Internazionale - 28.02.2020

(backadmin) #1

piange. A volte è stata sul punto di arren-
dersi: “Quando anche amici e conoscenti
ti dicono che non vale la pena, è molto du-
ra andare avanti”, racconta.
Motarjemi riuscì a risolvere il mistero
dei biscotti per bambini. “Il problema era
la farina francese. S’incollava in bocca e
s’induriva invece di sciogliersi con la sali-
va”, dice. Anche in Germania qualche
bambino aveva rischiato il soffocamento,
ma erano pochi casi isolati e innocui, per-
ché lì la Nestlé usava una farina migliore.
Motarjemi ne è ancora convinta: “I biscot-
ti prodotti in Francia erano pericolosi”.
Tuttavia per molto tempo i suoi supe-
riori non reagirono e lasciarono i biscotti
sugli scaffali dei negozi. Dopotutto quei
biscotti non erano un problema per l’a-
zienda alimentare: la Nestlé vende più di
un miliardo di prodotti al giorno. In una
settimana passano in cassa più prodotti
della Nestlé di quante persone vivono al
mondo. È ovvio che ci possono essere
degli errori. La domanda casomai è: la
Nestlé come li gestisce?
Il gruppo non ha risposto alle accuse
mosse da Motarjemi e alle domande ha
replicato un portavoce con una dichiara-


zione generica: “La Nestlé ha sempre
mantenuto i più alti standard in termini di
sicurezza e qualità dei prodotti alimentari
e continua a farlo. Ci preme ricordare che
al centro del caso e della decisione della
corte d’appello non c’è la sicurezza dei no-
stri prodotti; è un caso di diritto del lavoro
sollevato da una dipendente contro il suo
ex datore di lavoro”.
Motarjemi la pensa diversamente:
“Davo fastidio perché continuavo a mo-
strare le lacune nella sicurezza alimenta-
re”. Per lei il caso dei biscotti per l’infan-
zia è stato l’esempio perfetto del modo in
cui la multinazionale affronta i suoi punti
deboli: “Se c’è una possibilità che l’errore
non esca allo scoperto, allora viene na-
scosto sotto il tappeto”. Ci sono altri pro-
blemi che ha segnalato senza essere presa
sul serio: per esempio delle dosi troppo
elevate di vitamina A e D nel latte in pol-
vere per bambini. Nel 2008 furono trova-
te tracce di melammina, una sostanza
chimica tossica, nel latte in polvere per
neonati della Nestlé e l’azienda dovette
ritirare i suoi prodotti da Hong Kong e
Taiwan. “Avremmo potuto evitarlo, se mi
avessero lasciato fare il mio lavoro”, dice

Motarjemi. Da dieci anni lei e il suo avvo-
cato, Bernard Katz, combattono contro
l’ufficio legale della Nestlé. Ovviamente la
multinazionale può contare su enormi ri-
sorse, eppure Katz non si è lasciato scorag-
giare. “Semplicemente sono interessato
al caso”, spiega.
Nel 2011 Motarjemi fece causa alla Ne-
stlé. All’inizio l’opinione pubblica non era
molto interessata alla faccenda. Solo nel
2015, quando costrinse a comparire sul
banco dei testimoni Paul Bulcke, all’epo-
ca amministratore delegato e oggi presi-
dente del consiglio di amministrazione
dell’azienda, anche i mezzi d’informazio-
ne internazionali cominciarono a occu-
parsi del caso.
Cinque anni fa, quando ha varcato la
soglia del palazzo di giustizia di Losanna
con il figlio adulto al braccio, Motarjemi
sembrava nervosa e arrabbiata. Paul
Bulcke , invece, era tranquillo, con le gam-
be incrociate con disinvoltura, le mani in-
trecciate appoggiate sul grembo, mentre
rispondeva in modo sintetico e cordiale
alle domande della giudice distrettuale.
Nella Nestlé regna una cultura della
paura, ha detto Motarjemi in tribunale.

Yasmine Motarjemi nella sua casa a Ginevra, in Svizzera, 2017
Free download pdf