Se vogliamo
spingere le
nostre figlie a
competere alla
pari con i nostri
figli, dobbiamo
essere disposte
a insegnare
loro a non
preoccuparsi
di mettere
qualcuno
a disagio con
il loro talento
e il loro successo.
Analizzare il lavoro
delle donne nei secoli,
non come è stato descritto nelle arti igurative e nella letteratura, bensì come
avveniva nel concreto, con mani callose, acume inanziario e strategie geniali,
è un processo illuminante e commovente.
Ma perché sappiamo così poco di queste donne coraggiose? Perché le loro
storie sono state ignorate o cancellate? La cosa per me più sconvolgente, mentre
ascoltavo Unger Baskin che raccontava il suo lavoro, è stato riconoscere che tante
donne hanno dovuto usare complesse strategie per costruire una clientela per
il loro lavoro senza richiamare troppo l’attenzione, perché agivano al di fuori
dei ruoli prescritti. Sopravvivere come donne d’affari era un’arte a sé. Ma prima
ognuna di loro doveva sopravvivere come donna.
Mia madre mi ha dato quel foglietto perché non ha mai voluto che accettassi
una condizione subalterna. Io avevo due sorelle e il motto a casa nostra era: “Non
sei migliore di nessuno, ma nessuno è migliore di te”. È il linguaggio dell’ugua-
glianza, e oggi mi ritrovo a condividerlo con le mie figlie. Ma è anche il linguaggio
del potere? Se vogliamo spingere le nostre figlie a competere alla pari con i nostri
figli, dobbiamo essere disposte a insegnare loro a non preoccuparsi di mettere
qualcuno a disagio con il loro talento e il loro successo. Dobbiamo insegnare loro
che quel disagio non è un loro problema. Il potere ha un proprio linguaggio. I ca-
pitani sono potenti. I magnati sono potenti. I capibanda e i pionieri sono potenti.
Leggendo queste parole vi è forse venuta in mente l’immagine di una donna? Se
la risposta è sì vi faccio un applauso, e speriamo che il vostro atteggiamento sia
contagioso. Se è no, vi ringrazio per la vostra onestà, e rimbocchiamoci le maniche.
Ho sempre ammirato la sceneggiatrice e produttrice Shonda Rhimes per la
sua capacità di raccontare storie e il suo monumentale successo nella società di
produzione che porta il suo nome. Per più di un decennio, Shondaland ha sfornato
programmi televisivi di grande successo con personaggi femminili, neri, latini,
asiatici e omosessuali in ruoli di spicco. Rhimes oggi ha un contratto di produzione
multimilionario che le garantisce una totale libertà creativa.
Le sue conquiste da donna di colore a Hollywood sono a dir poco impressionanti.
Ma quello che più desta la mia ammirazione è il compiacimento con cui abbraccia
il suo fenomenale successo.
Il potere è stato negato alle donne per così tanto tempo che spesso può apparire
come un abito disegnato per qualcun altro. Ora una generazione di donne sta met-
tendo in discussione questo presupposto. La star del calcio statunitense Megan
Rapinoe. La campionessa di tennis Serena Williams. Susan e Anne Woycicki (le
sorelle amministratrici delegate di YouTube e 23andMe). L’amministratrice delegata
della General Motors, Mary T. Barra, la superstar televisiva Oprah Winfrey, e tutte
le donne che hanno ispirato il movimento #MeToo, creato per sfidare un sistema
che per decenni ha platealmente violato i diritti delle donne.
Quando sono esplose le storie di molestie sessuali a Hollywood e poi nella fi-
nanza, nel giornalismo e in qualsiasi altro settore, portando alla detronizzazione
di una serie di personaggi importanti per comportamento sessualmente scorretto,
un piccolo gruppo di donne ha cominciato a trovarsi ogni giorno a Hollywood per
pretendere insieme cambiamenti che proteggano le donne e le aiutino a sviluppare
appieno il loro potenziale. Il loro movimento corre in parallelo alla campagna #Me-
Too tesa ad aumentare la consapevolezza sugli abusi sessuali. L’hanno chiamato
Time’s Up, il tempo è scaduto.
Metà delle prime partecipanti e molte delle sostenitrici finanziarie di Time’s
Up erano donne di colore, e con il passare delle settimane il loro numero è cre-
sciuto assieme alla loro determinazione, grazie soprattutto alla lettera intitolata
Dear Sisters scritta per conto delle braccianti. Queste donne, guidate da Mónica
Ramírez, oggi presidente di Justice for Migrant Women, hanno scritto a quelle
che si riunivano a Hollywood per esprimere solidarietà e spiegare che dovevano
affrontare simili difficoltà alle dipendenze di uomini che approfittavano della
precarietà e dell’impotenza derivate dalla povertà e dal lavoro itinerante.
NATIONAL GEOGRAPHIC ITALIA