

V

edo appesi a balconi e finestre
cartelli con la scritta perento-
ria “tutto andrà bene’’, addob-
bata spesso di soli sfavillanti e
fiori variopinti; disegnati, mi
sembra, dalla mano di bambi-
ni, un espediente per interrompere la noia
delle giornate chiusi in casa.
All’ora fissata scattano in città e paesi le
note di canzoni, inni, bric a brac musicali in
cui ognuno cerca di far rumore: come nei ri-
ti primitivi, per spaventare gli spiriti mali-
gni della malattia e della morte. E nelle im-
magini televisive perfino anziani si affaccia-
no alle finestre e mimano, penosamente, il
rito; e penso ai giorni, neanche troppo lonta-
ni, in cui si rassicurava, con scientifico cini-
smo, ripetendo che, per uccidere, questo vi-
rus anagraficamente giudizioso sceglieva
soltanto i vegliardi.
Provo fastidio, sì, il fastidio che nasce da
ciò che è inopportuno, da un annaspare im-
pudico. E so di non essere il solo. Questi riti
di riscossa collettiva che la tragedia ha inne-
scato erano, forse, accettabili nei primi gior-
ni, quando ci sfuggivano i contorni numeri-
ci del disastro, intendo non economico ma
umano. Ebbene: lo ripeto, sommessamen-
te, e credo non essere il solo. Quando vedo e
ascolto tutto questo il dolore come un cane
feroce salta fuori dal buio e mi azzanna.
Adesso ci sono i morti, migliaia di morti, è
terribile.
No. Non è andato tutto bene. La malattia
non è una galleria da attraversare in fretta,
è una scienza difficile. E’ il cammino più di-
retto, più duro. Di per sé non rende certo mi-
gliori.
Prima di uscir sul balcone a cantare “az-
zurro’’ o “volare’’ bisognerebbe pensare a

luoghi come Bergamo. Lo fareste, lì? Avre-
ste il coraggio di farlo, lì? Bisognerebbe pen-
sare un attimo al volto dei morti. Dove vie-
ne cancellato via tutto, sorrisi, tristezza, ma-
lizia, afflizione. Tutto è spazzato via. Voi sta-
te cantando e intanto altri cadaveri vengo-
no portati via dagli ospedali che scoppiano,
avviati verso cimiteri trasformati non più in
luoghi di lutto ma in camere di distruzione.
I morti ce li portiamo in noi. Basta chiudere
gli occhi per sentirne il respiro sul collo.
Una situazione che richiede coraggio, de-
terminazione, volontà per spartire un desti-
no impone di spartire soprattutto la sempli-
cità di un esistere che ci leviga come un ciot-
tolo di fiume. Cantare e fare disegnini non è
un pensiero raccapricciante? Mi interrom-
po. E domando: la realtà della morte, indivi-
duale e collettiva, non impone il dovere del-
la riflessione muta, la immensa difficile di-
gnità del silenzio? E’ quella che incontri in
tanti luoghi del mondo dove la tragedia non
è eccezione ma quotidianità, quel tanto di
indomito che entra nel sangue delle popola-
zioni abituate a strappare la vita dalle pietra-
ie. Silenzio che è dignità, energia non fatali-
smo o rassegnazione
Già sento l’accusa. Ecco qua! Il Savonaro-
la che predica la lugubre mestizia, il narcisi-
smo paralizzante dello stracciarsi le vesti, il
viaggiare lo scoramento. Niente affatto.
Credo sia proprio il contrario. La pandemia
è una minaccia da cui dobbiamo difenderci
con tutte le forze perché la possibilità di
uscirne deriva, anche, dal fortissimo impe-
gno morale con cui la affrontiamo. Ma inter-
rogarsi sulla morte, con dignità, in silenzio,
non è un dovere culturale che questa vicen-
da ci impone? —
© RIPRODUZIONE RISERVATA

IL DOVERE

DEL SILENZIO

PER I MORTI

DOMENICO QUIRICO

DALLA CRISI DEL VIRUS

EMERGE LA LEADERSHIP

DI XI JINPING

CARLO PIZZATI

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Anna Masera
Garante del lettore: [email protected]

Il premio Carlo Casalegno, il ricono-
scimento intitolato alla memoria del
vicedirettore del giornale simbolo dei
valori della Costituzione e vittima del
terrorismo, che la direzione de «La
Stampa» assegna ogni settimana al
giornalista che più si è messo in evi-
denza, questa volta va a Raphaël Za-
notti per il servizio sul basso numero
di tamponi fatti in Piemonte rispetto
alle altre regioni d’Italia.


Raphaël Zanotti


PREMIO CARLO
CASALEGNO

SEGUE DALLA PRIMA PAGINA

SABATO 21 MARZO 2020 LASTAMPA 19
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