Vanity Fair Italia 20170208

(Romina) #1

(^76) I VANITY FAIR 08.02.2017
OLYCOM
SFUMATURE DI Vanity
FOTO GIOVANNI GIOVANNETTI
HO NOVANTADUE ANNI,
SCRIVO DI SESSO
Una donna ama altre donne. È la protagonista del nuovo libro di ELDA LANZA,
prima presentatrice Rai, esperta dell’arte di ricevere a tavola.
Una storia autobiografica, ma per altri motivi (vedi alla voce abbandono)
di MARINA CAPPA
L’ entusiasmo fa 92.
Come gli anni di Elda Lanza, che fu la pri-
ma presentatrice della Rai, si è dedicata a
giornalismo e comunicazione d’impresa, e
da qualche anno è diventata scrittrice. Pri-
ma di gialli, protagonista il bell’avvocato
Max Gilardi, e adesso di un romanzo – Im-
parerò il tuo nome – di formazione e scoper-
ta dell’identità, protagonista una giornalista
senza nome. A punteggiare il libro, diver-
se scene omoerotiche. E dal momento che
ha studiato con Sartre, si è specializzata in
psicosociologia ed è molto attenta al mon-
do dei media, Elda Lanza ben sapeva che le
domande avrebbero puntato lì, al sesso le-
sbico. Però, essendo anche autrice di un li-
bro come Il tovagliolo va a sinistra, dove si
tratta di buone maniere, l’eleganza non le fa
difetto. Assieme a una particolare capacità
di raccontarsi con stile ma senza formalità.
Come non è formale il modo in cui accoglie
nella sua luminosa casa a Castelnuovo Scri-
via, dove vive con il marito (spedito a fare
una passeggiata, per chiacchierare meglio)
e dove prepara il caffè con qualche spruzzo,
perché non è quella di casalinga la sua spe-
cialità. Ed è con la stessa gentilezza e gli oc-
chi caldi che comincia spiegando che no, lei
esperienze omosessuali non ne ha mai vis-
sute e certo Imparerò il tuo nome è un libro
autobiografico, ma per un altro motivo.
Quale?
«Lì dentro c’è il mio dolore di bambina
abbandonata. Quando avevo 3 anni, mia
madre mi lasciò, andai a vivere con i non-
ni e mio padre, poi anche lui se ne andò e
mi riportarono da lei, che mi mise in colle-
gio per otto anni. “Per fortuna”, a 16 anni,
scoppiò la guerra. Anche la mia protagoni-
sta senza nome è continuamente abbando-
nata. Voglio che la gente capisca la sofferen-
za di essere sola, non sapere mai chi trovi a
casa la sera. Questo è più forte di qualsiasi
dolore. Alla morte ti rassegni, all’abbando-
no no. Ti senti sempre in colpa».
Com’è stato il collegio?
«Pesante. Più di una volta mi sono alzata
nella chiesa del collegio con il coraggio del-
la disperazione per intervenire ad alta voce,
come si usa nella mia fede protestante. Di-
cevo: Gesù, mamma e papà falli tornare in-
sieme. Questo dolore me lo
sono portato sempre die-
tro, ho cercato di uscirne
al meglio senza farlo pesa-
re, soprattutto a mio figlio.
Ma ero molto arrabbiata
con me stessa».
E suo marito?
«L’ho incontrato a 22 an-
ni, Vitaliano (Damioli, fa-
moso pubblicitario, ndr) è
stato il mio bambino. Ave-
va un grande talento che
non sapeva di possedere, e
io l’ho aiutato a trovarlo. In
68 anni d’amore gli ho perdonato scappa-
telle e scappatone, tre volte ci siamo separa-
ti, perché imparasse e poi tornasse. Lo but-
tavo fuori casa, gli facevo la valigia. Lui an-
dava e poi tornava. L’ultima volta a 65 anni.
A quel punto gli ho detto: se vai, non c’è più
ritorno. È rimasto e stiamo bene».
Anche lui aveva sofferto?
«Era stato prigioniero in Germania. Ma ha
sofferto meno di me, è sempre stato bello,
vezzeggiato, amato».
È stato difficile raccontargli ciò che ha
patito?
«È molto più facile farlo adesso con lei. Se
avessi detto a mio marito ciò che le sto di-
cendo, probabilmente mi avrebbe chiesto:
ma quando? com’è successo?».
Con i genitori che ha avuto, non sarà stato fa-
cile scegliere di avere un figlio.
«Grazie, è la prima volta che qualcuno me
lo dice. Non è stato facile. Prima di lui, ne
ho persi due naturalmente. Infatti, quando
sono rimasta incinta di Max (che oggi ha 60
anni ed è psicologo e coach aziendale, ndr),
un medico amico mi ha portato in barca
con il mare agitato dicendo: se devi perder-
lo, fallo subito. Io dico che sono stata una
pessima madre, molto assente per lavoro.
Lui sostiene invece che ci sono stata nel mo-
mento del bisogno. Però mi
sarebbe piaciuto essere una
mamma diversa».
Erano anni in cui non molte
donne lavoravano. Lei si de-
finirebbe femminista?
«In Francia avevo seguito
le lezioni di Jean-Paul Sar-
tre, che nell’intervallo mi in-
segnò a fumare. E frequen-
tavo Simone de Beauvoir:
arrivava con un turbante in
testa e un paltoncione bian-
co, e ci riempiva la testa
di queste idee nuove. Og-
gi, ogni volta che risento la musica di Co-
me eravamo, mi rivedo allora con i capelli
arruffati, i calzerotti di lana, e mi commuo-
vo, ripenso a quando appiccicavo sui muri i
cartelloni “Andate a votare!”. Andavo nelle
fabbriche, parlavo alle operaie e mi stupiva
la distanza abissale fra noi: lavoravano duro
eppure dicevano “È giusto che mio marito
guadagni più di me anche se fa il mio stesso
lavoro: è un uomo”. Era disarmante, io cer-
cavo di accorciare le distanze».
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«No, ha detto che gli è piaciuto molto e ci ha
ritrovato il mio carattere».
Lei ha letto la serie delle Cinquanta
sfumature?
«Ho letto le Cinquanta sfumature di grigio
e ho capito che i maschi hanno bisogno di
fantasie più delle donne».
Davvero?
«Le poche volte che ne ho parlato con un
uomo, compreso mio marito, mi sono sen-
tita rispondere che in effetti la fantasia aiu-
ta. L’amore si fa con un corpo, se non ci
metti del tuo è sempre quel corpo lì. L’uo-
mo ha bisogno di immaginare cose che
non ci sono, legacci, una seconda donna,
un secondo uomo... Cinquanta sfumature
regala ai maschi gli elementi di queste fan-
tasie, è furbo».
Mi scusi la sfacciataggine: ma il sesso per
lei conta ancora?
«Con mio marito è andato avanti fino a
quando lo hanno investito sugli sci, ave-
vamo 84 anni, era un amore più tranquil-
lo, non da tutte le settimane, ma ogni tan-
to ci guardavamo e capivamo che era il mo-
mento. Dopo l’incidente, per un periodo
ho dormito in un altro letto e, quando sono
tornata, senza dirci niente è stato chiaro che
era finito. In tutti questi anni, però, mai una
volta che abbia pensato “Che noia!”».
«Che barba, che noia» era il refrain di casa
Vianello. Ho letto che è stata lei a indirizza-
re Sandra verso Raimondo...
«A lei piaceva Tognazzi, ma io le dicevo:
guarda che quello ama anche le seggiole
perché sono di sesso femminile. Un gior-
no, al bar della Rai, Sandra mi mostra que-
sto giovanotto biondo con il cachemirino e i
calzini lunghini – ho subito controllato che
non li avesse corti! – molto elegante e quie-
to. Lei un po’ sbuffava, le sembrava troppo
perfetto. Io le ho detto: e allora, sveglialo».
Così è nato un lungo matrimonio.
«Con qualche svolazzo anche lì. Come per
Dario Fo, un altro grande che ho conosciu-
to e ho portato in Rai. Ogni tanto il grande
amore ha bisogno di sapere che non è una
schiavitù, che si può fare».
Lei racconta bellissime storie.
«Le racconto anche a me, la notte. Poter
raccontare storie è un meraviglioso modo di
invecchiare».
DALLO SCHERMO ALLA CARTA
Elda Lanza, 92 anni, prima presentatrice Rai (iniziò con la Tv
sperimentale del 1952, a sinistra nel 1956 sulla copertina
del Radiocorriere), ha appena pubblicato il romanzo Imparerò
il tuo nome, edito da Ponte alle Grazie (pagg. 323, ¤ 16).
Lei dice di non avere mai avuto storie omo-
sessuali. È vero?
«Mai. Anche se, visto che indossavo sem-
pre i pantaloni, quelli della Tv la considera-
vano una dichiarazione di lesbismo. Per me
comunque l’amore è il corpo di una don-
na: morbido, dotato di seno, umido, dol-
ce. L’uomo è potenza, muscolo, durezza, ti
prende. Naturalmente mi andava benissimo
che mio marito fosse quella forza lì».
Che amante è stato suo marito?
«Ottimo, si è molto occupato di me. Quan-
do l’ho conosciuto, gli ho detto: siccome fi-
niremo a letto insieme, facciamolo subito.
Dopo 8 anni, ci siamo sposati ed è stato un
buon matrimonio, molto collaborativo. An-
che il fatto di dovergli correre dietro e tener-
lo d’occhio ha mantenuto vivo il desiderio».
Nel libro, lei descrive dettagliatamente le
scene di sesso, senza omissioni.
«Mio figlio Max mi ha detto: “Quando una
della tua età scrive scene di sesso, di solito i
due aprono la porta e c’è una dissolvenza,
tu invece sei entrata in camera con loro”. È
vero: non c’era morbosità, ma mi sembrava
giusto non lasciarlo alla fantasia».
Suo figlio non si è imbarazzato a leggere?
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