Corriere della Sera - 22.02.2020

(Sean Pound) #1


CorrieredellaSera Sabato22Febbraio2020 21


Esteri


dallanostrainviataaHanau
ElisabettaRosaspina

S


emercoledì sera non
si fosse assentatoun
paio d’oredall’Arena
Cafèper andareafe-
steggiare ilcomplean-
no di un’amica,Jack ora non
sarebbe quiadescriverela
scena apocalittica che si è pre-
sentata ai suoi occhi quando è
ritornato, ignaroditutto, al
shisha bar del padre. Non cre-
devaaisuoi occhi: «C’era un
cadaverenell’autoparcheg-
giata di fronte. E altricorpi in-
sanguinati perterra, nel loca-
le. Liconoscevo tutti. È morto
mio zio, Gökhan. Nonèdav-
vero mio zio, ma ècome se lo
fosse. Lavoravacon noi da
tantotempo. Mercedes erave-
nuta soltantoper portarci la
cena. Non doveva essere qui».
Lei non dovevaesserci, lui
sì. E la madre diJack, unaco-
lombiana divorziata da un
turcoe vissuta aRoma (dov’è
natosuo figlio) non può che
ringraziarel’imperscrutabile
volontà del fato: «Macapisco
e soffro per i genitori di quelli
che non hanno avutolamia
stessafortuna — si affretta ad
aggiungereAbaned che, per
altricomplicati intrecci fami-
gliari, ha un nome di origini
arabe e un fratello domiciliato
ad Alghero —. Gökhan faceva
partedella famiglia, viveva
qui davent’anni». L’età di
Jack, che ha lasciato l’Italia a 8
anni e ormai si sente piùtede-
scoche turcoosudamerica-
no.Ecomunque, finoamer-
coledì sera, non pensavapo-

L’ariaèlacerata da un urlo
spaventoso:èlamadredi
Mercedes Kierpacz, la ragazza
sinti-polaccafalciata assieme
al bimbo che portava in grem-
bo. La donna èvenuta avede-
re il luogo in cui ha perso la fi-
gliaeunnipotino mai nato.
La trascinano via quando sta
per crollare sul piccolo altare
di fiorielumini cuiJohann,
un pensionatotedesco, ha
cercato invano dicontribuire.
Niente da fare: ilvento spegne
immancabilmentelafiam-
mella. «Io me lo ricordo bene
Tobias—rivela Abaned, pri-
ma di dileguarsi all’improvvi-
so,come se la disperazione
dell’altra madrelerinfaccias-
se latortura cui lei è miracolo-
samente scampata —. Abito a
qualchecasa di distanza, in
Helmholtzstrasse,acinque
minuti da qui. Lo incontravo
spesso al supermercato, sem-
presolo. Non sorridevamai,
non salutava nessuno. Adesso
hocapito che odiava a morte
questoquartiere». Simbolo

della promiscuità che aborri-
va tra «ariani» e «razze impu-
re». Secondo il giornale Bild ,
che ha rintracciatouno dei
suoi rari amici d’untempo,
Tobias si era isolatodopo un
infortunio al ginocchio che
avevastroncatolesue ambi-
zionicalcisticheeavevala-
sciato il posto in banca perché
scontento dello stipendio. Vi-
vevaconigenitori, nellaca-
meretta in cui era cresciuto,
rimuginando ossessioni e an-
sia divendetta.Unmalato
mentale, per gli investigatori.
Ma a pochi chilometri di di-
stanza, nella sede delcentro
culturale turco-curdo, la sto-
ria del pazzosolitario non
convince. Quasi metà delle
vittime appartenevano alla
comunità, che datempo si
senteinpericolo: «Esistono
gruppi clandestini di estrema
destra, giàresponsabili di al-
tri attacchi razzisti, la polizia
lo sa», ricorda Nazim Turan.
©RIPRODUZIONERISERVATA

«Mercedesaspettavaunbimbo


eralì soltantoperportarelacena»


Lostraziodellamadredellaragazza,trale9vittimedellastragerazzistainGermania


L’attentato


tesse diventare una questione
di vita o di morte.
Kesselstadtèunquartiere
così, un miscuglio di etnie,
nazionalità, idiomi che fino a
tregiorni fa parevapacifico.
Ci siconosceecapiscein
quell’affollatatorre di Babele.
Una città nella città, popolata
darom(ma qui si preferisce

definirli «sinti»), polacchi,
bosniaci, curdi, afghani.
L’Arena Cafè non era soltanto
il ritrovoserale dei fumatori
di narghilè: «Di giorno entra-
vaanche qualchetedescoa
bersi una birraoacomprare
le sigarette»testimonia Iñaki
che da Vitoria Gasteiz, neiPa-
esi Baschi, si è trasferito anni

fa ad Hanau per trovare lavoro
alla Dunlop.Unaserie di eti-
chette adesive invarie lingue
ealfabeti segnala che da qui
partivano anche le rimesse
versoiPaesi d’origine.Una
mano ha tracciato sullavetri-
na un messaggio di pace inte-
desco: «Il nostro amore è più
forte delvostro odio».

Voltienomi
Alcune vittime
della strage di
Hanau a opera
di un
estremista
neonazista:
1 Bilal Gokce,
turco; 2
Mercedes
Kierpacz, sinti;
3 Ferhat
Unvar, curdo;
4 Sedat
Gurbuz, turco;
5 Said Nessar
al Hashimi,
afghano; 6
Hamza
Kurtovic,
bosniaca;^7
Gokhan
Gultekin, curdo

Cisonoancoratroppe
lacunenellaricostruzione
divita,azionieossessioni
diTobiasRathjen,43anni,
l’eximpiegatodibancache
mercoledìserahaseminato
lamorteindueshishabar
diHanau(a20chilometri
daFrancoforte),frequentati
soprattuttodaimmigrati
mediorientali,perrestituire
lacittàalla«purarazza
ariana».Dopoaverucciso9
persone,l’uomoètornatoa
casa,hasparatoallamadre
Gabriela,72anni,
risparmiatoilpadre,Hans-
Gerd,73,erivoltolacalibro
9 controsestesso.Tobias
disponevalegalmenteditre
pistole,malgrado
vagheggiasselosterminio
diafricani,asiaticie
mediorientaliinGermania,
eavesseinviatolettere
farneticantialleprocure.


Laparola


KESSELSTADT


Il nome del quartiere
multietnico situato
nella periferia occidentale
di Hanau, in Assia.
Una zona popolata darom
(qui chiamati «sinti»),
polacchi, bosniaci, curdi,
afghani e affollata
di sisha bar, frequentati
soprattutto dallacomunità
turca che si è insediata
nellazona.

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Xenofobiaepazzia
Alcentroculturale
turco-curdo,lastoria
delpazzosolitarionon
convince

Fiorieveglia
Mazzi di fiori
per le vittime
della strage ad
Hanau. Ieri sera
si è tenuta una
veglia anche a
Berlino (Afp)

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